Sono in corso prove di disgelo tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La strada verso le europee è ancora lunga e, in un clima di tensione permanente, entrambe le parti hanno scelto di fare un passo per riavvicinarsi. Dopo essere stato assente il giorno prima in Senato, il leader leghista si è presentato oggi alla Camera durante le comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo di domani e dopodomani.

Dieci minuti sufficienti ad abbracciare Meloni in favore di fotografi, ma non abbastanza per ascoltare la sua replica. I due, secondo fonti di maggioranza, si sarebbero incontrati anche all’indomani della sortita di Salvini sulle congratulazioni a Vladimir Putin.

Su quel fronte la premier non intende transigere e l’asse più forte è stato stretto con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, perfettamente in linea con le posizioni filoatlantiche di Meloni. Non a caso in aula la premier ha ripetuto che «contano le decisioni e i voti, la posizione del governo è chiara», sottintendendo come anche la Lega non si sia mai discostata in concreto dall’orientamento del governo.

E Tajani ha rincarato la dose, con una punta di malizia nel sottolineare l’isolamento di Salvini. «La linea politica la dettano il ministro degli Esteri e il presidente del Consiglio», sono state le sue parole a chi gli chiedeva delle parole del collega leghista. E, «nessuno mi ha chiesto conto delle parole di Salvini», ha aggiunto.

La presidente del consiglio nella replica alla Camera affronta la polemica seguita alle dichiarazioni di Salvini dopo la rielezione di Putin. "Quando un popolo vota, ha sempre ragione", aveva detto il vicepremier. Meloni ai deputati dice: "Mi si dice di parlare con Orban e con Salvini per chiarire il sostegno all'Ucraina. In entrambi i casi contano le decisioni e i voti. Il governo italiano ha una posizione chiara"

Segnale positivo a livello internazionale perché significa che le parole del ministro dei Trasporti non hanno provocato imbarazzi sul piano diplomatico. Ma anche il modo sottile di Tajani di rimarcare quanto poco l’alleato venga considerato fuori dall’Italia.

Se la facciata della maggioranza è quella di una unità mai messa in discussione, dietro le quinte Fratelli d’Italia osserva da lontano gli alleati leghisti. «Salvini non ha capito che fare l’anti Meloni non paga, né a livello elettorale né nel consenso dei suoi», è l’analisi di una fonte meloniana che con la premier ha un filo diretto.

Tuttavia, ben vedendo come il segretario di via Bellerio sia sempre più in difficoltà e con lui i suoi parlamentari, l’obiettivo del partito di maggioranza relativa è quello di congegnare sempre nuovi modi per evitare che le fibrillazioni interne leghiste nuocciano al percorso dei provvedimenti più delicati. È stato così per il ddl sulla cybersicurezza. Il governo aveva richiesto l’esame d’urgenza, ma avrebbe rischiato il voto contrario dei deputati leghisti. Per questo è stato prudentemente rallentato. Il nodo parlamentare per la Lega è ancora l’autonomia differenziata, che il segretario vorrebbe approvare prima delle europee con l’ok definitivo alla Camera ma su cui in giornata sia FdI sia Forza Italia hanno frenato.

«Non vorrei che in campagna elettorale le opposizioni strumentalizzassero una riforma che è fatta per valorizzare il sud. Essendo un tema complesso e a rischio di considerazioni strumentali, credo sarebbe meglio affrontarlo dopo il voto di giugno», ha detto l’azzurro Paolo Barelli al Corriere della Sera. Parole che sono risuonate forti nelle orecchie non solo di Salvini, ma anche del ministro per l’Autonomia, Roberto Calderoli.

L’assalto interno

Se con Meloni è stato siglato un almeno apparente time-out, Salvini continua a essere assillato dai problemi interni. Oggi ha dovuto smentire la notizia, data dal Foglio, del deposito di un nuovo simbolo con il nome di “Italia sicura”, definendola «totalmente priva di fondamento» e annunciando azioni «contro l’ennesima menzogna: abbiamo ormai perso il conto del fango e delle calunnie».

Per tentare di scacciare le paranoie dei suoi, il segretario ha convocato per giovedì un Consiglio federale con all’ordine del giorno le prossime elezioni amministrative ed europee, a cui lui ha già annunciato che non si candiderà.

A proposito di europee, si parlerà anche della manifestazione di Id di sabato a Roma, per cui lo spin interno è di un tutto esaurito, con «1.500 posti disponibili già occupati», nonostante manchino nomi di forte attrazione internazionale. A oggi pochi parlamentari avevano dato la loro adesione ma l’ordine di scuderia è di creare più attesa possibile e di considerarsi tutti precettati per un evento a cui il segretario tiene particolarmente.

Peccato che, a stretto giro, sia arrivata la spietata analisi dell’eurodeputato Toni Da Re, leghista veneto di lungo corso, recentemente espulso, che all’Adnkronos ha parlato di «evidente isolamento internazionale ed europeo» di Salvini. Ma soprattutto ha commentato il parterre internazionale poco brillante: «O è stato tutto organizzato in modo troppo frettoloso», oppure «il gruppo dell’estrema destra non lo riconosce più come leader».

La tensione interna alla Lega non fa che salire man mano che ci si avvicina alle europee. Salvini ha fissato la doppia cifra come soglia psicologica, ma gli alleati sono scettici sul fatto che il partito riesca ad arrivarci. Anzi, dentro Forza Italia sta crescendo la sensazione che un sorpasso è ormai non solo possibile ma concreto, grazie soprattutto al buon tandem che si è creato tra Meloni e Tajani nella gestione dei rapporti europei.

L’unica concessione che la premier ha fatto agli alleati leghisti è stata quella di attaccare le opposizioni che la incalzavano sulle parole di Salvini sulla Russia. Meloni, sorridendo, ha scelto l’intercalare «ragazzi, vi vedo nervosi», sollevando la rabbia dai banchi di Pd e Movimento 5 stelle.

Intanto, però, si avvicina la scadenza entro quando anche la premier dovrà sciogliere la riserva su una sua candidatura alle europee. Più esponenti di FdI azzardano che «si candiderà», ma anche con chi glielo ha chiesto direttamente Meloni ha preferito non sbilanciarsi. In ogni caso, la convinzione è che il voto di giugno segnerà una tappa importante per tutti i partiti del centrodestra e dunque per i nuovi equilibri di governo, sulla base di mutati rapporti di forza.

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