Dentro Avs e M5s, fuori il Pd. Il nuovo Consiglio d’amministrazione della Rai nasce tra veti incrociati e miete diverse vittime eccellenti in tutto l’arco parlamentare. La prima è il campo largo: il documento firmato dalle opposizioni a inizio agosto è diventato carta straccia nel giro di 48 ore. Per i dem la richiesta di non procedere alle nomine prima dell’approvazione della riforma della legge sulla governance era la chiave per vincolare le ambizioni di Giuseppe Conte.

Missione fallita. Anche per la sponda che hanno offerto all’ex premier Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che hanno presentato un nome di area Avs per riempire il vuoto che si è creato con l’Aventino del Pd. La destra li ha assecondati limitandosi a votare i propri candidati consiglieri Federica Frangi (area Meloni, anzi area “fiamma magica”) e Antonio Marano (zona Lega). Due “falchi” che contribuiranno ad aumentare le tensioni in cda.

Frangi è stata assistente al programma a Porta a porta, poi assunta dall’azienda al Tg2, ma soprattutto ha lavorato insieme a Giovanbattista Fazzolari e Giovanna Ianniello a palazzo Chigi. Marano dovrà essere “l’arma” di Matteo Salvini. Forte della sua lunga esperienza a viale Mazzini, è pronto a pungolare il futuro ad, Giampaolo Rossi, ogni volta che il leader della Lega avrà bisogno di alzare il livello dello scontro. Nel frattempo, se la conferma della presidenza in commissione di Vigilanza dovesse andare per le lunghe, diventerà anche presidente ad interim.

Gli eletti dalle opposizioni sono Alessandro di Majo, già consigliere vicino al Movimento per un mandato, e Roberto Natale. Sulla carta nome di Fratoianni e Bonelli, eletto con appena 45 voti (le opposizioni presenti ne avrebbero avuti a disposizioni 63), già candidato – non eletto – al cda in quota Usigrai, che ha guidato a lungo. E non stupisce dunque il giubilo di Vittorio Di Trapani.

Abbandonati dall’asse Avs-M5s, i dem si sono goduti la loro splendida solitudine. Dopo un’assemblea in cui la segreteria ha annunciato la sua linea senza prese di posizione contraria, deputati e senatori hanno disertato il voto. C’è chi racconta di trattative tessute fino all’ultimo da Dario Franceschini e Francesco Boccia su un nome più spendibile di quelli dei grandi saggi evocati nelle ultime settimane: Goffredo de Marchis. Ma la segretaria ha tirato dritto e martedì sera ha ribadito in televisione il suo niet: o la riforma, o niente.

La conferma che il Movimento aspettava. Conte è arrivato a difendere il voto sostenendo che «il cda non è una poltrona». Resta il fatto che su viale Mazzini i Cinque stelle non fanno prigionieri. In Transatlantico i grillini hanno esposto un ventaglio di giustificazioni. Dall’alibi del controllo sull’operato della maggioranza a una celebrazione senza mezzi termini di un grande successo: «Non possiamo buttare il bambino con l’acqua sporca, abbiamo ottenuto l’apertura alla riforma, abbiamo ottenuto la garanzia dell’incardinamento, che altro avremmo dovuto desiderare?»

Campo finito

Tra i parlamentari dem la delusione è tangibile. E parecchi guardano con scetticismo alla decisione finale della segretaria: «Oggi siamo stati utili… Ma utili a chi poi? Boh». L’impressione di alcuni è che il Pd si sia danneggiato con le proprie mani, tagliando i ponti con la Rai, solo per non macchiare l’immagine personale della leader. Ma il tradimento consumato dagli ormai ex alleati di Avs e M5s fa male, anche se nessuno nega che fosse nell’aria.

«Di campo largo noi non abbiamo mai parlato» si affrettano però a dire i dem. Bonelli, uno dei nuovi futuri referenti del centrosinistra in Rai, ammazza le ultime speranze. «Il campo largo è morto» dice ai cronisti che gli chiedono dei prossimi passi. Tolta di mezzo l’impasse del voto, il Consiglio dei ministri di venerdì 27 dovrà approvare i due nomi di ad e presidente proposti già giovedì mattina da Giancarlo Giorgetti. Nessuna sorpresa. Il ministero dell’Economia ha indicato Giampaolo Rossi e Simona Agnes. La settimana prossima, dopo un passaggio dall’assemblea degli azionisti, si riunirà per la prima volta il nuovo cda per eleggere ad e presidente. Quindi dovrà esserci la conferma della Vigilanza. Quella di Agnes non arriverà prima della seconda settimana di ottobre. I grillini giurano che lasceranno l’aula insieme a tutte le altre opposizioni ma dopo la collaborazione sul cda, sostengono i dem, non si può escludere nulla. Anche perché in cambio dei due voti necessari alla conferma della presidente designata brillano in lontananza poltrone “vere” (copyright Conte), come la direzione di Rai News. O addirittura – e il timore ormai corre anche tra le file dem – quella del Tg3.

Il passo successivo all’insediamento del nuovo cda sarà un mini-riassetto che ormai viene discusso a viale Mazzini quasi apertamente. Complici tre scadenze già fissate, i nuovi vertici potrebbero trovare il modo di soddisfare gli appetiti dei Cinque stelle – che continuano a negare ogni tipo di trattativa, ma hanno all’attivo una direzione di testata e una condirezione creata ad hoc, una di genere e una di rete radiofonica dentro Telemeloni – e sistemare qualche equilibrio interno alla maggioranza. A fine novembre scadono infatti Paolo Petrecca e Alessandro Casarin: l’all news stuzzica da sempre l’interesse dei Cinque stelle, mentre la Tgr avrebbe come successore naturale il condirettore Roberto Pacchetti, area Lega come il direttore uscente.

Se il partito di Salvini dovesse però confermare il desiderio di un’altra direzione di genere (tra le più ambite ci sarebbero Day time e Approfondimenti), FdI potrebbe cogliere l’occasione per chiedere in cambio la direzione delle testate regionali. A fine anno scade anche Jacopo Volpi di Rai Sport, direzione che sembra invece destinata a Forza Italia o, ancora, ai meloniani. Ma c’è chi non esclude un passo ulteriore, che taglierebbe definitivamente fuori il Pd anche dalle sue “riserve indiane” storiche, Rai Fiction e Rai cultura, destinate rispettivamente al capo del Day time Angelo Mellone e a Luca Zappi, gradito alla Lega. D’altronde, di bonifiche a destra se ne intendono.

© Riproduzione riservata