L'annunciatissimo addio del deputato Enrico Costa ad Azione, tornato nel borgo natio, in Forza Italia, è una notizia minore nel piccolo palazzo della politica, che anticipa altre probabili defezioni, da Mariastella Gelmini a Mara Carfagna.

Il partito di Carlo Calenda sembra così consegnato al destino infelice che negli ultimi trent'anni, dal 1994 a oggi, hanno avuto il patto Segni, Rinnovamento italiano di Lamberto Dini, Scelta civica di Mario Monti. È la maledizione del Centro. Fino al 1994 è stato il luogo da cui si governava il paese: la Democrazia cristiana e i suoi alleati laici, il Partito repubblicano, il Partito liberale, i socialdemocratici. Il centro rappresentava la stabilità di un sistema politico e della sua area di governo, sempre la stessa per mezzo secolo. Il suo stile era la rassicurazione, il metodo era l'inclusione.

Nella cosiddetta Seconda repubblica si è trasformato in una terra di nessuno, e non soltanto per colpa di leggi elettorali maggioritarie, di leadership più agguerrite o del destino cinico e baro. Le cause andrebbero indagate nel profondo della società, nelle paure e nelle rabbie del ceto medio in Italia e in occidente, nel capovolgimento dei moderati: l'elettorato moderato è diventato smodato, per usare la battuta del proto-berlusconiano Leonardo Notte interpretato da Stefano Accorsi nella serie tv “1992”.

L'Italia ha anticipato i fenomeni elettorali di mezza Europa, come si vede in Francia, Germania e tra poco in Austria. In Francia è venuto giù per la prima volta il cordone sanitario della destra repubblicana verso la destra lepenista, come ha scritto Luca Ricolfi, sta per nascere un governo debole che partirà per gentile concessione di Marine Le Pen che si voleva isolare e sconfiggere. A Bruxelles la commissione von der Leyen due nasce nello stesso segno di ambiguità, con l'apertura al gruppo dei conservatori e di Fratelli d'Italia che era stata negata a luglio.

Nella destra al governo da due anni Forza Italia, il partito erede di Berlusconi, prova a occupare il ruolo del centro perduto, con l'attivismo almeno verbale di Antonio Tajani che però resta alleato nella coalizione. Più promettente è la visita di Mario Draghi a Marina Berlusconi, insieme a Gianni Letta, in continuità con un rapporto mai interrotto, Berlusconi (Silvio) scelse Draghi tre volte, come governatore della Banca d'Italia, presidente della Bce, presidente del Consiglio.

Ma la scelta di Forza Italia resta chiara: nel bipolarismo, nell'alleanza che si è stretta attorno a Matteo Salvini, dopo la richiesta di una condanna a sei anni al processo di Palermo «per aver leso la libertà personale» di 147 migranti nel 2019 a bordo dell'Open Arms. Con la solidarietà immediata a Salvini, con la tensione che si rialza all'improvviso Meloni riafferma la sua leadership sul terreno più favorevole, dopo che sul caso Sangiuliano gli alleati avevano preferito il silenzio.

Salvini era pronto a rientrare in gioco come un Trump italiano, a portare a suo vantaggio richieste di condanna o condanne, ma la premier non intende lasciargli questo spazio. Nel centrosinistra, o campo progressista, come preferisce chiamarlo Elly Schlein, per un partito di centro che guarda a sinistra ci sarebbero le praterie. Perché la disuguaglianza, in questi decenni, è stata la benzina nel motore dei partiti sovranisti e populisti. Invece, il centro è il campo di Agramante.

Leader che si affrontano «tonti, e armati l’uno contro l’altro come granchi in una cesta», per usare una immagine di Sergio Atzeni. Dove c'era la moderazione c'è la rissosità. Dove c'era la discrezione regnano la vanità, il narcisismo di capi convinti della loro necessità per il Paese, della loro insostituibilità. Nonostante le tante smentite arrivate dalla realtà, continuano a considerarsi l'ego della bilancia.

La sola cosa che unisce Renzi e Calenda è la loro incapacità di fare un passo indietro. Conclusione: il posto del centro resta vuoto, in attesa di figure nuove e con un percorso credibile, opposto alle destre (esistono?). Ma intanto c'è uno spazio da rappresentare, nel corpo centrale della società, tra i non votanti. Un lavoro in più per l'opposizione e per il partito più grande, il Pd che si candida a guidare l'alternativa.

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