Non sono passate nemmeno 48 ore dalla morte del lavoratore agricolo Satnam Singh, il 31enne di origine indiana schiacciato da un macchinario in un’azienda dell’Agro Pontino, che si sono registrate altri due decessi. Pierpaolo Bodini, 18 anni, è rimasto schiacciato sotto una seminatrice nel lodigiano e un operaio di 34 anni ha perso la vita incastrato tra i rulli di un macchinario.

Nella vicenda di Singh, alla questione del lavoro nero e della sicurezza, si aggiunge la ricattabilità di un sistema che, attraverso l’irregolarità, rende ancora più vulnerabili. Se non si riconosce l’identità delle persone, «le condanneremo a vivere in schiavitù», spiega l’ex ministra dell’Agricoltura del governo Conte II, Teresa Bellanova.

Anche dopo la 131esima vittima sul lavoro nel settore agricolo nel 2024 – in base alle stime del giornalista Piero Santonastaso, che gestisce la pagina “Morti di lavoro” – e la 536esima se si considerano tutti i comparti, l’incontro tra ministero del Lavoro, dell’Agricoltura e sindacati non ha portato a nulla. «Non usciamo soddisfatti dal tavolo con i ministri Lollobrigida e Calderone», ha dichiarato Davide Fiatti, segretario nazionale di Flai Cgil, secondo cui manca un intervento alla radice, sulle leggi che regolano l’immigrazione.

Bellanova, cosa ci dice la vicenda di Satnam Singh?

È una storia criminale, così com’è criminale il sistema del caporalato. Non si può affrontare questo tema pensando solo un aspetto, bisogna abbracciare la complessità. Ci sono persone che cercano una vita migliore, ne hanno il diritto e noi abbiamo il dovere di affrontare il tema dell’accoglienza e quello della responsabilità di dire ai cittadini che senza di loro il mondo produttivo non ha lavoratori. Non riguarda solo l’agricoltura, anche la ristorazione, l’edilizia, la logistica. Se continuiamo ad affrontare l’immigrazione come un’emergenza, condanneremo queste persone a vivere in schiavitù. Se non viene riconosciuta la loro identità, sono costrette a subire le angherie più pesanti, fino ad arrivare alla violenza che ha vissuto Satnam Singh. È un omicidio sul lavoro, come tutti gli incidenti sul lavoro, perché se si applicano le leggi tutti gli incidenti possono essere evitati.

Quando era ministra i lavoratori agricoli sono stati al centro della sua azione di governo. Che impatto hanno avuto quei provvedimenti?

Da ministra ho combattuto fortemente contro tutti, contro l’opposizione e gran parte della maggioranza. Ho portato avanti in solitudine la battaglia per la regolarizzazione delle persone invisibili che stavano nel nostro paese, invisibili a causa dei decreti Sicurezza approvati da Conte e Salvini. Purtroppo non è stata risolutiva, sono stati posti tanti limiti. Comunque 230mila persone hanno fatto richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, una parte in agricoltura, gran parte nel badantato. Ma a oggi le prefetture devono ancora completare il rilascio dei permessi, perché questa legge è stata contrastata in tutti i modi e sull’immigrazione si strumentalizza per avere consenso facile.

Quindi secondo lei l’applicazione è stata complessa non solo per una questione burocratica ma per una volontà politica?

La burocrazia dipende dall’impegno politico. Se non si fanno le assunzioni necessarie e non si esegue l’iter nell’applicazione di una legge, è evidente che i tempi si allungano. La legge di contrasto al caporalato nella parte della prevenzione non viene applicata. Io ho fatto anche una battaglia da viceministra alle Infrastrutture sul tema dei trasporti. Nel settore agricolo, le persone sono disperse in tanti appezzamenti, serve una rete di trasporto competitiva con quella dei caporali, che hanno piccoli mezzi e con questo strumento schiavizzano i lavoratori. Un cittadino che arriva nel nostro paese, non conosce la lingua e i luoghi, si affida alla criminalità. E il sistema caporalato è un sistema criminale. Di questo bisogna farsi carico e bisogna intervenire su tutti gli aspetti del sistema. Avevamo avviato un lavoro che è stato completamente abbandonato.

Perché il sistema del caporalato non riesce a essere scardinato?

È un sistema malavitoso che fa concorrenza sleale alle imprese sane, e spesso è stato vissuto come un servizio pubblico. Dove fallisce lo stato è il mondo criminale a offrire il servizio. Offre il lavoratore, l’azienda, il mezzo di trasporto, i ghetti, dove le persone dopo aver svolto il loro lavoro ritornano a essere invisibili. E le coscienze dei perbenisti sono a posto perché queste persone non sono visibili nelle città. Fino a quando non si svuotano i ghetti, regolarizzando le persone, non potremo contrastare questo fenomeno. Se poi non si dà un permesso di soggiorno, il caporalato continuerà a fare affare. Si troverà tanta disumanità, come quella che vissuta dall’uomo 31enne, che ha trovato una persona che non voglio neanche qualificare, che anziché accompagnarlo in ospedale lo ha abbandonato.

La filiera, per com’è oggi, alimenta il caporalato e il lavoro nero?

Io avevo individuato lo strumento, che credo utile e importante insieme al contrasto al caporalato, delle filiere produttive. Ai contratti di filiera e alle risorse deve aggiungersi quindi un tavolo di discussione: il ministro o il sottosegretario deve incontrare la produzione, la trasformazione, la distribuzione e fare un patto sul conferimento del prodotto, a un prezzo che non può essere inferiore al costo di produzione. Altrimenti chi ne paga il prezzo sono in primo luogo i lavoratori, sfruttati e non regolarizzati.

Perché non c’è un controllo sulle condizioni dei lavoratori?

Il lavoro nero e il caporalato sono purtroppo molto presenti nel sistema agricolo ma, insisto, non si possono attribuire solo a questo settore. La legge di contrasto al caporalato andrebbe allargata a tutti gli altri comparti: funziona nella sua parte repressiva – tante procure hanno processi in corso – ma bisogna applicare anche la parte della prevenzione. Gli ispettori sono pochi, bisogna aumentare le assunzioni, organizzare meglio le visite ispettive e andare in frontiera sui posti di lavoro.

Il decreto flussi può essere uno strumento?

Come pensiamo di poter dare una soluzione con il decreto flussi che mette a disposizione meno di un quarto del bisogno che viene segnalato dalle aziende. Smettiamola con la propaganda e permettiamo a chi lavora di stare nel nostro paese. Ma non teniamoli rinchiusi nei ghetti, altrimenti non c’è prevenzione. Dobbiamo lavorare sulla cultura della legalità, mettendo le persone nella condizione di vivere, nella legalità.

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