La mattina del 2 settembre, i servizi segreti ucraini (Sbu) hanno arrestato con l’accusa di frode e riciclaggio Ihor Kolomoisky, uno degli oligarchi più potenti e controversi del paese. Ancora prima che i giornali dessero la notizia, i social media si sono riempiti delle fotografie di Kolomoisky, un’espressione incredula sul volto, circondato di agenti in tenuta militare sulla porta della sua abitazione.

L’arresto è stato sensazionale perché Kolomoisky è stato a lungo considerato un alleato chiave del presidente Volodymyr Zelensky, di cui ha contribuito a lanciare la carriera politica trasmettendo sui suoi canali televisivi la serie tv “Servitore del popolo”. Zelensky ha commentato l’arresto senza nominare il suo vecchio alleato: «Ringrazio le forze dell’ordine per la determinazione nel portare a conclusione casi rimasti bloccati per decenni». 

L’arresto è soltanto l’ultimo colpo che Zelensky e l’invasione russa hanno assestato alla classe degli oligarchi ucraini, un tempo una delle forze politiche-economiche più rilevanti del paese ed oggi sempre più marginalizzati. Un fenomeno positivo per il paese, ma che porta con sé anche dei rischi, avvertono gli esperti.

Chi è Kolomoisky

«Kolomoisky è una figura potente nel settore bancario e dei media ucraini», dice Konstantin Skorkin, ricercatore russo di origini ucraine, specializzato nella politica del Donbass e nella storia degli oligarchi ucraini. Considerato un uomo d’affari aggressivo e spregiudicato, Kolomoisky ha acquistato una crescente influenza politica dopo la rivoluzione del 2014, finanziando battaglioni di volontari impegnati nel conflitto in Ucraina orientale.

Nel 2015, dopo uno scontro con l’allora presidente Petro Poroshenko, la sua banca è stata nazionalizatta e Kolomoisky è fuggito in Svizzera. Il suo ritorno in Ucraina, ha coinciso con l’ascesa politica di Zelensky, star del suo canale televisivo 1+1. Ma la vittoria del suo protetto alle elezioni del 2019 è arrivata insieme all’inizio di un’indagine per truffa da parte del Fbi che si sarebbe conclusa con l’inserimento di Kolomoisky in una lista di personaggi sotto sanzioni per aver cercato di danneggiare la democrazia ucraina.

«Kolomoisky sperava che la vittoria di Zelensky lo avrebbe aiutato a ripristinare la sua posizione di potere nel paese, ma il presidente ha subito cercato di distanziarsi da un alleato così tossico – dice Skorkin – Il suo arresto significa che Zelensky ha deciso di troncare definitivamente i legami con il suo vecchio partner d’affari».

Gli oligarchi

Con un patrimonio di oltre 1,5 miliardi di euro, stimato da un’indagine del Center for economic strategy di Kiev, Kolomoisky era considerato il quinto uomo più ricco dell’Ucraina e uno dei più potenti oligarchi del paese, gli uomini d’affari arricchitisi durante la grande epoca delle privatizzazioni degli anni Novanta, spesso con metodi dubbi o illegali. 

Una caratteristica degli oligarchi ucraini è che negli ultimi decenni hanno spesso avuto carriere politiche molto visibili, ricoprendo importanti incarichi pubblici. Il più noto è probabilmente il magnate dei dolci Poroshenko, presidente tra il 2014 e il 2019, ma quasi tutti gli uomini più ricchi del paese hanno avuto incarichi in amministrazioni locali. Kolomoisky, ad esempio, è stato per anni governatore della regione di Dnipropetrovsk.

In questo aspetto risiede la principale differenza con i più famosi oligarchi russi che, a partire dai primi anni Duemila, sono stati costretti dal presidente Vladimir Putin ad abbandonare le loro ambizioni politiche e a dedicarsi in modo esclusivo ai loro affari. Il continuo scontro tra clan di oligarchi è stato uno dei fattori che ha contribuito a mantenere l’agone politico ucraino competitivo e a produrre un settore mediatico pluralistico.

La fine di una classe

L’invasione su larga scala e la campagna di de-oligarchizzazione lanciata da Zelensky stanno cambiando profondamente questo quadro. Missili e bombe russe stanno distruggendo le più importanti proprietà degli oligarchi in tutto il paese, mentre l’occupazione porta con sé il rischio di esproprio e nazionalizzazione. 

Il potente e controverso oligarca Rinat Akhmetov, ad esempio, ha perso le sue acciaierie nella città di Mariupol, completamente distrutte nei combattimenti dell’anno scorso. Dmytro Firtash si è visto distruggere l’enorme impianto chimico che possedeva nella città di Severodonetsk, mentre prima di essere arrestato Kolomoisky aveva dovuto fermare le operazioni della sua raffineria di Kremenchuk a causa dei continui bombardamenti. La guerra rappresenta anche un rischio per l’incolumità fisica degli oligarchi: lo scorso luglio, un bombardamento russo sulla città di Mykolaiv ha ucciso il magnate del grano Oleksiy Vadatursky e la sua famiglia a Mykolaiv.

Zelensky non fa prigionieri

Anche il presidente Zelensky sta facendo la sua parte in questa rivoluzione nel bilanciamento dei poteri ucraini. All’inizio del suo mandato, le sue promesse di lotta alla corruzione e de-oligarchizzazione erano state prese poco sul serio dagli osservatori internazionali e dagli ucraini più critici, che lo consideravano poco più di un burattino di Kolomoisky. L’attore e comico senza esperienza politica era considerato un avversario non all’altezza dei potenti oligarchi.

Ma Zelensky ha saputo smentire i suoi critici. Paradossalmente è stata la guerra che ha consentito a Zelensky di schiacciare gli oligarchi, concordano esperti ed osservatori. Attraverso nazionalizzazioni, sanzioni internazionali e campagne anti-corruzione è riuscito a limitare le loro ambizioni politiche, sfruttando il conflitto per costringerli a sostenere il governo.

«La questione di cosa accadrà in futuro e di chi erediterà il potere politico ed economico degli oligarchi è complessa», dice Skorkin. Per decenni i clan degli oligarchi hanno soggiogato l’Ucraina ai loro interessi e il ridimensionamento della loro influenza sarà accolto con soddisfazione da molte persone. Ma allo stesso tempo, il loro potere orizzontale ha costituito a lungo un contrappeso al potere centrale e una delle principali barriere all’ascesa di un qualche forma di autoritarismo. «Questo rischio ora è considerevolmente più alto», dice Skorkin.

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