Una guerra combattuta tra macchine autonome in grado di operare senza il controllo umano è ancora fantascienza, ma la guerra in Ucraina e l’operazione militare contro Gaza hanno dimostrato quanto rapidamente sia progredita la ricerca in questo ambito. In entrambi gli scenari sono state usate armi con grado di autonomia superiore rispetto al passato e l’intelligenza artificiale è diventata una componente sempre più importante nell’individuazione dei target.

L’impiego di queste tecnologie è descritto da governi ed eserciti come utile a rendere più etiche le guerre, perché permetterebbero di meglio salvaguardare la vita dei soldati e ridurre le morti tra i civili, ma la realtà sul campo ha smentito queste dichiarazioni. Soprattutto nel caso dell’utilizzo dell’Ia a Gaza, come ampiamente riportato da inchieste internazionali.

«L’uso da parte di Israele del sistema Lavender per individuare i target ha portato i suoi sforzi bellici ad un volume e una scala senza precedenti», spiega Steven Feldstein, Senior Fellow del programma Democrazia e Conflitti del think tank Carnegie. «Come hanno dimostrato diversi rapporti, il sistema ha generato migliaia di potenziali bersagli in più rispetto alle guerre passate. Il risultato è stato un corrispondente aumento dei danni collaterali, ossia delle vittime civili».

Allo stesso tempo, gli sviluppi sul fronte dell’autonomia hanno aiutato l’Ucraina contro la Russia. Come evidenzia Feldstein, l’Ucraina non dispone di una propria marina militare, ma grazie all’uso innovativo di droni senza pilota è riuscita a danneggiare e distruggere un terzo della flotta russa nel Mar Nero, potendo così superare il blocco navale della Russia e facendo ripartire anche le esportazioni di grano. «Le innovazioni dell’Ucraina nel campo dei droni hanno rimodellato il modo in cui si combatte la guerra. Le innovazioni apportate inizialmente da Kiev – inondare cioè una certa zona con piccoli droni senza pilota e altri sensori – sono state replicate dai russi e sembra che ora ci sia quasi una parità tra i due eserciti su questo fronte. Quanto fatto dall’Ucraina nei primi giorni della guerra, però, è stato decisivo per ribaltare le sorti del conflitto».

D’altronde quella in Ucraina è stata più volte definita la guerra dei droni, a evidenziare il ruolo giocato da sistemi in grado di operare senza bisogno di un pilota, con un elevato grado di autonomia ma che necessitano ancora del cosiddetto man in the loop, cioè di un essere umano che decida se compiere o meno l’attacco.

La ricerca tecnologica intanto si sta muovendo verso sistemi completamente autonomi e letali, in grado di operare senza alcun controllo umano. Stati Uniti, Cina e Russia investono da decenni nel settore, ma tutti i governi sono interessati a queste tecnologie, Italia compresa.

Il caso italiano

Il nostro paese non è ancora dotato di armi letali autonome (note anche con l’acronimo inglese di LAWs), ma in questi ultimi anni si è assistito a una corsa verso i sistemi autonomi, come dimostra ad esempio l’acquisto dei droni kamikaze israeliani Hero 30. Queste munizioni saranno prodotte anche in Italia dalla RWM grazie a un accordo siglato dall’azienda con sede in Sardegna nel 2023 ha stipulato con l’israeliana UVision.

A essere coinvolto in questo avanzamento tecnologico con applicazioni militari è anche il mondo accademico. Come riportato nel report “Man in the loop” curato da info.nodes, il Politecnico di Milano e l’Università La Sapienza di Roma partecipano allo sviluppo di Vtlm-Ou, proposto al ministero della Difesa da Iveco Defence Vehicles, e di Saguvet, il sistema autonomo di guida universale per veicoli terrestri. In entrambi i casi si parla dell’applicazione di tecnologie semi-autonome o autonome su macchine e veicoli già in dotazione alle forze armate, ma l’interesse verso le LAWs è chiaro. Nel parere sul Piano nazionale di ripresa e resilienza rilasciato il 10 marzo 2021 dalla commissione Difesa della Camera è stata sottolineata «l’esigenza di valorizzare il contributo a favore della Difesa sviluppando le applicazioni dell’intelligenza artificiale».

Regolamentazione

Le guerre in corso però hanno anche reso evidente la necessità di regolamentare lo sviluppo delle LAWs prima che sia troppo tardi. Il dibattito è iniziato dieci anni fa all’interno della Convenzione delle Nazioni unite su certe armi convenzionali (Ccw), ma sono stati fatti ben pochi passi in avanti a causa dell’ostruzionismo delle grandi potenze, interessate a non rimanere indietro rispetto ai propri avversari. Qualcosa però sta cambiando. Ad aprile 2024, più di 900 rappresentati di 142 paesi si sono riuniti a Vienna per la prima Conferenza internazionale sui sistemi di armi autonome. Nelle conclusioni redatte dall’Austria, si afferma il forte impegno a lavorare «con urgenza e con tutte le parti interessate per uno strumento giuridico internazionale».

Come spiega Francesco Vignarca, membro italiano della campagna Stop Killer Robot, non bastano delle regolamentazioni nazionali per evitare il peggio. Rispetto ad altri sistemi d’arma che sono codificati per tecnologie o per tipologia, nel caso delle LAWs manca ancora una definizione tecnica condivisa a livello internazionale, «per questo ci si è concentrati sul mantenimento dell’uso significativo della forza. Serve una messa al bando internazionale o un trattato che obblighi ad avere un controllo umano significativo».

Dopo anni di stallo, a fine 2023 il dibattito sulle armi autonome è finalmente approdato all’Assemblea generale delle Nazioni unite, dove è stata votata una risoluzione per l’avvio di un percorso verso la messa al bando entro il 2026 di questi sistemi. Inoltre è stato chiesto al Segretario generale di far partire un processo di consultazione per avere entro la fine del 2024 un report che metta nero su bianco quello che si può fare sul tema delle LAWs.

Significativo è stato il cambio di posizione degli Stati Uniti, solitamente restii a ogni tipo di controllo. Come spiega Vignarca, gli Usa non sono mossi da considerazioni etiche: possono vantare il primato nella produzione di sistemi d’arma tradizionali (aerei, navi, missili ecc.), ma temono il sorpasso nelle nuove tecnologie. «La guerra in Ucraina ha dimostrato che il massiccio utilizzo di droni può rimescolare le carte. Gli Stati Uniti vogliono evitare il proliferare di settori e armamenti in cui potrebbero non avere il vantaggio competitivo che hanno oggi».

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