L’Italia è uno dei paesi europei che fin dal primo momento ha sostenuto militarmente l’Ucraina tramite l’invio di armi. Il governo guidato da Mario Draghi ha approvato i primi cinque pacchetti di aiuti, mentre quelli successivi hanno avuto il via libera dall’esecutivo di Giorgia Meloni. La quantità e il tipo di armi cedute dall’Italia all’Ucraina è tuttora sconosciuto: Draghi ha secretato il contenuto dei pacchetti per questioni di sicurezza e il governo attuale ha adottato le stesse restrizioni.

Secondo indiscrezioni, però, sarebbero stati inviati dispositivi di protezione come elmetti e giubbotti, munizioni di vario calibro, sistemi anticarro e antiaerei, come gli Stinger, mortai, lanciarazzi Milan, mitragliatrici leggere e pesanti, mezzi Lince, artiglieria trainata e semoventi Pzh2000 e i missili. In collaborazione con la Francia, l’Italia ha anche inviato all’Ucraina una batteria Samp-T, un sistema di difesa anti-missilistico realizzato dal consorzio italo-francese Eurosam, di cui fanno parte Mbda e Thales.

Da mesi si attende il nono pacchetto di aiuti, ma le elezioni europee ne hanno ritardato l’approvazione. Il contenuto sarà ancora una volta secretato, ma l’urgenza per Kiev resta quella di ottenere nuovi sistemi di difesa aerea per contrastare gli attacchi russi.

Negli ultimi mesi, intanto, diversi paesi occidentali schieratisi al fianco dell’Ucraina hanno cambiato la propria posizione sull’impiego delle armi cedute a Kiev, acconsentendo al loro utilizzo anche per attacchi contro il territorio russo. Uno dei limiti imposti inizialmente prevedeva proprio l’impiego di materiale bellico ceduto solo per compiere operazioni contro le truppe e le infrastrutture militari russe presenti in Ucraina.

Non tutti i paesi però hanno espresso il loro consenso: l’Italia è ancora contraria e ha anche ribadito di non voler inviare i propri soldati sul terreno di battaglia. Proposta quest’ultima più volte avanzata dalla Francia.

La legge 185/90

Ma come fa l’Italia a inviare armi a un paese in guerra? La legge 185/90 vieta l’export, l’import e il transito di materiale bellico verso paesi: in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite (diritto di autotutela di uno stato Onu in caso di aggressione); la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; sottoposti a embargo totale o parziale da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea; in cui ci sono gravi violazioni dei diritti umani, accertate però dalle Nazioni Unite, dall'Ue o dal Consiglio d'Europa.

L’Ucraina dunque non potrebbe ricevere armi dall’Italia, ma l’articolo 6 della normativa stabilisce che l’invio di materiale bellico verso uno Stato in guerra è possibile dietro approvazione di entrambe le Camere. Un’approvazione che i governi succedutisi dal 2022 a oggi hanno sempre ottenuto, nonostante i malumori per la mancanza di trasparenza sul contenuto degli aiuti.

Il decreto legge n. 14 del 2022 ha poi stabilito «le modalità di cessioni di armamenti e di equipaggiamenti militari da parte dell’Italia al governo ucraino» aggiungendo che «non ne prevede di diverse». L’Italia quindi non potrebbe vendere armi all’Ucraina, ma la “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento” relativa al 2023 dice tutt’altro.

L’Ucraina ha acquistato dalle aziende italiane armi per un valore di 417 milioni di euro, la maggior parte dei quali spesi in munizioni di vario calibro e sistemi di difesa. Kiev è balzata così al secondo posto tra i paesi importatori di materiale bellico italiano, superando nettamente i 3,8 milioni di acquisti dell’anno precedente.

La notizia della vendita di armi all’Ucraina, data in anteprima da L’Espresso, ha spinto il deputato del Movimento 5 Stelle Marco Pellegrini a presentare un’interrogazione parlamentare al ministro della Difesa, Guido Crosetto, per capire su quali basi siano state concesse le autorizzazioni all’export.

Il ministro ha risposto che Kiev sta esercitando il diritto all’autodifesa previsto dall’articolo 51 della Carta Onu, pertanto la fornitura di armi non è vietata dalla legge 185. Per Pellegrini, però, il Parlamento aveva perimetrato in maniera precisa la cessione delle armi, senza essersi mai espresso sulla loro vendita e senza nemmeno esserne stato informato.

Inoltre viene da chiedersi a cosa sia servito ricorrere a una delega contenuta nella legge 185/90 per cedere in forma gratuita del materiale bellico quando la stessa norma - a detto di Crosetto - non vieta nemmeno la vendita di armi all’Ucraina.

L’export

D’altronde l’esportazione verso paesi coinvolti in guerre o in cui si violano i diritti umani sono la norma in Italia. Nell’ultimo decennio le vendite verso governi autoritari e situati nell’area del Medio Oriente sono state quasi sempre superiori rispetto a quelle verso paesi dell’Unione europea o facenti parte della Nato. Come riportato nel report pubblicato nel 2024 dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri), nel quinquennio 2019-2023 al primo posto tra gli importatori di armi italiane troviamo il Qatar (27 per cento), poi l’Egitto (21 per cento) e al terzo il Kuwait (13 per cento).

L’Italia è anche il secondo esportatore in Turchia e il terzo in Israele. Il 71 per cento delle esportazioni italiane si è diretto quindi in Medioriente. Solo una volta l’Italia, con il governo Conte II, ha bloccato l’autorizzazione a nuove esportazioni di bombe prodotte dalla RWM verso gli Emirati e l’Arabia Saudita, dopo che un’inchiesta giornalistica aveva rivelato come queste armi venissero usate contro i civili in Yemen. Il divieto, imposto nel 2019, è stato revocato nel 2023 dal governo Meloni.

Sempre secondo il Sipri, nello stesso periodo di tempo Roma si è piazzata al sesto posto al mondo come esportatore di sistemi di armamento, dopo Stati Uniti, Francia e Russia, con un aumento dell’export dell’86 per cento nel solo 2023.

Le modifiche alla legge

Nonostante i limiti imposti dalla legge siano alla fine dei conti ben pochi, il governo Meloni sta portando avanti da inizio anno un processo di modifica della 185/90. Secondo il testo già approvato dal Senato, l’Ufficio tecnico che rilascia le autorizzazioni all’export sarà sostituito dal Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa, presieduto dal presidente del Consiglio e composto dai ministri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e del Made in Italy. In questo modo le decisioni avranno un carattere prettamente politico.

Inoltre, verranno ulteriormente limitate le informazioni contenute nella relazione inviata ogni anno alle Camere e utilizzata anche dalla società civile per controllare l’operato del governo, mentre viene abrogato l’obbligo di riferire in Parlamento sule attività degli istituti di credito coinvolte nelle operazioni di export e import di armi.

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