Tutto è cominciato dalle banche e tutto è finito con le banche, tornate in attivo dopo una lunga notte di sofferenze. Gli istituti greci hanno subito per primi l’onda d’urto della crisi del debito sovrano europeo che li ha costretti, in una domenica notte di giugno 2015, a bloccare e poi limitare a 60 euro al giorno l’erogazione dei contanti nei bancomat per evitare la fuga dei risparmiatori impauriti dalla crisi di liquidità.

Dopo essere state salvate dalla bancarotta con un’iniezione di 50 miliardi di euro ed essere state in parte nazionalizzate, il 28 marzo scorso, la Bce, per la prima volta dal 2008 – e dopo che il paese era uscito nel 2022 dalla sorveglianza fiscale Ue, in vigore da 12 anni nell’ambito degli accordi di salvataggio – ha dato il via libera ai pagamenti di dividendi delle banche greche.

Un ritorno alla normalità facilitato dal fatto che nel settembre 2023 la Grecia è tornata a un livello investment grade per S&P Global Ratings e, il 4 dicembre 2023, per Fitch.

Le banche greche hanno lavorato duramente per ridurre l’enorme quantità di crediti in sofferenza, eredità di una crisi finanziaria decennale che ha ridotto l’economia del 25 per cento. Secondo Reuters il tasso di esposizione dei non performing loans era pari al 3,5 per cento alla fine del 2023, in calo rispetto al 5,2 per cento nel 2022. Il margine di interesse netto – sempre fonte Reuters – è stato pari a 2,17 miliardi di euro lo scorso anno, un aumento annuo del 47 per cento, sulla scia degli alti tassi di interesse nella zona euro e di un’economia greca in ripresa.

Il Pil greco nel primo trimestre 2024 è cresciuto dello 0,7 per cento trimestre su trimestre e del 2,10 per cento anno su anno. Non male per l’ex “malato d’Europa” che l’ex ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, voleva cacciare dall’euro come monito per l’altra «cicala mediterranea», I’Italia.

L’origine di una rinascita

Tutto ciò è stato possibile grazie al taglio delle pensioni, all’azzeramento della contrattazione collettiva e alla svalutazione salariale che in mancanza di quella valutaria ha ridotto gli stipendi e aggiustato i conti pubblici e il conto delle partite correnti con immensi sacrifici dei dipendenti, pensionati e del loro potere di acquisto.

La disoccupazione a dicembre 2015 era al 24,6 per cento con quella giovanile al 49,7 per cento: lo scorso aprile era solo al 10,9 per cento. Ma c’è un risvolto importante: secondo un rapporto della Banca centrale di Grecia del 2018, circa 500mila greci, soprattutto giovani laureati su una popolazione complessiva di appena 10 milioni, dall’inizio della maggiore crisi economica di Atene dal Dopoguerra, hanno fatto le valigie e sono emigrati all’estero provocando una terribile fuga di cervelli. Molti si sono diretti in Germania, altri in Gran Bretagna, Australia e Stati Uniti.

La “settimana lunga”

La deregulation salariale ha picchiato duro. Da ultimo il parlamento greco ha appena varato, su proposta del governo conservatore Mitsotakis, dal 1° di luglio, la “settimana lunga” passando da 5 a sei giorni lavorativi e da 40 a 48 ore settimanali.

Aumento che potrà essere chiesto senza possibilità di rifiutare dall’imprenditore, se la sua attività necessitasse di una copertura di 12 o 24 ore su 24. Il sesto giorno sarà retribuito con una maggiorazione del 40 per cento.

L’esecutivo conservatore continua a spingere sulla deregolamentazione contrattuale per far correre l’economia che quest’anno crescerà del 2,2 per cento annuo. Il resto del lavoro di aggiustamento lo ha fatto il boom del turismo, che contribuisce al 20 per cento del Pil. L’altro polmone di crescita è stato l’aumento dei noli della flotta mercantile, una delle maggiori al mondo.

All’assalto dell’estero

Eurobank Holdings, maggior istituto di credito greco, il 7 marzo scorso ha registrato un utile operativo per il 2023 e ha affermato che la cifra aumenterà ulteriormente entro il 2026, poiché beneficia di un’attività in crescita a Cipro e in Bulgaria.

L’utile operativo core è aumentato del 69,4 per cento annuo nel 2023 a 1,47 miliardi di euro. Raggiungerà 1,6 miliardi di euro nel 2026, rispetto a 1,5 miliardi di euro di quest’anno, ha reso noto la banca che si sta espandendo a Cipro, dove ha aumentato la sua quota nella Hellenic Bank dal precedente 29,2 per cento al 55,3 per cento e dove potrebbe tentare l’acquisizione totale della banca cipriota. Impensabile fino a pochi mesi fa.

Un fondo sovrano

Atene costituirà il suo primo fondo sovrano per vendere beni statali che non erano stati venduti durante la crisi del debito. Il fondo, con un capitale iniziale di 300 milioni di euro (pochi per la verità), investirà i proventi di vendite di beni statali in progetti verdi, infrastrutture e nuove tecnologie, ha detto – come riporta Reuters – il ministro delle Finanze Kostis Hatzidakis in una conferenza stampa lo scorso 18 giugno, svelando il piano. «Abbiamo incaricato BlackRock di proporre la migliore struttura societaria per il fondo», ha aggiunto.

L’agenzia greca per la privatizzazione Hradf e il suo fondo di salvataggio bancario Hfsf saranno assorbiti dalla Società ellenica di attività e partecipazioni (Hcap), che gestisce un portafoglio di servizi statali. I fondi hanno raccolto congiuntamente più di 10 miliardi di euro dalla vendita di beni statali e partecipazioni bancarie per ridurre il debito greco durante la crisi del 2010-2018.

L’Hfsf, che ha privatizzato completamente tre istituti di credito greci, prevede di vendere la restante quota del 18 per cento nella Banca nazionale e una quota del 72,5 per cento nella banca Attica entro la fine dell’anno, ha chiarito Hatzidaki. Così, grazie alla svalutazione salariale, si chiude il capitolo delle nazionalizzazioni bancarie.

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