“Sciagura” o “tragedia”, qualcosa di legato al caso, alle condizioni del mare e del meteo, alla sfortuna. Cose che succedono. La strage del Mediterraneo si abbatte nuovamente sull'Italia, a 120 miglia dalle coste di Roccella Jonica, dove si registrano sessantasei annegati, tra cui decine di bambini: la piccola imbarcazione, probabilmente partita dalla zona di Smirne, si trovava in una zona di responsabilità italiana per quanto concerne la ricerca ed il soccorso (SaR). I superstiti sono stati appena dodici.

Non annegati in mare ma morti di fame, sete e caldo torrido sono altri dieci, trovati stipati nella stiva di una barca alla deriva in acque di competenza maltese a 40 miglia da Lampedusa, probabilmente partita dalla costa libica stracarica di esseri umani: cinquanta i salvati.

La gestione dei flussi migratori in Europa appare fuori controllo, fondata sul principio che è necessario evitare le partenze ad ogni costo, anche utilizzando la pedagogia del terrore verso chiunque abbia intenzione di muovere il primo passo verso l'Europa. Chi lo fa deve sapere che o ha a disposizione almeno 20.000 euro per un trasporto nel retro di qualche camion fino a Berlino, oppure va incontro alla morte in mare, o nelle foreste dei Balcani, oppure sulle Alpi che separano la Francia e l'Italia lungo la tragicamente ignorata “rotta Alpina”, dove solo poche settimane fa è stato ritrovato il cadavere di un essere umano divorato dai lupi.

Si era perso in una piccola vallata ad oltre duemila metri di quota lo scorso inverno, probabilmente durante le copiose nevicate che lo hanno aggredito durante la sua marcia notturna.

Violenza e repressione

Un modello di gestione della frontiera, e quindi della diversità, fondato sulla violenza e sulla repressione, a cui si aggiunge l'accordo italo albanese su quello che viene definito “hot spot” - una sorta di discarica umana per non desiderati – che verrà costruito a Shengjin. Un luogo la cui essenza sposa la linea della paura in modo esplicito: se arrivi in Italia illegalmente, condizione ormai sempre più vasta, la tua fine è in Albania.

Luogo da cui ovviamente riprenderà la marcia per tutti: per le organizzazioni criminali che gestiscono i passaggi dei confini più duri del “Game”, questo il nome della rotta dei Balcani, si apre una pacchia senza precedenti. I clienti vengono messi a loro disposizione direttamente da uno Stato, quello italiano.

Pronto uso, si creerà l'usuale mercato di criminali con offerte non solo di tipo logistico: usura, violenza sessuale, inquadramento di nuove leve di trafficanti disposti a tutto per recuperare denaro e proseguire il viaggio, questi sono i tre architravi della fiorente economia che si materializza laddove vengono creati gli “hot spot”.

Come in un crudele gioco dell'oca, chi perde viene rispedito indietro e da lì altro non ci sarà che nuova pena per andare avanti, unica possibilità: “Fallire, fallire ancora, fallire meglio” diceva Samuel Beckett, unica vera lettura dei processi migratori di ogni tempo.

In questo contesto la strage è un prodotto del respingimento, che esso avvenga in Albania o in Turchia è uguale.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è invece fiera di questa operazione, a maggior ragione dopo l'esito elettorale che l'ha vista premiata in un paese che ha smesso di votare: appena due settimane fa con adamantina sincerità ha sostenuto che il fine di questo “hot spot” è “fare un investimento: “le risorse che spendiamo in Albania le spenderemmo in Italia per gestire il fenomeno migratorio, con la differenza che in Italia sarebbero state spese per tenere il problema aperto mentre qui viene risolto”.

La “gestione del problema”, che viene perfino risolto, quindi non passa attraverso politiche di integrazione, per altro ampiamente richieste dal mondo produttivo – la presidente del Consiglio dovrebbe fare un giro nel saluzzese o nelle Langhe e parlare imprenditori agricoli o vitivinicoli per comprendere la pericolosità economica del suo “investimento” - bensì sposa l'idea che l'espulsione sia il metodo corretto per gestire il problema di chi è già in Italia illegalmente.

Modello greco

La vittoria della Presidente del Consiglio apre le porte a scenari europei dove il modello di “gestione del problema migratorio” italo albanese prende ancor più piede, dando fiato alla destra che vuole sbarrare le porte del continente a chiunque, in un vortice di durezza e spietatezza che distrugge i valori fondanti dell'Unione Europea.

In questo senso le stragi del mare e dei monti sono parte di un processo che sta avendo ampio successo, perché prima del modello Italia c'è quello greco, ungherese, croato e in generale quella parte di Europa a est di Trieste che si è inventata la guerra ai migranti come ideologia fondante della “nuova” destra.

La Grecia è un paese che ha fatto del suo ruolo di “scudo d'Europa” - come da definizione di Ursula Von der Leyen – un asset ideologico e economico: il confine con la Turchia via terra, lungo il fiume Evros, è di fatto una zona di guerra dove si scatena un inusitato apparato militare contro disgraziati che tentano di passare un corso d'acqua a bordo di zattere.

Idem per l'Egeo dove pochi giorni fa la Bbc ha denunciato le pratiche fuori controllo della guardia costiera, che sarebbe giunta a gettare esseri umani in mare. Fino a pochi mesi fa le testimonianze dei sopravvissuti raccontavano invece di tale pratica: una piccola imbarcazione stipata di esseri umani naviga alla volta di qualche isola greca che si trova di fronte alla città turca di Smirne. Viene raggiunta nel cuore della notte da un motovedetta da cui scendono uomini completamente vestiti di nero che indossano un mefisto. Armi in pugno, senza dire una parola, raggiungono la poppa, smontano il motore e lo gettano in mare. Poi se ne vanno lasciando la barca alla deriva.

Quanto appariva come una deriva di alcuni paesi nell'Europa post elettorale pare invece diventare un sistema di riferimento fondato sulla preservazione della identità, quale poi non si sa, e la chiusura verso ogni diversità: e non solo quella legata al mondo dei cosiddetti “migranti”, che sono semplicemente coloro che si trovano sulla linea del fronte.

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