Da sempre e ovunque, le guerra fanno litigare i leader politici con i loro generali. Si tratta di una regola inflessibile a cui il conflitto ucraino non fa eccezione. In Russia, lo scontro è stato spettacolare, senza precedenti, con Putin costretto ad alzare le barricate intorno a Mosca per fermare la marcia del suo condottiero ribelle, il leader di Wagner Evgenij Prigožin.

Kiev è ancora lontana dalle insurrezioni armate, ma gli ultimi giorni hanno visto il più grave scontro tra la leadership politica e quella militare dall’inizio della guerra, tra polemiche pubbliche, sostituzioni di alti comandi, processi e misteriose morti di alti ufficiali.

Lo scontro di questi giorni è iniziato con la pubblicazione da parte del comandante in capo dell’esercito ucraino, Valery Zaluzhny, di un articolo sul settimanale Economist in cui il generale fornisce una visione pessimistica del conflitto, diventato a parere suo uno stallo simile alla Prima guerra mondiale.

Sono parole in totale contrasto con la linea del presidente Zelensky - che non si rassegna a dichiarare conclusa in modo insoddisfacente la controffensiva estiva e continua a definire un obiettivo militare realizzabile il ritorno ai confini del 1991- e che hanno generato un’immediata reazione.

Zelensky ha negato lo stallo e ha detto che simili commenti «aiutano la Russia». Ai network americani che lo intervistavano, Zelensky non ha fatto esplicitamente il nome di Zaluzhny, anche per evitare ulteriori voci di divisioni interne presso le opinioni pubbliche alleate. Ma sui media ucraini, i suoi alleati hanno chiarito che il presidente non è soddisfatto dei commenti del suo generale. Il consigliere presidenziale, Igor Zhovkva, ad esempio, ha accusato esplicitamente il generale di diffondere «panico» tra gli alleati e di «facilitare il lavoro dell’aggressore».

«Non è un segreto che l’ufficio di Zelensky sia da tempo geloso di Zaluzhny», ha detto lo scienziato politico Volodymyr Fesenko, che era presente alla diretta televisiva in cui è intervenuto Zhovkva. Da un anno e mezzo, Zaluzhny è il secondo personaggio più popolare in Ucraina e, dicono i sondaggi, è l’unico possibile avversario di Zelensky alle future elezioni. Il generale non ha mai dato il minimo segnale di essere interessato alla politica, ma le speculazioni e i sussurri sulla sua possibile candidatura si sprecano.

Fesenko prova però a raffreddare le polemiche. «Non si tratta di un vero scontro - dice - Piuttosto di differenze tattico-stilistiche su come promuovere i nostri interessi in Occidente». Che la guerra si trascina da tempo, ha detto, non è un mistero nemmeno nell’ufficio di Zelensky, ma utilizzare il termine “stallo” era tabù per ovvi motivi legati al morale. Zelensky, inoltre, sa bene che non può muoversi apertamente contro Zaluzny, anche perché un attacco diretto finirebbe per spedirlo dritto nell’agone politico.

Anche se Zelensky non si prepara a rimuovere il suo comandante in capo e Zaluzhny non è pronto a marciare su Kiev con i carri armati, la situazione resta tesa. Dopo il fallimento della controffensiva, la leadership ucraina deve risolvere il conflitto insolubile tra i suoi obiettivi politici, il ritorno ai confini politici del 1991, e mezzi militari inadeguati a raggiungerli.

Scontro continuo

Nel frattempo, altri episodi contribuiscono a rendere ancora più tesa la relazione tra governo e generali, fornendo nuovo materiale ai giornalisti di gossip politico e alla propaganda del Cremlino, che sullo scontro tra presidente e generale ha macinato articoli per giorni.

Una settimana fa, ad esempio, Zelensky ha rimosso senza fornire spiegazioni Viktor Khorenko, comandante delle forze speciali ucraine, popolare tra i suoi soldati e tra i partner militari internazionali. Khorenko ha detto di aver saputo del suo licenziamento dai media e che lo stesso Zaluzhny, suo diretto superiore, non ha saputo fornirgli una ragione per la decisione del presidente.

Il comandante in capo non ha commentato la rimozione, ma altri hanno portato avanti la polemica per lui. L’ex primo ministro Pavlo Rozenko ha definito la rimozione di Khorenko «il tipo di errore che ci indebolisce in questa guerra». Altri parlamentari di opposizione hanno descritto il licenziamento di Khorenko come una delle più gravi intromissioni della politica nella conduzione delle questioni militari dall’inizio del conflitto.

Forse è la più grave, ma secondo molti non è certo la prima. Prima di oggi, la principale tensione tra politici e militari era emersa durante la difesa di Bakhmut, la “città fortezza”, come ribattezzata da Zelensky, che gli ucraini hanno provato a difendere fino a primavera inoltrata, quando ormai anche gli alleati suggerivano di abbandonarla. In estate, la decisione di concentrare su Bakhmut una delle punte della controffensiva è stata di nuovo accusata di essere una decisione politica che non ha convinto i comandi militari.

Se anche dal punto di vista militare dimenticarsi di Bakhmut era la decisione migliore, Zelensky però osservava la situazione da un punto di vista politico, dicono i suoi difensori. Kiev ha l’imperativo di mostrarsi sempre con l’iniziativa in mano e non può permettersi di perdere nuovi territori. Se mantenere questi obiettivi può essere militarmente costoso, fallirli significa perdere la fiducia degli alleati e infliggere nuovi colpi al morale di una popolazione già provata.

Guerra di voci

Mentre i comandi ucraini hanno fatto filtrare a partner militari, analisti e giornalisti occidentali i loro dubbi sulla strategia decisa a Kiev, l’entourage di Zelensky li ha ripagati con la stessa moneta. Questa settimana, fonti anonime hanno rivelato al Washington Post che il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, un’infrastruttura strategica di proprietà dell’alleato tedesco distrutta nel settembre dell’anno scorso, sarebbe stato organizzato su ordine di Zaluzhny tenendo all’oscuro l’ufficio del presidente.

Il responsabile organizzativo dell’attacco sarebbe un ufficiale già coinvolto in un processo che molti considerano una persecuzione politica. Si tratta del colonello Roman Chervinsky, celebre ufficiale di intelligence, arrestato dopo il fallimento di un suo piano per ottenere la resa di un pilota di caccia russo (il pilota ha finto di volersi consegnare a Kiev e ha fatto bombardare la base aerea ucraina dove sarebbe dovuto atterrare con il suo caccia). Chervinsky era da tempo critico con il presidente Zelensky che accusava di essere troppo morbido con la Russia. Oggi è sotto processo per aver agito senza ordini nell’affaire del pilota russo.

La paranoia sugli scontri interni alla leadership ucraina ha raggiunto livelli di guardia negli ultimi giorni, in seguito alla morte del maggior Hennadiy Chastyakov, uno dei principali aiutanti di Zaluzhny, ucciso dopo aver manipolato una granata ricevuta in regalo da un suo collega ufficiale, convinto che si trattasse di una replica. Non c’è il minimo indizio che si sia trattato di qualcosa di diverso da un grottesco incidente, ma le speculazioni continuano ad abbondare sulla stampa ucraina.

Soltanto questa settimana, giornali e deputati di opposizione danno per imminente la rimozione di almeno tre alti ufficiali, tra cui il comandante del gruppo strategico Tavria, responsabile dell’offensiva sul fronte meridionale, quella su cui Zaluzhny aveva puntato la maggior parte delle sue speranze. I retroscena hanno raggiunto un tale livello di fervore che il braccio destro di Zelensky, il potente capo di gabinetto Andrii Yermak, è dovuto andare in tv per sostenere che Zelensky non intende rimuovere Zaluzhny e che anche le altre voci sono prive di fondamento.

Guerra totale?

In ogni caso, non sarà rivoluzionando gli alti comandi che cambierà la situazione sul campo: con le attuali risorse, le forze armate di Kiev non sono in grado di raggiungere gli obiettivi decisi dalla politica, ossia la liberazione di tutti i territori occupati dalla Russia, Crimea compresa.

Per alcuni - opinionisti, blogger militari e politici per ora marginali – la soluzione è la mobilitazione totale dell’economia e della popolazione - quello che gli ucraini chiamano con il termine sovietico voyenni reyky, letteralmente “binari militari”. Si tratta di una prospettiva che terrorizza l’entourage presidenziale, concentrato a tenere in piedi la vita economica e civile, soprattutto nelle grandi città.

Lo stesso Zelensky ha detto di recente che la «militarizzazione totale dell’economia» dovrebbe essere sottoposta allo scrutinio dei cittadini prima di essere approvata, ma che «non è ancora arrivato il momento di farlo». Un’altra possibilità è quella di moderare gli obiettivi politici e accettare un sacrificio temporaneo di parte del territorio nazionale. È quanto chiedono figure politiche per ora ancora più marginali, come l’imprevedibile candidato presidente Oleksii Arestovych, e che viene respinta da gran parte degli ucraini.

Mobilitare l’economia o accettare sacrifici territoriali: dove si collocano nello spettro di queste posizioni estreme gli alti gradi dell’esercito, Zaluzhny e i suoi colleghi non lo hanno fatto sapere. E forse, in una democrazia, è meglio così.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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