È stata una visita lampo quella tenuta ieri in Libia dalla premier Giorgia Meloni accompagnata dalla ministra dell’Università e ricerca, Anna Maria Bernini, dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e da quello dello Sport, Andrea Abodi. Il viaggio è stato tenuto, per ovvi motivi di sicurezza, fuori dall’agenda ufficiale di Palazzo Chigi ma è soltanto l’ultimo che la delegazione di governo della cabina di regia del Piano Mattei ha svolto in questi mesi nel Nord Africa.

A proposito di Piano Mattei, oggi alla Farnesina si terrà il forum di dialogo imprenditoriale Italia-Africa con delegazioni provenienti da 21 paesi africani.

L’ultimo volo della premier a Tripoli risale al 28 gennaio del 2023, dopo di allora ha incontrato a Palazzo Chigi il 3 maggio dello scorso anno il generale Khalifa Haftar e nel mese successivo di giugno il suo omologo libico Abdel Hamid Dbeibeh. Entrambi sono stati inseriti nell’agenda di Meloni di ieri, che ha anche l’intenzione di far ripartire il processo di transizione politica oramai fallito nel paese.

Piano Mattei e migranti

La visita persegue due obiettivi fissati dal governo italiano: portare avanti il Piano Mattei e rafforzare la cooperazione per arginare i flussi migratori in vista di un aumento delle partenze per l’estate. I ministri hanno firmato dichiarazioni d’intenti con i loro omologhi per rafforzare la cooperazione nei tre ambiti di riferimento: salute, istruzione e sport.

Sono infatti allo studio progetti per rafforzare la formazione in ambito medico e finanziare strutture ospedaliere, aumentare lo scambio accademico e la promozione culturale, e, infine, realizzare e riqualificare impianti sportivi in Libia. Resta difficile comunque portare avanti progetti di cooperazione più strutturati in un paese in cui di fatto vige uno stato di anarchia in cui il potere è diviso tra gruppi di milizie paramilitari che garantisce un equilibrio seppur precario.

L’impressione è che sia uno specchietto per le allodole per perseguire un solo obiettivo a cui tiene il governo Meloni: fermare i migranti. Secondo gli ultimi dati del Viminale sono almeno 17.399 i migranti sbarcati in modo irregolare in Italia dall'inizio dell’anno al 6 maggio (-60,76 per cento rispetto al 2023), di cui oltre la metà sono partiti dalla Libia. Il flusso diminuito dalla Tunisia, dopo il memorandum of understanding firmato con Bruxelles, ha semplicemente cambiato la rotta.

Durante l’ultima riunione del Consiglio nazionale di sicurezza è stato lo stesso presidente tunisino ad annunciare che almeno 400 migranti sono stati respinti verso la Libia nella giornata di lunedì.

Anche per questo lo scorso 2 maggio il ministro dell’Interno Piantedosi ha tenuto una riunione con i suoi omologhi di Libia, Tunisia e Algeria. Paesi con cui nell’ultimo anno e mezzo sono stati firmati accordi in materia di sicurezza per rafforzare il controllo delle frontiere, fornendo finanziamenti attrezzature ed equipaggiamenti nonostante le violazioni commesse dai rispettivi apparati polizieschi a danno di migranti e cittadini.

L’obiettivo è fermare i flussi con un approccio regionale. Un piano su cui pendono diverse incognite a partire dalla collaborazione tra i vari governi nordafricani che non hanno intenzione di far rimanere sul proprio territorio i migranti in transito.

Gelo politico

Dopo aver incontrato il premier del governo di unità nazionale Dbeibah, molto criticato al suo interno per accuse di corruzione e il cui mandato è scaduto tempo fa, la premier si è recata a Bengasi per parlare con il generale Khalifa Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico (Enl). L’uomo forte della Cirenaica non gode del riconoscimento politico della comunità internazionale.

«Legittimare la sua figura politica potrebbe rappresentare un problema sui temi legati ai fenomeni transnazionali globali legati al traffico di esseri umani e al terrorismo», dice Giuseppe Dentice, responsabile desk Africa e Medio Oriente per il Centro studi internazionali (Cesi). «Oggi la Libia è un paese che rimane congelato e vive di pochi sussulti. Dall’ultima visita di Meloni però ci sono novità importanti, come le dimissioni dell’inviato delle Nazioni unite, Abdoulaye Bathily. Questo dovrebbe anche dare vita a un ripensamento strutturale delle missioni internazionali presenti nel paese», aggiunge. Bathily si è dimesso lo scorso 16 aprile, decretando il fallimento della diplomazia internazionale.

Fonti italiane informate del viaggio riferiscono che Meloni ha intenzione di ribadire il sostegno italiano per sostenere le mediazioni dell’Onu e arrivare a nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Uno scenario impossibile al momento. Nessuno degli attori in campo ha intenzione di cedere il potere. Più plausibile, invece, portare Bruxelles a Tripoli per rafforzare il dialogo e arrivare, magari, a un accordo simile come quelli firmati con Egitto e Tunisia, grazie alle mediazioni di Meloni. E questa visita ne getta le basi.

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