È passata poco più di una settimana dal naufragio avvenuto a 110 miglia dalle coste calabresi di cui sono stati recuperati al momento solo 14 corpi su 66 dispersi. Non sono ancora del tutto chiarite le dinamiche che hanno portato all’esplosione che ha fatto ribaltare l’imbarcazione e neanche le motivazioni del perché non è stata avviata un’operazione di ricerca e soccorso in mare dalle autorità marittime italiane. Il 24 giugno Nicola Fratoianni dell’Alleanza verdi sinistra italiana ha presentato un’interrogazione al governo per fare chiarezza sul naufragio più letale da quello di Cutro dello scorso anno, dove morirono 94 persone. Anche allora come, qualche giorno fa, l’imbarcazione naufragata, la Summer Love, era partita dal sud della Turchia per arrivare in Italia.

Quest’anno la rotta marittima che dalle coste turche trasporta i migranti in Europa rischia di diventare più trafficata, con il conseguente rischio di ulteriori morti in mare. La causa è l’aumento dei controlli alle vie terrestri della cosiddetta rotta Balcanica. Da marzo, infatti, l’Agenzia per il controllo delle frontiere dell’Ue (Frontex) ha inviato lungo il confine tra Bulgaria e Turchia tra i 500 e i 600 agenti. Come se non bastasse, lo scorso 25 giugno Frontex ha firmato un accordo con la Serbia che gli permette di dispiegare le sue forze di polizia nel paese per il controllo dell’immigrazione illegale.

Si tratta di un tassello che fa parte di un progetto più grande, portato avanti dall’Agenzia europea negli anni, ovvero l’azzeramento del flusso migratorio via terra della rotta Balcanica. Dopo che la Commissione Ue ha siglato accordi con Egitto, Tunisia, Mauritania per contenere le partenze dal sud del Mediterraneo, attraverso Frontex si è invece garantita un massiccio impiego di agenti di frontiera per coprire il suo fianco est. Negli ultimi due anni sono aumentate, infatti, le operazioni congiunte con i paesi dei Balcani. Dopo aver concluso accordi con Albania, Moldavia, Montenegro, Macedonia settentrionale e Serbia, l’Agenzia vuole investire risorse per avviare missioni congiunte anche in Bosnia-Erzegovina, dove presto aprirà un ufficio.

Il traffico della rotta

La rotta battuta nel Mediterraneo orientale è attiva da anni, lo dimostrano le indagini e i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

Tra gennaio e settembre del 2023, 22.421 migranti sono arrivati in Europa dalla Turchia, un numero stabile rispetto all’anno precedente, quando erano stati 22.821. Il punto di approdo finale però è stato soprattutto la Grecia: qui gli arrivi sono aumentati del 123 per cento, mentre in Italia sono diminuiti del 55 per cento. Partenze che comunque sono basse per via del pervasivo controllo della polizia turca, accusata più volte dalle ong di essere violenta e di violare i diritti umani. Nel 2022 sono stati intercettati dagli agenti turchi oltre 280mila migranti, nel 2023 ne sono stati fermati invece oltre 102mila (di cui oltre 24mila sono quelli catturati dalla guardia costiera).

Quest’anno i numeri risentiranno anche degli effetti del terremoto, che nel febbraio dello scorso anno ha colpito la Turchia orientale. Nelle 11 province dove si è verificato il sisma erano ospitati 1.7 milioni di siriani, 9mila sono morti. Il terremoto ha di fatto aumentato il numero degli sfollati interni e ha portato una migrazione all’interno del paese che culminerà – una volta racimolati un po’ di soldi – anche con il viaggio verso l’Europa.

Le tensioni sui rimpatri

Da otto anni la Turchia contiene il flusso di cittadini provenienti dall’Afghanistan, Pakistan, Siria e Libano. Lo fa forte dell’accordo siglato con l’Ue di quasi 10 miliardi di euro: di questa somma, a settembre 2023 erano stati stanziati 7 miliardi. L’accordo prevedeva, oltre al controllo delle frontiere, anche l’invio in Turchia dalla Grecia dei migranti che non sono ritenuti idonei a ricevere protezione internazionale. Ma a partire dalla pandemia questo meccanismo si è inceppato.

«Non sono stati compiuti progressi per quanto riguarda la piena attuazione dell’accordo di riammissione Ue-Turchia. La Turchia ha mantenuto la sua posizione di non voler attuare le disposizioni relative ai cittadini di paesi terzi fino all’abolizione dell’obbligo di visto per i suoi cittadini che si recano nell’area Schengen»: è quanto si legge nel report della Commissione europea sulla Turchia pubblicato a fine 2023.

In poche parole, la Turchia ha di fatto fermato i rimpatri dalla Grecia fino a quando non ottiene l’abolizione del visto per i suoi cittadini che hanno intenzione di viaggiare verso i paesi dell’area Schengen. I rimpatri sono stati sospesi in maniera unilaterale da parte delle autorità di Ankara durante la pandemia, con la scusa dei problemi di salute. Da quel momento non sono mai ricominciati. Tra il 2016 e il 2020, 2.140 persone (tra cui 412 cittadini siriani) sono state riammesse in Turchia dalla Grecia.

Diverso è il discorso per i rimpatri commessi dalle autorità turche verso i paesi di provenienza dei migranti. Nel 2022 sono stati rimpatriati 124.441 migranti, il 160 per cento in più rispetto ai 46.653 del 2021. La metà di loro sono afghani.

I trafficanti

Con quasi oltre 3.6 milioni di rifugiati presenti, la Turchia è uno dei paesi crocevia delle rotte migratorie. Lungo i suoi confini arrivano milioni di persone che scappano da conflitti civili, guerre, povertà e carestie. Negli anni la polizia turca con l’aiuto di droni ed equipaggiamenti all’avanguardia ha compiuto blitz e operazioni per contrastare il traffico di esseri umani.

Solo nel 2022 sono stati arrestati 9.149 trafficanti, lo stesso anno 1.720 persone sono state condannate con accuse di traffico di migranti. Gli arresti lo scorso anno sono stati oltre 3.259.

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