Al telefono il presidente del Niger Mohamed Bazoum sembra su di morale anche se la sua situazione rimane precaria. È chiuso nella sua residenza con moglie e figlio, senza corrente elettrica (il che significa soprattutto senza aria condizionata in un paese torrido).

Le porte sono sbarrate dall’esterno dalla guardia presidenziale che doveva proteggerlo e invece si è ribellata il 26 luglio scorso, per ordine del generale Abderrahmane Tchiani. Bazoum dice di ricevere continue telefonate dai leader occidentali e dai suoi pari africani, che stanno pensando a come risolvere l’ennesimo colpo di stato africano.

C’è molta solidarietà ma anche molta incertezza sul da farsi. La spirale iniziata in Mali e proseguita con Guinea, Burkina e ora Niger, sta preoccupando un po’ tutti e per diverse ragioni.

Gli europei vedono andare in fumo gli accordi per il contenimento delle migrazioni, particolarmente efficaci con Niamey fin dal presidente precedente Mamadou Issoufou.

Gli africani sono invece preoccupati per la tenuta della democrazia nel continente: ogni fallimento aumenta lo spazio per poteri alternativi come il jihadismo. Gli americani non vorrebbero che venisse meno la lotta al terrorismo islamista, particolarmente forte nel Sahel.

La Cina è impensierita dagli ostacoli al commercio che le instabilità africane possono provocare. La guerra in Ucraina aumenta i rischi causando penurie ma anche strumentalizzazioni come quelle della Wagner.

Se in Africa prevale il caos, le conseguenze saranno negative un po’ per tutti con fenomeni disordinati non del tutto prevedibili. Al telefono il presidente Bazoum afferma ancora di sperare in una soluzione per il golpe che definisce «opportunistico e di pura convenienza». Non c’erano ragioni impellenti per poter anche lontanamente giustificare l’intervento dei militari.

L’Ecowas

Cosa farà la comunità internazionale e soprattutto la regionale africana Ecowas? Alcuni spingono per l’intervento militare ma la maggioranza degli stati membri sono scettici: un’operazione offensiva di questo tipo non è mai stata provata in Africa e anche altrove non ha dato quasi mai buoni risultati.

Al di là della retorica e della propaganda, spostare gli eserciti necessita di una logistica che nessuno possiede, nemmeno i militari nigeriani. Prova ne siano le difficoltà che questi ultimi continuano ad avere nel contrasto ai Boko Haram.

Sono forse i ciadiani ad avere l’esercito più efficiente, anche se hanno già fatto sapere che non interverranno: dalla morte del presidente Idriss Deby preferiscono concentrarsi sui loro problemi interni.

I golpisti organizzano manifestazioni di sostegno alla loro giunta, non difficili da predisporre, e fanno sventolare bandiere russe. È probabile che il primo interesse di Tchiani sia in realtà quello di essere riconosciuto come interlocutore. Per questo sta provocando la comunità internazionale che deve ancora decidere se iniziare a dialogarci e come farlo.

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