Instagram non è più un posto per la politica e l’informazione. La policy del social network e di suo fratello minore Threads è cambiata. Ad annunciarlo era stato il Ceo della piattaforma Adam Mosseri lo scorso 28 febbraio. La novità è arrivata anche in Italia e avrà molte implicazioni sul modo in cui le persone si informano e prendono decisioni quando vanno a votare.

Da questo momento gli utenti non vedranno più i post, le storie e i reel a sfondo politico e sociale suggeriti in organico, quello che invece gli apparirà sul feed saranno i contenuti pubblicati dagli account che seguono e quelli sponsorizzati. Questo significa che il candidato e le società di marketing con maggior potere economico otterranno più visibilità, engagement e possibilità di rendere efficace la propaganda politica, a discapito di chi non ha le stesse capacità di investimento.

I motivi

La decisione di Meta sembra essere dettata da tre fattori principali.

Il primo è legato al contesto politico che stiamo vivendo. Il 2024 è l’anno elettorale per eccellenza, con più della metà della popolazione che si reca alle urne. Le elezioni presidenziali statunitensi e quelle europee - in particolare - impongono alle piattaforme un lavoro di moderazione meticoloso, per evitare che la disinformazione generata dagli avversari politici e dalle campagne di influenza di agenti esterni (come Russia e Cina) abbia un impatto decisivo sul processo democratico.

Il secondo è dettato dall’esplosione dell’intelligenza artificiale e dalla velocità con cui contenuti falsi, estremamente realistici, si propagano sui social media.

Il terzo fattore - invece - si collega al modello di business di Meta per cui l’advertising commerciale ha un ruolo molto più rilevante di quello politico.

«Meta ha subito un pesante danno di reputazione dagli scandali sulla disinformazione e manipolazione elettorale da Cambridge Analytica in poi. La maggior parte degli utenti usa Instagram come una piattaforma di intrattenimento più che di informazione, per cui probabilmente da Meta si sono chiesti: perché dobbiamo complicarci la vita rischiando altri scandali? Togliamo il più possibile la politica dai nostri social media», spiega Claudio Riccio, docente di Etica della comunicazione allo IED.

Com’era prima

Meta ha da tempo un problema con i contenuti politici, ma non è sempre stato così. Nel 2008 - durante la sua prima campagna presidenziale - Barack Obama ha utilizzato magistralmente Facebook come piattaforma per la raccolta fondi, il coinvolgimento dei cittadini, l'organizzazione dei volontari e la distribuzione dei messaggi. La comunicazione sul social media è stata fondamentale per la sua elezione e ha giocato un ruolo importante anche per la campagna elettorale del 2012.

Le Primavere arabe sono state dipinte come una rivoluzione di Facebook e Twitter. Era la fine del 2010 quando Wael Ghonim – oggi responsabile del marketing di Google per il Medio Oriente - fondò su Facebook la pagina "We are all Khaled Said”, dal nome del ragazzo ucciso dalla polizia di Alessandria il 6 giugno 2010. La pagina nasceva per condannare la brutalità degli agenti egiziani e contribuì in modo decisivo alla rivoluzione del 25 gennaio 2011, quando 300mila persone scesero in piazza Tahrir, al Cairo, per manifestare contro il regime del presidente Hosni Mubarak.

«I social media hanno sicuramente contribuito ad organizzare dei movimenti, a rendere efficace il richiamo alla mobilitazione rispetto al passato. Di colpo abbiamo scoperto di avere uno strumento che prima non avevamo. Però le Primavere arabe non le hanno fatte Facebook o Twitter, ma le persone e le condizioni di repressione che le hanno spinte a reagire, quindi c’è stata una sopravvalutazione del ruolo delle piattaforme in questo contesto. Inoltre, se fino ad oggi abbiamo utilizzato Facebook e Instagram per promuovere manifestazioni politiche e sociali, domani potrebbe non essere più così», dice Riccio.

L’impatto dei social sull’opinione pubblica

Le grandi corporation, come Meta, che posseggono le piattaforme che utilizziamo con una media tra cinque e sei ore al giorno, hanno un unico interesse: vendere la nostra costante attenzione agli inserzionisti pubblicitari. I nostri smartphone sono come delle piccole televisioni attaccate alle mani da cui non ci scolliamo mai, l’intrattenimento è a costo zero perchè lo facciamo noi, con le nostre vite, i nostri pensieri, i nostri aperitivi, le nostre foto sgranate al mare, storia dopo storia, post dopo post.

In questo scrolling compulsivo, abbiamo anche imparato ad informarci, a condividere i video della distruzione dei villaggi ucraini, i treni carichi di persone in fuga verso la Polonia, le proteste pro-aborto nelle città americane. Abbiamo visto che cosa succede dentro Gaza grazie ai video dei citizen journalist come Motaz Aizaz, che per mesi ha rischiato la vita raccontando al mondo che cosa succede ai palestinesi tramite il suo canale Instagram.

Tutto questo ha necessariamente un impatto sull’informazione, sull’opinione pubblica e sulle scelte dei politici.

«Dobbiamo focalizzarci su quanto sia problematico il fatto che le scelte dell’amministratore delegato di un’azienda privata cambino le regole del gioco democratico di milioni di persone. Questo è un problema e un’incognita enorme per le nostre democrazie e per la qualità dell’informazione», spiega Riccio.

I rischi

Il rischio è che la nuova policy di Meta abbia un impatto diretto sulla scelte delle notizie da parte dei canali di informazione su Instagram e Threads.

Se il tipo di contenuto che viene privilegiato dalle piattaforme è leggero - tra l’infotainment e il puro intrattenimento - gli account di media e progetti editoriali tenderanno a produrre più soft news per generare engagement e rendere sostenibile il proprio modello di business. Per esempio: si parlerà più di sport o spettacoli, notizie che hanno un rilievo inferiore nella democrazia di un Paese rispetto a un’azione del governo o alla guerra a Gaza.

«Gli algoritmi delle piattaforme sono fatti per essere incentivanti dal punto di vista della creazione di contenuti, ma se io non troverò soddisfazione nel produrre post o reel sulla società, le diseguaglianze e i diritti - perchè ogni volta che li creo vengono visti da sei persone - smetterò di informare su quei temi e parlerò di altro», aggiunge Riccio.

Distorsione della realtà

«Si rischia di fare una valutazione distorta, per cui non ottengo engagement da contenuti politici perché non interessano alle persone. Non è così: il numero di like è il risultato di un algoritmo che droga le visualizzazioni di un post e disincentiva quelle di un altro», conclude Riccio.

La manipolazione non è soltanto generare un deepfake che ci dà una notizia falsa, ma è anche condizionare le persone dal punto di vista dell’agenda setting: se nel mio feed vedrò solo influencer che mi raccontano la loro beauty routine e foto di ristoranti, è difficile che votare alle elezioni europee diventi una mia priorità.

Rimarrò chiuso nella mia bolla, super connessa ma dotata di un filtro spesso, costruito da qualcun altro, che decide che cosa devo sapere e che cosa no.

Come riattivare i contenuti politici

Per eludere il blocco e continuare a vedere i contenuti politici anche dagli account suggeriti (quelli che non segui) basta cliccare in alto a destra sulla barra del menù (tre righe orizzontali) e cercare la voce “contenuti suggeriti”. Poi selezionare “contenuti di natura politica” e scegliere l’opzione “non limitare i contenuti di natura politica delle persone che non segui”.


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