Gli agenti di polizia di Los Angeles sono entrati nel campus della University of California e hanno arrestato 132 manifestanti pro-Palestina, accampatisi nei pressi dell’edificio Royce Hall. Mentre i poliziotti stavano entrando in tenuta antisommossa, i manifestanti cercavano di rinforzare le barricate. Dentro l’accampamento, una troupe della Cnn ha visto gli agenti sparare dei proiettili in gomma.

Tre ore dopo l’inizio dell’intervento, la polizia ha sgomberato l’area, sta identificando i manifestanti e li sta caricando su autobus delle forze dell’ordine. Un gruppo di manifestanti si è riunito attorno al perimetro del campus per supportare le persone arrestate, ma la situazione è apparsa tranquilla.

L’università ha invitato gli studenti a evitare di andare nel campus e agli studenti che vivono nel campus di stare alla larga dall’area Royce Quad.

In seguito agli scontri avvenuti nella notte tra martedì e mercoledì, la Ucla ha annullato le lezioni di mercoledì e rimandato gli esami di metà semestre. Poi, verso le 19, la direzione del campus ha ordinato ai manifestanti di lasciare l’accampamento o sarebbero stati arrestati.

La protesta alla Ucla

La protesta alla Ucla è stata pacifica fino agli scontri di martedì notte, quando il sit-in che supporta i palestinesi è stato attaccato da un gruppo vicino alle rivendicazioni israeliane. Lo scontro, iniziato verso le 23 di martedì, si è protratto per diverso tempo senza che la polizia intervenisse. Gli agenti sono poi arrivati attorno alle 1,15 di mercoledì.

Ci sono state colluttazioni, agenti chimici spruzzati nell’aria e le persone sono state prese a calci o bastonate. Molti partecipanti non sembrano essere stati studenti. Secondo le autorità cittadine, verso le 23 i manifestanti della parte avversa hanno iniziato a smontare la barricata dell’accampamento eretta con cancelli, compensato e ombrelloni da spiaggia.

«Avevano spray contro gli orsi, lacrimogeni, lanciavano aste in legno e bottiglie d’acqua», racconta Marie Salem, 28 anni, studentessa e manifestante pro-Palestina. «Hanno sparato fuochi d’artificio verso il nostro accampamento, eravamo tutti ai nostri posti, stavamo solo difendendo le nostre barricate». I video sui social mostrano l’esplosione dei fuochi d’artificio vicino ai manifestanti e persone che usano spray urticanti verso altri.

Sulla scena erano presenti gli agenti di sicurezza del campus e i paramedici, ma sembra che la Ucla non abbia chiamato subito la polizia di Los Angeles. All’arrivo dei poliziotti attorno alle 1,15 di mercoledì, i manifestanti pro-Israele hanno gridato lo slogan «Back the blue», riferendosi al gruppo Blue Lives Matter nato nel 2014 in opposizione al movimento Black Lives Matter. Blue Lives Matter supporta le azioni dei poliziotti e vuole che i reati commessi contro di essi siano classificati come reati d’odio.

Alle 3,30 le autorità sono riuscite a inserirsi nella mischia e la situazione è tornata sotto controllo. Non sono mancate critiche per la gestione della situazione da parte dell’università, accusata dall’associazione della Ucla Palestinian Solidarity Encampment - composta da studenti, professori e membri della comunità - di non aver protetto i propri allievi nel momento in cui hanno chiesto aiuto e protezione dai manifestanti della parte avversa.

L’approccio della direzione dell’università è cambiato verso le 16 di martedì: il cancelliere della Ucla, Gene Block, ha affermato: «La Ucla supporta le proteste pacifiche, ma non l’attivismo che impedisce di portare avanti la nostra missione accademica e fa sentire le persone della nostra comunità bullizzate, minacciate e spaventate».

La federazione ebraica di Los Angeles ha condannato l’attacco dei manifestanti pro-Israele e ha affermato che «non rappresentano la comunità ebraica o i loro valori».

La situazione dei manifestanti negli Stati Uniti

Gli arresti alla Ucla avvengono due giorni dopo l’intervento della polizia alla Columbia University di New York che ha portato al fermo di 109 dimostranti. Nelle ultime settimane la Columbia è diventata il centro delle proteste contro le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza e il 18 aprile erano già state prese in custodia altre 108 persone. Il distretto di polizia della città ha reso noto che delle 282 persone arrestate alla Columbia e in un’altra università, il City College of New York, 134 non erano affiliati con le due istituzioni.

Mercoledì le forze di polizia sono intervenute anche alla Fordham University, dopo la costruzione di un accampamento nel campus di Manhattan, ma la polizia non ha ancora reso noto il numero di persone coinvolte.

In tutto il paese dopo il 18 aprile, giorno dei primi arresti alla Columbia, le manifestazioni a sostegno della popolazione di Gaza sono nate in molte università americane, come Yale, Emerson College, Princeton e Ucla. In molti casi, le proteste sono pacifiche e non hanno visto l’intervento della polizia, come alla Northwestern University, dove i dimostranti hanno raggiunto un accordo con l’università.

In altre università, tra cui quelle citate sopra, le forze di polizia hanno arrestato i manifestanti, studenti dei college e non, rimosso gli accampamenti e minacciato ripercussioni accademiche, secondo il new York Times. Dal 18 aprile, le persone arrestate sono più di 1600.

I motivi delle proteste

La richiesta più urgente dei dimostranti riguarda la fine dell’operazione israeliana a Gaza, che ha portato alla morte di più di 34mila civili palestinesi.

Gli studenti inoltre chiedono alle università di disinvestire o recidere i legami finanziari con lo Stato ebraico o le compagnie che traggono profitti dall’invasione israeliana della Striscia. Ci sono tuttavia delle differenze sostanziali tra le diverse università.

Alcuni studenti di Yale e della Cornell chiedono ai loro college di fermare gli investimenti nelle industrie di armi. Alla Columbia invece vorrebbero che l’università vendesse le holding che possiede in Google, azienda tech che ha stipulato un importante contratto con il governo di Israele, e Airbnb, che permette la prenotazione di alloggi nelle colonie israeliane in Cisgiordania.

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