Comincia oggi la settimana campale di Giorgia Meloni, in una corsa a ostacoli di impegni che guardano a Bruxelles, mentre in Italia il governo arranca nel dare risposta a due emergenze silenziose – il lavoro irregolare e il sovraffollamento carcerario – a cui da tempo promette invece soluzioni.

In mattinata la premier presiede la riunione del consiglio dei ministri: un ordine del giorno scarno a cui potrebbero però aggiungersi in corsa nuove misure, anche alla luce della manifestazione di sabato contro il caporalato. In serata, invece, si siederà nel suo studio per un incontro con il primo ministro ungherese Viktor Orban, in vista del semestre di presidenza ungherese del consiglio, ed è facile intuire su cosa si consumerà il confronto. Il 27 e 28 giugno, infatti, si terrà a Bruxelles il consiglio europeo e tutto è ancora aperto per assegnare i cosiddetti top jobs, ovvero le quattro nomine al vertice delle principali istituzioni dell’Unione Europea.

Tra Meloni, che è presidente del gruppo dei Conservatori europei, e Orban l’ultimo incontro risale a non più tardi della scorsa settimana, prima della cena informale tra i capi di Stato e governo dei 27 paesi membri in cui si sarebbe dovuto chiudere il pacchetto di nomine.

Nel frattempo, però, la situazione si è ulteriormente complicata: Orban è fuori da Ecr e in aperto contrasto con l’ultradestra dei romeni di Aus, che sono appena entrati nel gruppo e anche questo arriverà sul tavolo dell’incontro. Inoltre, l’ungherese continua ad essere scettico sulla posizione filo-Ucraina dell’Unione e anche questo è un punto di frizione con Meloni, che del sostegno a Volodymyr Zelensky ha fatto una bandiera. Eppure, se apparentemente le distanze tra gli interessi italiani e quelli ungheresi sembrano aumentare, il vertice romano tra i due leader dimostra che il fronte dei partiti di ultradestra europei continua ad essere caldo: Orban, infatti, potrebbe scegliere di avvicinarsi al duo Le Pen-Salvini nel gruppo di Identità e Democrazia, oppure aderire a un nuovo gruppo ancora più a destra di Ecr, che i tedeschi di Alternative fuer Deutschland sarebbero pronti a fondare, spezzettando in tre il fronte destro. Se così fosse, si aprirebbero ulteriori scenari, anche alla luce del fatto che dal primo luglio l’Ungheria con il suo premier sarà presidente di turno del Consiglio europeo, dunque stabilirà l’agenda dei temi da discutere. 

Il punto cruciale, però, è il ruolo che vorrà giocare nell’Ue dei prossimi cinque anni il partito di Meloni, che guida uno dei paesi fondatori e ha eletto 24 eurodeputati, che sarebbero utili a stabilizzare la nuova maggioranza a sostegno della popolare uscente Ursula von der Leyen, appoggiata anche da socialisti e liberali.

La partita a scacchi europea è complicatissima e tutta interna al Ppe, che ha colto la fragilità della posizione di von der Leyen. Una parte dei popolari, capitanata da Manfred Weber, sponsorizza l’apertura a tutto il gruppo conservatore di Ecr; sul fronte opposto, invece, il polacco Donald Tusk sarebbe disponibile ad aprire solamente agli eletti di FdI di Meloni, lasciando invece all’opposizione il resto dell’ultradestra europea riunita in Ecr con i polacchi del Pis, gli spagnoli di Vox, i francesi di Reconquête e i rumeni di Aur.

Di qui il dilemma di Meloni, che dovrà superare ogni ambiguità e decidere se accettare la mano tesa dei popolari, anche se questo significasse lasciare indietro il gruppo che presiede. In questa direzione spinge ovviamente il ministro degli Esteri Antonio Tajani: Forza Italia è da sempre in forza al Ppe e il vicepremier è della stessa area di Weber, auspicando l’ingresso di Ecr nella maggioranza così da sancire lo spostamento verso destra dell’orientamento politico della prossima Commissione. Anche nel fine settimana, in una intervista alla Stampa, ha ribadito che «all'Italia spetta un commissario di peso che sia vicepresidente», auspicando che «il Ppe apra ai conservatori, giovedì al summit del partito porterò questa posizione e spero che passi».

Il tempo per decidere stringe: mercoledì la premier relazionerà al parlamento, con le comunicazioni in vista del consiglio europeo, poi partirà alla volta di Bruxelles in cui i giochi si faranno.

Il cdm

Intanto, però, la situazione interna in Italia ribolle. La manifestazione di Latina contro il caporalato e le morti sul lavoro ha mostrato l’immobilità del governo sul tema, nonostante gli annunci della ministra Marina Calderone. Soluzioni all’orizzonte non ne appaiono, se non la previsione di alcuni emendamenti nel prossimo decreto Agricoltura e «il raddoppio nel 2024 del numero delle ispezioni» di cui ha parlato la Ministra. Per farlo servirebbe un aumento anche degli ispettori, ma l’assunzione dei nuovi 1600 funzionari previsto nel decreto Pnrr di marzo è per ora riuscito solo a metà. Il nodo, però, non è solo quello dei controlli ma anche della ricattabilità di lavoratori stranieri irregolari. Su questo batterà l’opposizione, con il Pd che ha annunciato una proposta per abolire la Bossi-Fini e riscriverla interamente. Nessuna risposta, invece, dal governo è attesa – salvo modifiche dell’ultima ora – almeno dal consiglio dei ministri di oggi. In cui non compare nemmeno il decreto carceri per affrontare il problema del sovraffollamento al 130 per cento (e dei suicidi, che hanno toccato il numero record di 44 dall’inizio dell’anno) annunciato dal guardasigilli Carlo Nordio addirittura per il cdm della settimana scorsa, di cui non si è più trovata traccia.

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