La Bolivia è seduta sul futuro del mondo, e l'annuncio del colpo di Stato di mercoledì 26 giugno lo ha ricordato di nuovo. Gli eventi noti si sono svolti in poche ore, con un finale a dir poco sorprendente. Juan José Zuñiga, comandante generale dell'esercito, martedì viene destituito dal presidente Luis Arce dopo aver minacciato il governo socialista in carica. Il pomeriggio seguente Zuñiga si presenta in piazza Murillo, a La Paz: un blindato abbatte il portone principale del palazzo del governo, dove in quel momento è in corso una riunione tra il presidente e i ministri.

Decine di soldati entrano. Se ci siano stati accordi tra Zuñiga e Arce non è emerso, ma di certo tre ore dopo è finito tutto. Il presidente ha fatto un discorso alla nazione, ha denunciato un golpe in corso e nominato i nuovi vertici delle forze armate: José Wilson Sánchez Velásquez comandante dell'esercito, Gerardo Zabala all'aeronautica militare, Renán Guardia numero uno della Marina.

Tanto è bastato perché i militari mobilitati da Zuñiga rientrassero nelle caserme e a La Paz tornasse la pace. Al momento sono rimaste ferite 9 persone. Arrestati Zuniga e Juan Arnez Salvador, capo della marina militare. Il ministro dell'Interno, Eduardo del Castillo, ha detto che i due ufficiali saranno processati. Ha aggiunto che ci sono altre persone, non meglio specificate, che potrebbero essere indagate.

L’oro bianco

Dietro le tre ore di indecifrabile caos boliviano c'è la lotta per il potere, che nel caso di specie vuol dire soprattutto litio. Serve a tutto il mondo per passare dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, e infatti da anni mette in scena una guerra economica che vede come protagonisti principali Cina e Stati Uniti. Le batterie attuali rappresentano circa il 40 per cento del costo di un'auto elettrica e si basano sul litio. Per questo secondo molti è diventato l'oro bianco, il petrolio del futuro. Il presidente Arce lo sa e ci gioca. Nel 2023 ha dichiarato che il suo Paese possiede la «prima riserva mondiale di litio», pari a 23 milioni di tonnellate. Quasi tutta la materia prima è concentrata nel triangolo dell'altopiano andino compreso tra le regioni di Potosí e Coipasa, al confine di Cile e Argentina. È in mano alla società statale Yacimientos de Litio Bolivianos.

Ex alleato di Morales, già ministro dell'Economia, socialista come lui ma distaccatosi dall'ex presidente negli ultimi anni, Arce sa di essere a capo di un Paese che in pochi anni ha assunto un'importanza strategica paragonabile a quella di pochi altri al mondo. «La Bolivia è diventata un punto di interesse per le potenze mondiali, così come per un Paese vicino che cerca di controllare le nostre risorse strategiche», ha detto ad aprile di quest'anno davanti ai cadetti dell'accademia militare.

Come Morales prima di lui, è sempre stato molto critico verso gli Stati Uniti e le teorie sul libero mercato, così come larga parte della popolazione boliviana. D'altronde la storia recente del Paese è stata caratterizzata dalle dittature militari degli anni Settanta, sostenute dagli Usa, e dallo sviluppo sociale portato dalla presidenza socialista di Morales, durata 14 anni, che ha avuto come risultato un crollo dell'analfabetismo e della povertà. La spesa pubblica è stata sostenuta soprattutto grazie alla nazionalizzazione delle compagnie produttrici di idrocarburi e minerali. Tra cui, ovviamente, non poteva mancare quella del litio.

Nel 2020, quando è salito al potere, molti osservatori si aspettavano che Arce avrebbe adottato politiche più morbide verso le compagnie occidentali. Si sbagliavano. Hanno iniziato ad accorgersene dopo l'invasione russa dell'Ucraina, mai condannata dal presidente. Poi sono arrivate le mosse commerciali. A giugno dell'anno scorso la compagnia statale Yacimientos de Litio Bolivianos ha firmato accordi per la costruzione di due impianti per la produzione di carbonato di litio, dal valore complessivo di 1,4 miliardi di dollari, con la cinese Citic Guoan e la russa Uranium One Group. A gennaio di quest'anno il governo ha annunciato un altro accordo, potenzialmente ancora più importante, con un consorzio cinese di cui fa parte Catl, il gigante dei veicoli elettrici di Pechino: prevede di sviluppare un impianto pilota di estrazione a Salar de Uyuni, il maggior giacimento di litio della nazione.

A marzo la responsabile del U.S. Army’s Southern Command, Laura Richardson, ha fatto sentire la voce degli Stati Uniti su quanto sta succedendo nel cosiddetto “triangolo del litio”, quella parte di Ande a cavallo tra Cile, Argentina e Bolivia, dove si stima che sia concentrato il 60 per cento della materia prima a livello mondiale. «La regione è piena di risorse, mi preoccupa la malignità dei nostri avversari nell'avvantaggiarsi di questa situazione, si atteggiano a investitori mentre in realtà stanno estraendo». Arce ha voluto rispondere pochi giorni dopo, ribadendo da che parte sta: «L'estrema destra nazionale e internazionale si sta concentrando ancora una volta sulla Bolivia».

Agli interessi internazionali si aggiungono le critiche interne. Quelle più pungenti sono arrivate proprio da Morales e dai suoi. L'ex presidente ha accusato Arce di incassare poche royalties dalle compagnie estrattive, ma soprattutto ha gettato un'ombra sull'assegnazione di queste licenze, dichiarando che a giocare un ruolo opaco ci sarebbe il figlio, Marcelo Arce. Proprio su questo ha puntato il generale Zuñiga mercoledì, dopo l'arresto.

L'ex capo dell'esercito ha dichiarato che non è stato un tentativo di golpe, ma una messa in scena creata da lui su richiesta di Arce. Obiettivo? Così facendo il presidente vuole apparire come un campione della democrazia e spostare l'attenzione dalle accuse di Morales, ha detto Zuñiga. Come in ogni colpo di stato, l'identità di eventuali mandanti si scoprirà forse solo tra qualche decennio. Intanto, tutti gli attori in gara restano in corsa per la ricchezza boliviana, di cui nessuno può fare a meno.

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