Venti giorni, dal 9 giugno, data di firma del decreto di scioglimento dell’Assemblea nazionale, al 29, vigilia del primo turno: quella che in Francia si è appena conclusa è stata la campagna elettorale più breve della storia della quinta Repubblica.

A deciderlo, subito dopo la batosta incassata alle europee, è stato il presidente Emmanuel Macron. «Gli ho lanciato una granata in mezzo alle gambe, ora vediamo come se la cavano», avrebbe detto in una conversazione privata riportata da Le Monde, lasciando intendere la volontà di accelerare i tempi per impedire agli avversari di prepararsi adeguatamente all’appuntamento elettorale.

La scommessa sembra persa. Il Rassemblement national di Marine Le Pen è saldamente in testa ai sondaggi, mentre i partiti di sinistra hanno formato in tempi record una coalizione competitiva.

A pagare il prezzo della fretta dell’inquilino dell’Eliseo sono stati invece migliaia di elettori che non hanno potuto iscriversi in tempo alle liste elettorali e i partiti minori che, reduci dalla costosa campagna delle europee, si sono trovati nell’impossibilità di affrontarne un’altra.

Liste congelate

«C’è un enorme problema di correttezza democratica», dice l’avvocato Yannis Smaali, che a nome del partito di sinistra La France Insoumise ha sollecitato l’intervento della Corte costituzionale. In particolare, Smaali contesta la misura di congelamento delle liste elettorali contenuta nel decreto di convocazione delle elezioni.

In Francia, l’iscrizione alle liste, necessaria per poter votare, non è automatica, ma bisogna richiederla in comune. L’istituto nazionale di statistica Insee stima a 2,9 milioni il numero di cittadini non iscritti e 7,7 milioni quelli iscritti in un comune diverso da quello di domicilio: oltre 10 milioni in totale, più del 20 per cento del corpo elettorale. Dalle scorse legislative, quelle del 2022, il numero di iscritti è aumentato, anche grazie a una campagna di sensibilizzazione attivata in vista delle europee.

Chi però non ha colto quell’occasione, oppure ha scoperto proprio recandosi ai seggi il 9 giugno di non essere iscritto o di essere registrato in un altro comune, resterà fuori dai giochi anche alle legislative: congelando le liste contestualmente alla convocazione delle elezioni, Macron ha impedito qualsiasi nuova iscrizione o cambiamento di comune.

«In nessuno dei precedenti casi di scioglimento anticipato è stata inserita una misura del genere – dice Smaali – Nulla giustifica questa decisione, è una scelta politica».

Alla Corte costituzionale l’avvocato aveva chiesto di consentire l’iscrizione per almeno 24 o 48 ore, ma la richiesta è stata respinta lo scorso 20 giugno insieme a nove ricorsi presentati da altri soggetti.

Poche possibilità

Nel 2022, l’astensione aveva superato il 52 per cento, record assoluto per le legislative. Oggi le proiezioni prevedono invece un balzo dell’affluenza, che però è misurata in proporzione agli iscritti. Restano cioè esclusi, dal voto e dal calcolo, i milioni di francesi a cui è stata negata la possibilità di registrarsi.

Chi invece potrà recarsi alle urne dovrà scegliere tra un ventaglio ridotto di possibilità: sono infatti poco più di 4mila i candidati ammessi al primo turno nelle 577 circoscrizioni, con una media di sette candidati per circoscrizione.

Si tratta del livello più basso dal 2002: due anni fa, nell’ultima tornata di legislative, erano 6.290, in media 11 per circoscrizione. È l’altro effetto della “granata” sganciata da Macron: appena usciti da una campagna per le europee molto costosa, diversi partiti sono stati costretti a rinunciare a concorrere per avere una rappresentanza all’Assemblea nazionale per la mancanza delle risorse necessarie.

È il caso del Partito animalista, che alle europee ha raccolto quasi mezzo milione di preferenze, il 2 per cento dei voti validi. Per la prima volta dalla sua fondazione nel 2016, non ha presentato candidati alle legislative.

«La campagna per le europee ci ha lasciato con 400mila euro di debiti e rischiamo di dover lasciare a casa dei dipendenti – dice la cofondatrice e copresidente Hélène Thouy, intervistata da Domani – Abbiamo speso 1,4 milioni, quasi esclusivamente per la stampa e il trasporto delle schede elettorali, dei manifesti e dei programmi da spedire a casa degli elettori».

Le schede elettorali

Quella delle schede è una questione tutt’altro che irrilevante: al seggio l’elettore non riceve una scheda unica sulla quale indicare la propria preferenza tra le liste presenti come avviene in Italia e nella maggior parte degli altri paesi.

Trova invece una scheda per ogni lista: dovrà prenderne almeno due e poi, nel segreto della cabina, inserire in una busta quella della lista a cui intende dare il voto e gettare le altre.

A farsi carico dei costi di stampa e distribuzione delle schede, che quindi devono essere tante quanti gli aventi diritto (quasi 50 milioni), sono le liste stesse, che vengono rimborsate dallo stato soltanto se superano la soglia del 3 per cento alle europee e del 5 per cento al primo turno delle legislative.

Nel 2022 sono stati emessi rimborsi per 41 milioni di euro a fronte di 62,57 milioni di spese totali, circa 10mila per candidato.

Finanziamento pubblico

Per il Partito animalista e altre formazioni costrette a rinunciare alla corsa elettorale la condanna è doppia, perché la mancata partecipazione alle legislative preclude l’accesso a un altro canale di finanziamento pubblico.

Ogni anno, lo stato francese stanzia circa 66 milioni di euro per i partiti politici: la metà è distribuita in funzione del peso in parlamento, l’altra proporzionalmente ai risultati ottenuti alle legislative più recenti tra le formazioni che hanno superato l’1 per cento in almeno 50 circoscrizioni.

Il Partito animalista per esempio, che alle elezioni del 2022 ha raggiunto quella soglia pur senza eleggere parlamentari, l’anno scorso ha potuto ottenere 411mila euro per sostenere le proprie attività. Rinunciando a questa tornata, sfuma anche questa possibilità, almeno fino a nuove elezioni.

«È un sistema che già di per sé discrimina i partiti sulla base delle loro capacità economiche – continua Thouy –, ma certamente la scelta di Macron di convocare le elezioni la sera stessa dei risultati delle europee nel tentativo di indebolire gli avversari ha accentuato queste distorsioni. Siamo di fronte a un problema di democrazia enorme, in gioco c’è il pluralismo».

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