«Sarò il primo ministro che garantirà incondizionatamente a ogni ragazza e a ogni donna in Francia i suoi diritti e le sue libertà». In un video diffuso sui social, Jordan Bardella si è rivolto così all’elettorato femminile del paese, in vista dell’imminente primo turno delle politiche.

Il candidato di Rassemblement national ha rimarcato l’impegno «inflessibile» del suo partito in difesa della salute delle donne e della loro sicurezza, in particolare la sicurezza di muoversi liberamente nelle strade e negli spazi pubblici.

La reazione delle femministe francesi non si è fatta attendere, si sono moltiplicate le dichiarazioni che smascherano le bugie e le mistificazioni di un partito che – è l’accusa – è stato invece prevalentemente inerte, assente o ostile, sia in sede nazionale sia in sede europea, di fronte a provvedimenti per la parità retributiva o i diritti sessuali e riproduttivi. E che intende la protezione dalla violenza di genere solo in chiave securitaria, come una leva da usare per giustificare provvedimenti anti-migranti.

Tuttavia, il tentativo di forze della destra radicale di sfoggiare quello che appare come un femminismo di facciata segnala il peso nuovo che questi temi hanno assunto nella competizione politica. E impone di interrogarsi sulle ragioni.

Femminismo elettorale

La prima, e la più ovvia, è la volontà di ingrossare le fila delle sostenitrici. Il partito di Marine Le Pen, che i sondaggi continuano a dare come super favorito, è proteso da tempo verso l’obiettivo di chiudere il gap di genere nel suo elettorato. Negli ultimi cinque anni ha infatti aumentato di dieci punti i suoi consensi tra le donne. Un simile risultato si deve soprattutto alla capacità della stessa leader – simile in questo a Giorgia Meloni – di valorizzare i tratti femminili del suo profilo politico, di sposare selettivamente motivi femministi, di sfruttare qualità e caratteristiche tipicamente associate alle donne, in particolare alle madri, ai fini di offrire un volto rassicurante e protettivo.

Non senza contraddizioni, Le Pen è riuscita a combinare la difesa dei diritti delle donne con il favore verso posizioni tradizionaliste – come l’idea di famiglia “naturale” propagandata dai partiti suoi alleati in Europa – e nazionaliste, spostando alcune battaglie care ai movimenti femministi, come quello della lotta alla violenza di genere, sul terreno dello scontro identitario.

La sfida femminista

C’è però forse un significato più profondo in questo tentativo della destra di accreditarsi sul terreno dei desideri e dei bisogni delle donne, in questa nuova contesa tra forze politiche che ha per oggetto l’eredità e i contenuti del femminismo. Partiti tradizionalmente reazionari hanno compreso che la sfida femminista riguarda questioni politicamente cruciali in questo tempo, come la riproduzione sociale, la demografia, la protezione della vita, e mostrano tutta l’intenzione di agire sullo stesso piano discorsivo, non sempre offrendo una visione radicalmente avversa, più spesso appropriandosi degli stessi temi e linguaggi e distorcendoli, fino allo stravolgimento.

Così ha potuto prodursi quello che sarei per definire un equivoco, cioè la convinzione che esista un femminismo di destra, compatibile con l’agenda nativista e autoritaria di queste parti politiche. Quando invece il femminismo è, in ogni sua espressione, forza trasformativa radicale, istanza di rovesciamento di tutte le ingiustizie.

In Francia si trova il laboratorio più avanzato di una forma nuova e insidiosa di contesa politica sul terreno della libertà delle donne. Ed è tempo di affinare gli strumenti per combatterlo.

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