Nel pomeriggio di ieri l’esercito israeliano ha colpito una scuola dell’Unrwa adibita a rifugio e considerata una “zona sicura” a Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Le vittime sono almeno 14 tra cui donne e bambini. Non è la prima volta che Israele colpisce delle scuole, è almeno la sesta dal primo di agosto. Per l’Idf, la scuola, adibita rifugio per sfollati, ospitava un comando di Hamas, dal quale sarebbero stati pianificati attacchi contro le forze israeliane a Gaza e contro Israele.

Quello di Nuseirat, arrivato all’indomani della strage al campo profughi di Khan Yunis, non è stato l’unico raid della giornata. Nella notte tra il dieci e l’undici settembre l’esercito israeliano aveva attaccato il più grande campo profughi della Striscia, quello di Jabaliya nel nord di Gaza. Nel raid erano morte undici persone, tra cui sei fratelli tra i ventuno mesi e i vent’anni. Avevano perso la vita anche tre donne, un bambino e un uomo. Il 10 settembre il ministro della Difesa Yoav Gallant aveva comunicato ai giornalisti internazionali che: «Hamas era considerato annientato nella Striscia».

Ma il raid è anche avvenuto dopo che, in un’intervista a Bloomberg, il responsabile degli ostaggi del governo israeliano, Gal Hirsch, aveva offerto la disponibilità di Israele era pronto a garantire al leader di Hamas, Yahya Sinwar, un passaggio sicuro per uscire da Gaza. In cambio chiedeva il rilascio degli ostaggi israeliani e la rinuncia da parte dell'organizzazione al controllo sulla Striscia. Il capo politico di Hamas non ha fatto sapere nulla in merito alla possibilità di giungere a un accordo.

Cisgiordania

Ma il conflitto non si limita alla sola Striscia, sta sconfinando in Cisgiordania dove la situazione per i palestinesi che vi risiedono è pericolosa. Lo ha affermato anche il presidente americano Joe Biden dicendo che «la violenza nella West Bank st andando avanti da troppo tempo». Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, ieri sono state uccise cinque persone durante un attacco israeliano sul villaggio di Tubas, in Cisgiordania. L’Idf ha confermato di aver lanciato un’operazione nel paese e di aver colpito una cellula di militanti armati.

L’ong israeliana Yesh Din, che lavora nei territori occupati, ieri mattina ha testimoniato con un video gli incendi appiccati da un gruppo di coloni su degli ulivi di proprietà di un contadino palestinese. L’organizzazione ha denunciato l’accaduto chiedendo all’esercito di prepararsi «adeguatamente per prevenire la violenza contro gli agricoltori e i danni agli alberi e per garantire che il raccolto abbia luogo». Intanto gli Stati Uniti continuano a cercare di fare chiarezza sull’uccisione dell’attivista turco-americana Aysenur Ezgi Eygi.

Si è pronunciato prima Joe Biden dicendosi «indignato» e ha chiesto «piena responsabilità per l’accaduto». Alla dichiarazione del presidente degli Stati Uniti è seguita quella della candidata presidenziale e vicepresidente Kamala Harris: «L’accaduto solleva legittime domande sulla condotta del personale delle Idf in Cisgiordania». La posizione di entrambi riecheggia quella tenuta qualche giorno fa da da Anthony Blinken quando, commentando l’omicidio di Eygi, lo aveva definito «non provocato e ingiustificato».

Libano

Infine, ieri ci sono stati scontri anche su un terzo fronte: quello del Libano. L’Idf ha comunicato via Telegram che sono stati colpiti «circa 30 sistemi di lancio e infrastrutture militari di Hezbollah nel sud della regione» e che è stato colpito e ucciso il combattente Hani Ezzeddine. I raid sono iniziati nella notte tra il nove e il dieci settembre e continuati la mattina successiva.

L’organizzazione politica e paramilitare libanese ha annunciato ieri pomeriggio quattro attacchi con missili e «armi appropriate» contro quattro postazioni militari israeliane nel nord del paese e nelle fattorie occupate di Shebaa.

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