Prima sono stati arrestati gli oppositori politici, poi gli attivisti e i giornalisti che criticano il regime. Ora è il momento di chi lavora per associazioni e ong che si occupano di migranti. Lo scorso 6 maggio il presidente tunisino Kais Saïed, parlando al Consiglio nazionale di sicurezza, ha annunciato l’inizio di un giro di vite per le associazioni che si occupano di rifugiati e difendono i loro diritti. «Non c’è posto per associazioni che possano sostituire lo stato», ha detto.

«Ingenti somme di denaro affluiscono dall’estero verso i migranti africani e a beneficio delle reti e delle associazioni operanti in Tunisia che pretendono falsamente di proteggerli», ha aggiunto il presidente tunisino che ha accusato i vertici di queste ong di essere dei «traditori» e degli «agenti stranieri».

Detto fatto. Mentre il presidente Saïed parlava nel Consiglio di sicurezza, Saadia Mosbah, presidente di un’associazione che lotta contro la discriminazione razziale (Mnemty), è stata arrestata sulla base della legge relativa alla lotta al terrorismo e i loro uffici perquisiti. Da oltre un anno aveva iniziato a criticare le politiche migratorie e i discorsi xenofobi del presidente tunisino.

La polizia ha fatto irruzione anche negli uffici dell’associazione Terre d’Asile Tunisie (Tat) a Tunisi e Sfax. L’ex direttrice Sherifa Riahi è stata interrogata e arrestata con le stesse accuse rivolte anche a Mosbah.

Infine, è stato il turno del presidente e del vicepresidente del Consiglio tunisino per i rifugiati (Ctr), organizzazione che fornisce supporto alle attività dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). In una nota della procura si legge che sono accusati di «associazioni a delinquere finalizzate ad aiutare le persone ad accedere al territorio tunisino».

Contro i migranti

I discorsi xenofobi e razzisti del presidente tunisino alimentano anche sentimenti d’odio e comportamenti discriminatori da parte della popolazione tunisina. Ad Al-Amera, nel governatorato di Sfax, la popolazione ha indetto manifestazioni e proteste per chiedere l’espulsione di migliaia di migranti che dopo essere stati cacciati dal centro di Sfax hanno trovato una sistemazione di fortuna.

Di recente sono stati sfrattati da un centro culturale giovanile presente a La Marsa decine di migranti subsahariani. Si trovavano lì da anni, in una situazione di incertezza dopo che erano stati sgomberati dal campo profughi di Choucha nel 2017. Negli ultimi giorni almeno 400 migranti sono invece stati espulsi lungo i confini con la Libia e l’Algeria, come accadeva lo scorso anno.

La stampa

In questo clima anche raccontare cosa accade nel paese è sempre più complicato per i giornalisti e i fotografi. L’Unione nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) ha denunciato le «restrizioni sistematiche» imposte a chi lavora nel settore dei media in Tunisia. L’organizzazione ha annunciato che rivedrà la sua partnership con il ministero dell’Interno sulla sicurezza dei giornalisti la prossima settimana, nata nel 2017 e considerata oramai inefficace.

Il sostegno dell’Ue e di Meloni

EPA

Nonostante la repressione, il presidente Saïed gode del sostegno economico da parte dell’Unione europea e del governo italiano di Giorgia Meloni. Tre settimane fa la premier si trovava nel Palazzo Cartagine di Tunisi accompagnata da una delegazione di diversi ministri per firmare accordi e intese nell’ambito della cooperazione e lo sviluppo.

In quell’occasione Meloni ha elogiato il lavoro portato avanti dalle autorità tunisine nell’intercettare chi attraversa il Mediterraneo verso le coste europee. 

Tra il 1° gennaio e il 15 aprile, la Guardia nazionale tunisina ha affermato di aver intercettato almeno 21.270 migranti, quasi 9mila in più rispetto al 2023. Infatti, secondo i dati del Viminale gli sbarchi in Italia provenienti dalla Tunisia sono diminuiti del 67.9 per cento. 

Numeri che, anche se subiranno variazioni in vista dell’aumento delle partenze con l’estate, hanno un costo. Un costo pagato dai migranti e dalla società civile.

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