- Questo è un nuovo appuntamento con Areale, la newsletter ambientale di Domani.
- In questo numero parliamo della richiesta di rinvio della Cop26, di dati preoccupanti sulla biodiversità degli alberi, di speranza nella conservazione animale, dell’erbario di Chernobyl e della sinfonia per città che affondano.
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Buongiorno lettori e lettrici di Domani,
scrivo questo numero di Areale da Tolmezzo, Friuli, al termine di un viaggio partito giorni fa dal Trentino per vedere cosa rimane, tre anni dopo, della tempesta Vaia. La notte del 29 ottobre 2018 Vaia sconvolse queste valli e i testimoni raccontano innanzitutto una cosa: che quel vento era caldissimo. Che non ci potevano credere a quanto fosse caldo.
Caddero dodici milioni di metri cubi di alberi in poche ore, ancora oggi è una ferita aperta per le valli del Triveneto. Le ferite tendono a trasformarsi, a cambiare forma: oggi anche la cicatrice è infetta, e l’infezione si chiama bostrico, un insetto che si riproduce nella corteccia degli alberi e che secca uno dopo l’altro gli abeti rossi, stressati dal caldo e dalla devastazione della tempesta. Il bostrico rischia di raddoppiarne gli effetti, come una seconda tempesta in slow motion. Il contagio oggi si presenta così: strisce di alberi arrossati. Tra un anno non ci saranno più, quelli intorno saranno arrossati a loro volta, e così via.
Ne riparleremo, ma ora partiamo.
Cosa succede con la Cop?
Succede che mancano meno di due mesi all’inizio del negoziati per il clima di Glasgow, data di partenza il 1 novembre, ma la conversazione tra associazioni, ong e attivisti al momento è: dovrebbe esserci questa Cop26 per il clima oppure è il caso di rinviare tutto, di nuovo, per il secondo anno consecutivo?
La conferenza globale del 2020 era stata spostata al 2021 a causa della seconda ondata di pandemia in corso. Questa settimana un network di attivisti ha chiesto di spostare anche quella del 2021, per la diseguaglianza nella distribuzione dei vaccini (in Africa sono arrivati a meno del 3 per cento della popolazione), per il caos legato alle quarantene dai paesi della lista rossa britannica e per i costi logistici che le delegazioni più deboli sono costrette a sobbarcarsi.
La domanda di fondo è: come può una conferenza globale il cui obiettivo è abbattere le diseguaglianze climatiche (uno dei focus principali di questa edizione saranno i fondi di finanza climatica per i paesi più vulnerabili) svolgersi in una situazione di accesso così diseguale?
Era un argomento del quale si discuteva sotto traccia da mesi, aveva preso posizione anche Greta Thunberg in primavera, ora è toccato al Climate Action International sollevare pubblicamente il tema. La rete parla a nome di un gruppo nutrito e influente di organizzazioni, tra queste Greenpeace, Wwf, Oxfam, Amnesty International, Rainforest Alliance. «È evidente che al momento una conferenza sul clima sicura, inclusiva e autenticamente globale non si potrà tenere a inizio novembre, perché di fatto escluderebbe troppi tra delegati governativi, membri della società civile e giornalisti provenienti dai paesi del sud globale, molti dei quali sono sulla lista rossa Covid-19 del Regno Unito».
Non ci sono solo i livelli di vaccinazione a preoccupare gli attivisti, ma anche i costi insostenibili degli alloggi nella città di Glasgow durante il periodo della conferenza: un albergo 3 stelle in città oggi offre da listino una stanza singola a 13mila euro per le dodici notti della Cop. E poi ci sono le tortuose regole britanniche per la quarantena, che di fatto raddoppiano i costi per i paesi più poveri: quasi ogni stato dei 62 sulla lista rossa britannica di chi deve sottoporsi ai dieci giorni di quarantena in hotel è un paese in via di sviluppo. Sono ostacoli che rischiano di escludere o indebolire da un punto di vista diplomatico i paesi più vulnerabili nell’evento più importante sul clima degli ultimi cinque anni.
Tutto questo è un gran pasticcio per il governo di Boris Johnson, che sulla riuscita della Cop26 (co-organizzata dall’Italia, per altro, sempre più invisibile in questi scenari) si gioca una parte della sua credibilità internazionale.
Le misure messe in campo dal Regno Unito per rispondere a questo appello sono: pagare la quarantena in albergo a delegati e giornalisti e far partire una campagna di vaccinazione con Astrazeneca per chiunque sia interessato. Di un altro rinvio però non vogliono assolutamente sentir parlare, «L’evento è stato già spostato una volta, ma sappiamo tutti troppo bene che il clima non si è preso una pausa», ha detto Alok Sharma, il ministro britannico plenipotenziario sulla Cop. L’alternativa sarebbe trasferire tutto online, una scelta che però indebolirebbe negoziati che si annunciano già delicati e niente affatto facili. L’alternativa – verso la quale sembra orientato il Regno Unito – è un evento ibrido tra incontri in presenza e possibilità di partecipare in digitale alle sessioni.
Alberi in via di estinzione
In sostanza, stiamo globalmente perdendo anche gli alberi, a un ritmo mai visto prima. Mentre c’è una corsa globale a piantarne sempre di più per contrastare, tamponare e a volta occultare la crisi climatica, la loro biodiversità rischia di crollare a un tasso più rapido di quello di mammiferi, rettili, uccelli e anfibi messi insieme.
È quello che ci dice il rapporto quinquennale State of the World’s Trees, la più grande valutazione mai fatta sullo stato di conservazione degli alberi, messa insieme tenendo conto di 58.500 specie. Ebbene, circa un terzo, 17.500, sono a rischio estinzione, con 440 sull’orlo della scomparsa imminente. È come se la vita sulla Terra perdesse i suoi dettagli più vividi, in una sparizione mediaticamente invisibile. «Se il nostro obiettivo è imparare a vivere in armonia con la natura entro il 2050», ha detto Maruma Mrema, segretaria della Un Convention on Biological Diversity, «abbiamo il dovere di mettere al centro dei nostri sforzi la conservazione degli alberi».
Circa un quinto delle specie arboree nel mondo vengono usate direttamente dagli esseri umani, come cibo, carburante, legname. Non sorprendentemente le specie a più stretto contatto con l’utilizzo antropico spesso sono anche quelle più a rischio di estinzione. La regione con la maggior percentuale di specie minacciate sono gli Afrotropici, cioè Africa subsahariana, isole dell’oceano indiano occidentale e penisola arabica, dove il 40 per cento delle specie è a rischio di estinzione. Altre zone in crisi, Indonesia, Malesia e Brasile. L’Europa non sta messa meglio: quasi la metà degli alberi nativi è a rischio. Ma il paese con più biodiversità arborea minacciata in assoluto è il Madagascar: 1.842 in pericolo di estinzione. A oggi le specie di alberi estinte sono solo lo 0,2 per cento. È qualcosa che siamo ancora in tempo a fermare.
La speranza del rinoceronte
Continuiamo a parlare di conservazione, e in questo caso di animali. A Marsiglia si chiude oggi il congresso dell’International union for conservation of nature (Iucn), è il motivo per cui sui giornali italiani si leggono in questi giorni tante notizie su singole specie in pericolo: è il momento della presentazione dei risultati di ricerca e dei relativi comunicati stampa. Tra le novità più interessanti c’è l’introduzione del Green status per le specie in pericolo.
Un piccolo passo indietro: Iucn è un’organizzazione internazionale il cui ruolo è raccogliere dati, diffondere analisi e fare ricerca sulla conservazione della natura, ed è famosa soprattutto per la sua «lista rossa», la fonte più affidabile e usata per definire una specie «in via di estinzione». Dal nuovo congresso si è deciso un approccio nuovo e integrato, accanto al rosso ci sarà anche il verde, una serie di metriche per dirci non solo quanto una specie sia vicina all’estinzione ma anche il suo potenziale, presente e futuro, di una ripresa.
È una cosa importante per vari motivi ed è meglio spiegarla con un esempio: il rinoceronte di Sumatra. Nel mondo ce ne sono solo 80 allo stato brado, è una delle specie più minacciate al mondo e lo è da quando esiste la lista rossa, dove è sempre stata presente e nella quale attualmente si trova all’ultimo livello prima dell’estinzione. Insomma, malissimo, una storia di grande e prolungata preoccupazione.
Ma c’è un’altra verità accanto a questa: le sue prospettive non sono così negative come le precedenti frasi farebbero pensare, la prognosi è riservata ma il suo potenziale per una ripresa completa esiste ancora, è cresciuto grazie agli sforzi degli ultimi decenni ed è del 50 per cento nel lungo termine.
Il Green status offre proprio questo angolo, racconta di potenziali vittorie altrimenti invisibili. Come nel caso del rinoceronte di Sumatra, «che altrimenti viene considerato poco più di un reperto da museo», come scrive Yale 360. È una cosa che cambia la prospettiva e la narrativa, offre strumenti per un’assegnazione più efficace di fondi per conservazione e ricerca, e aggiunge un ingrediente fondamentale, la speranza.
Sinfonia per città che affondano
Vi parlo di una sinfonia che non ho potuto ascoltare, perché Tolmezzo – dove mi trovo in questo momento – non è tra le città destinate a essere sommerse. È una composizione orchestrale che interpreta musicalmente gli effetti della crisi climatica, può essere ascoltata solo se il vostro indirizzo IP risulta localizzato in una delle 100 città minacciate dall’acqua del mare che si alza. Potete provare qui.
È stata scritta dalla compositrice finlandese Cecilia Damström ed è stata suonata dalla Lahti Symphony Orchestra in occasione del ruolo di Lathi come European Green Capital 2021. La composizione si chiama, inevitabilmente, Ice. Che significa ghiaccio ma è anche un acronimo per Indisputable Case of Emergency.
Le piante di Chernobyl
C’è un libro intrigante di cui vorrei parlarvi, lo ha pubblicato Mimesis Edizioni, si intitola Chernobyl Herbarium. La vita delle piante dopo il disastro nucleare, con gli scritti del filosofo russo Michael Marder e le fotografie dell’artista francese Anaïs Tondeur. È quello che promette il titolo: un erbario radioattivo delle piante cresciute in questi anni a Chernobyl, collezionato da Tondeur nel corso delle numerose spedizioni effettuate al fianco di geologi, filosofi e antropologi. Le immagini sono fotogrammi generati dalle impronte dirette di campioni di piante disposti su carta fotosensibile. Sono inquietanti e suggestive.
«Cosa rimane di questo evento?», si chiedono gli autori. «Troppo poco, perché, in assenza di una coscienza capace di rappresentarlo, il trauma di Chernobyl non è stato propriamente elaborato. La produzione di energia nucleare in Europa e nel mondo intero non si è arrestata e c’è chi osa persino affermare che sia più sicura ed ecologicamente sostenibile dell’energia ottenuta da combustibili fossili. Un ripensamento radicale del significato dell’energia e del suo approvvigionamento deve ancora compiersi sul duplice sfondo di Chernobyl (e ora di Fukushima) e del cambiamento climatico di origine antropica». Niente da aggiungere.
Il canone verde di Areale
Nello scorso numero di Areale avevo scritto del canone ambientalista proposto da Penguin e avevo chiesto a voi quali fossero state le letture decisive nel plasmare la vostra visione ecologista delle cose, della vita e del mondo. Sono arrivate risposte interessanti, che condivido e metto in circolo.
Samantha suggerisce L’ora del mondo di Matteo Meschiari (Hacca), «una favola che si muove tra i boschi dell’Appennino tosco-emiliano. La storia che attraversa questi luoghi, boschi di Resistenza e di vicende antiche, è viva e presente; presente è anche il rapporto ancestrale e complesso tra uomo e natura, tratteggiato con uno sguardo davvero inedito» e poi aggiunge un testo che mi è estremamente caro e che sono felice di veder citato in un canone di Areale, Cronache Marziane di Ray Bradbury (Mondadori). Per Samantha, Bradbury «racconta di Marte, certo, ma racconta anche di (molto) altro: di inviti al viaggio, alla scoperta, a considerare il rispetto per il mondo, il nostro mondo attuale, come valore insostituibile».
Giovanni propone Project Drawdown di Paul Hawken (Viaggi nel tempo), «mai secondo me sufficientemente valorizzato rispetto al suo valore, ossia affrontare il tema non tanto dalle cose brutte – le cose che più inquinano – ma dalle cose belle: le 100 soluzioni più efficaci».
Infine, Valentina e Lorenzo citano Antropocene o Capitalocene di James W. Moore (Ombre corte) e il meraviglioso Dialogo della Natura e di un Islandese di Giacomo Leopardi.
Se avete altri suggerimenti per un canone letterario (e a questo punto non solo letterario, valgono anche cinema, serialità, musica) ambientale di Areale, scrivetemi a ferdinando.cotugno@gmail.com.
Per comunicare in modo più istituzionale con Domani, invece, la mail è lettori@editorialedomani.it.
Saluti da Tolmezzo, ci leggiamo la prossima settimana,
Ferdinando Cotugno
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