- Il governo Meloni è schierato con l’industria dell’automotive e contro l’Europa. Obiettivo: ammorbidire il bando alle vetture a benzina e diesel che scatterà nel 2035. Ignorando i dati sull’inquinamento soprattutto del nord Italia.
- La tesi secondo cui il comparto rischia un’emorragia di posti di lavoro non tiene conto dell’occupazione che verrà creata con l’elettrificazione. E dov’erano Lega e Forza Italia mentre la produzione della Fiat crollava?
- La politica dovrebbe cavalcare la rivoluzione invece di tentare di contrastarla. «Occorre puntare subito sulle tecnologie in espansione, perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore e cedere ad altri Paesi la nostra leadership nella componentistica».
L’ha detto Giorgia Meloni: «Lo stop dal 2035 mette in grave difficoltà l’industria europea dell’automotive». Lo ha ribadito il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: «Con questi tempi e queste modalità c’è un rischio occupazione e un rischio lavoro». Lo ha sottolineato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: «Non è compatibile economicamente e socialmente, attualmente l’auto elettrica è per i più ricchi».
E se non bastasse è arrivata la bordata del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che ha definito la decisione del parlamento europeo di confermare il blocco tra 13 anni delle vendite di auto endotermiche nell’Ue: «Folle e sconcertante, va contro le industrie e i lavoratori italiani ed europei a tutto vantaggio delle imprese e degli interessi cinesi».
È del tutto evidente, dunque, che al governo questo provvedimento non piace e che preferirebbe ammorbidirlo per sostenere l’industria dell’auto. E sulla sua linea si è accodata la stampa di destra, che quotidianamente critica le vetture a batteria, attacca la politica di Bruxelles e fa addirittura balenare il sospetto del complotto cinese per distruggere la più importante industria europea.
Ma è corretta la posizione del nostro governo? Fa davvero gli interessi del paese? Le tesi dei conservatori contro le decisioni della Commissione e dell’Europarlamento sono sostanzialmente queste:
- l’industria automotive italiana è fortemente sbilanciata nella produzione di auto e di motori tradizionali e in 13 anni non ce la può fare a convertirsi all’elettrico, con il risultato che dovrà sacrificare decine di migliaia di posti di lavoro;
- stabilire una data così ravvicinata (anche se ad alcuni non sembra tanto ravvicinata) favorisce solo i cinesi, che sono i maggiori produttori di veicoli elettrici e di batterie;
- il mercato non è pronto, gli italiani non comprano auto elettriche, perché sono care e perché mancano le colonnine;
- la guerra contro le vetture a motore è dominata dall’ideologia, l’Europa emette molta meno CO2 degli altri continenti e i trasporti ne rappresentano solo una frazione.
Iniziamo da quest’ultima obiezione. Quando si contesta il bando alle auto a benzina e diesel dal 2035 non si considera la situazione di emergenza ambientale in cui ci troviamo: il riscaldamento globale è sotto gli occhi di tutti e l’Europa non può certo aspettare che si muovano prima gli altri per prendere dei provvedimenti drastici.
Del resto non sarebbe la prima: la California, alcune regioni della Cina e molte nazioni hanno stabilito il blocco delle vendite di auto inquinanti tra il 2030 e il 2040. In Europa il 22 per cento delle emissioni climalteranti provengono dai trasporti, soprattutto da quelli stradali e dalle auto.
Inoltre, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, più del 40 per cento delle emissioni di ossidi di azoto e quasi il 40 delle emissioni primarie di PM2,5 sono prodotte dal trasporto stradale. Se poi guardiamo all’Italia, dovremmo essere felici per la decisione dell’Europarlamento visto che la Pianura Padana è una delle aree più inquinate d’Europa: il rapporto di Legambiente Mal d’aria mostra che lo scorso anno 29 città hanno superato il limite di 35 giorni di sforamento previsti per il PM10: su tutte Torino con 98 sforamenti, seguita da Milano con 84, Asti 79 e Modena 75.
Sono invece 57 le città che pur rispettando gli attuali limiti di emissioni di biossido di azoto, non rientrano nel nuovo valore di riferimento da raggiungere entro il 2030. Se si tiene poi in considerazione il limite posto dall’Organizzazione mondiale della sanità, 91 delle città analizzate oggi sforerebbero tale soglia. In sostanza, prendere tempo a favore delle auto a benzina e diesel danneggia la salute dei cittadini.
Germania secondo produttore al mondo
Detto questo, non è del tutto vero che l’industria europea e italiana verrebbero danneggiate. Anzi, il rischio è che rimandare il passaggio all’auto elettrica, possa aumentare il vantaggio di chi già oggi sta puntando tutte le carte su questa tecnologia, come la Cina.
E poi non va dimenticato che già oggi la Germania è il secondo produttore di veicoli a batteria del mondo, sul mercato europeo le maggiori quote di mercato delle auto elettriche sono ancora in mano a Volkswagen e Tesla e che tra i modelli più venduti c’è l’italiana 500 a batteria.
Nel prossimo futuro il 60 per cento della produzione in Europa di batterie sarà riferibile ad aziende con una casa madre europea e non asiatica. Quindi dire che stiamo regalando il mercato ai produttori cinesi appare, almeno per ora, un po’ esagerato.
Per quanto riguarda il calo di occupazione, il Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano, realizzato da Motus-e e dal Center for automotive and mobility innovation dell’università Ca’ Foscari ridimensiona il pericolo, sostenendo che l’impatto occupazionale al 2030 sarebbe addirittura positivo comportando un aumento del 6 per cento degli occupati.
Secondo lo studio, ciò sarebbe dovuto al basso numero di occupati in aziende italiane la cui produzione è totalmente dedicata al powertrain endotermico: 14 mila nel 2022, che dovrebbero diminuire a 8.285 nel 2030. Magari sono previsioni ottimistiche, probabilmente una transizione così rivoluzionaria avrà delle conseguenze peggiori sull’occupazione.
Ma pochi ricordano che l’Italia ha una forte tradizione nelle motorizzazioni elettriche ed è uno dei maggiori produttori di colonnine di ricarica.
È poi singolare che esponenti di Lega e Forza Italia, che hanno governato per anni, si preoccupino ora di difendere l’industria dell’auto, dopo aver fatto ben poco per impedirne il declino: tra il 1989 e il 2022 la produzione italiana è passata da 1 milione e 800 mila auto a poco meno di 500 mila e i posti di lavoro dell’intera filiera sono già diminuiti di oltre 50 mila unità.
Con una produzione così limitata come si può pretendere che vengano costruite in Italia delle gigafactory di batterie?
Incentivi per i diesel
Sul fatto che il mercato non sia pronto si può discutere: paesi simili al nostro, come Spagna o Portogallo, sono più ricettivi perché evidentemente il sistema degli incentivi è stato strutturato meglio, mentre il nostro governo ha continuato a incentivare anche le auto a benzina e diesel, favorendo così i produttori stranieri compresi giapponesi, coreani e cinesi: oggi Stellantis, in cui è confluita Fiat, ha il 33 per cento del mercato italiano, e volendo essere pignoli solo il 15 per cento delle auto vendute in Italia sono prodotte nel nostro paese.
Quindi gli incentivi sono andati per l’85 per cento a impianti all’estero. Per quanto riguarda le colonnine, in Italia ce ne sono in abbondanza, ma non ancora abbastanza sulla rete autostradale.
Il risultato finale è che l’Italia sta diventando il fanalino di coda in Europa: nel 2022 le immatricolazioni di auto elettriche sono scese da noi del 27,1 per cento mentre in Germania hanno messo a segno un più 32,3 per cento, nel Regno Unito più 40,1, in Francia più 25,3, in Spagna più 30 per cento.
In Germania le auto elettriche hanno conquistato una quota di mercato del 18 per cento, nel Regno Unito del 16,6, in Francia del 13 e in Spagna del 3,8 contro il nostro 3,7 per cento relativo all’intero 2022. Il rischio per il nostro Paese è di non avere un’offerta adeguata di veicoli elettrici, dirottati dalle case nei mercati che tirano di più, e diventare la discarica delle auto diesel che nessuno vuole.
Il governo dovrebbe «puntare subito sulle tecnologie in espansione, perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore e cedere ad altri paesi la nostra leadership nella componentistica» ha commentato Massimo Nordio, ex amministratore delegato di Volkswagen Italia e attuale presidente di Motus-E, associazione che riunisce le aziende legate al mondo della mobilità sostenibile.
Ma da un esecutivo che invece di battersi per la concorrenza difende stabilimenti balneari e tassisti, che preferisce i cacciatori agli ambientalisti, che irride la farina di grilli per proteggere la lobby degli allevatori e degli allevamenti intensivi, che cosa possiamo aspettarci: che abbracci il futuro dell’auto? Ma va là...
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