- La Giornata mondiale dell’Alimentazione 2021 della Fao sottolinea che chiunque può essere “eroe del cibo”, cioè motore di cambiamento. Le nostre scelte in campo alimentare hanno un impatto sulla produzione del cibo, sulla nostra dieta, sull'ambiente e sulle nostre vite.
- Ma oggi, nei supermercati, la selezione dei prodotti che acquistiamo viene già fatta a monte e le possibilità di scelta sono veramente esigue. Chi entra in questi luoghi viene fatto precipitare in uno spot pubblicitario, in cui la natura e l'ambiente sorridono ai consumatori, come se i 1.400 eventi estremi del 2020 non avessero già cambiato il volto di un intero comparto e la nostra capacità di spesa.
- Le norme europee che regolano la commercializzazione dei prodotti agroalimentari si sono concentrate così tanto sul carattere “sano, leale e mercantile” dei prodotti, da dimenticare di regolare l'impatto climatico della produzione e di tutelare la categoria dei produttori.
«Tutti possiamo essere “eroi del cibo”, per un mondo migliore e più sostenibile». La campagna di comunicazione della Fao per la Giornata mondiale dell'Alimentazione 2021, che si celebra oggi, è chiara: le nostre scelte in campo alimentare hanno un impatto sulla produzione del cibo, sulla nostra dieta, sull'ambiente e sulle nostre vite.
Eppure, entrando in quelle “cattedrali del cibo” che sono i supermercati, le possibilità di scelta sono scarse, perché la selezione di quei prodotti viene già operata a monte. La verità è che il consumatore, da sempre additato come il motore del cambiamento, da solo non può fare molto.
Oggi, allestire le corsie dei supermercati con cibo imballato, standardizzato e spesso fuori stagione appare come un atto di negazionismo climatico. E chi entra in questi luoghi, viene fatto precipitare in uno spot pubblicitario, in cui la natura e l'ambiente sorridono ai consumatori, come se i 1.400 eventi estremi del 2020 non avessero già cambiato il volto di un intero comparto e la nostra capacità di spesa.
Anche se non ne siamo consapevoli, infatti, l'aumento di fenomeni climatici estremi impatta sulla produzione agroalimentare, così come sull'acquisto dei prodotti che mettiamo nel carrello: sulla loro quantità, qualità, sul prezzo e sulla loro origine. Al supermercato il cambiamento climatico è presente più nello scontrino che nei capitolati di fornitura.
E allora, per l’obiettivo che la Fao ha fissato, in occasione dell’anniversario di oggi, “trasformare i sistemi agroalimentari ai fini di una produzione migliore, una nutrizione migliore, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno”, non possiamo attendere ancora, perché qualcuno, indietro, ci è già finito.
A cominciare dagli agricoltori, che sono stati lasciati soli ad affrontare la crisi più grande di sempre, schiacciati tra cambiamenti climatici e assurde richieste da parte del mercato.
Imperfetti e scartati
Per alcune produzioni, come le pere in Emilia Romagna, sono andati persi 6mila ettari in 15 anni sui 28mila complessivi; di arance di Sicilia, 20mila in 20 anni. E questo non solo perché gelate e grandinate hanno raso al suolo la produzione, ma anche perché i frutti plasmati in maniera più irregolare da un clima che cambia non superano la selezione della grande distribuzione organizzata.
Le norme europee che regolano la commercializzazione dei prodotti agroalimentari si sono concentrate così tanto sul carattere “sano, leale e mercantile” dei prodotti, da dimenticare di regolare l’impatto climatico della produzione e di tutelare la categoria dei produttori.
Finora le Direttive Ue, per poter garantire la commerciabilità di un prodotto, hanno incentivato la produzione di frutta in serie- stesso calibro, stesso colore, stessa varietà- incoraggiando l'aumento di prodotti imballati. Ma quanta qualità e sostenibilità abbiamo sacrificato sull'altare della sicurezza e della commerciabilità, quindi del mercato?
Ormai è sempre più raro trovare frutti e ortaggi sfusi, creati secondo natura, nei supermercati. Stiamo trasformando questi luoghi in boutique di lusso, in cui si mangia più con gli occhi che con la bocca e gli alimenti sono ridotti a oggetti di design in plastica.
Sulla plastica, l'Unione europea sta muovendo i suoi primi passi. A luglio, è entrata in vigore la Direttiva europea Sup (single use plastic) sui prodotti monouso, ma la percentuale degli alimenti imballati resta alta, specie nell'Italia della pandemia.
Dai dati di Comieco (Consorzio nazionale per il recupero ed il riciclo degli imballaggi a base cellulosica), il 46 per cento delle persone che prima acquistava prodotti sfusi è tornata ad acquistare prodotti imballati.
Secondo Nomisma, nel 2020 sono state vendute 2,6 miliardi di confezioni di ortofrutta, 80 milioni in più rispetto al 2019.
Cifre che la gdo italiana dovrebbe leggere con allarme, specie nel confronto con gli altri stati membri.
In Francia e in Spagna, sarà presto vietata la vendita in imballaggi di plastica di frutta e verdura e per i prodotti agroalimentari di peso inferiore a 1,5 chili sarà applicato un divieto di confezionamento; in Germania, oltre al divieto dei prodotti monouso, è stato aggiunto quello degli imballaggi in polistirene espanso usati per il cibo.
Da noi, si eroga il bonus antiplastica, che aprirà alla vendita dello sfuso, e si agita la plastic tax (rimandata a gennaio). Combattere il climate change significa prendere scelte coraggiose. Ma davanti a frutti uniformi e avvolti nella plastica, verrebbe solo da dire: dimmi che c’è la crisi climatica senza dirmi che c’è la crisi climatica.
© Riproduzione riservata