- I cinghiali hanno invaso le città e sono entrati nella campagna elettorale per le amministrative, ma non sono un problema di degrado urbano né andrebbero trattati come tale.
- La storia dell’invasione è fatta di abbandono del territorio, mancata pianificazione forestale e strapotere della lobby di cacciatori.
- Le soluzioni sperimentate (caccia di selezione) non stanno funzionando, quelle proposte (sterlizizzazione) non sono praticabili: è arrivato il momento di ammettere che i cinghiali rimarranno a lungo in questi numeri e che ci dobbiamo attrezzare per la convivenza.
Anche se in campagna elettorale sembra il contrario, i cinghiali non sono un problema delle città, ma il memento di cosa succede quando le città si disinteressano troppo a lungo del contesto. Il cinghiale è una questione ecologica nazionale da decenni, che solo quest'anno è diventata rilevante perché ha definitivamente colonizzato l'ultimo spazio rimasto, i margini della superficie urbana.
Una famiglia a spasso per via Trionfale a Roma (pure sulle strisce), altri esemplari a passeggio davanti alla Gran Madre di Torino, il furto della spesa in un parcheggio a maggio.
La casistica degli avvistamenti viene usata per raccontare il degrado urbano, perché in Italia la città sa solo vedere se stessa e ricondurre ogni cosa alle proprie dinamiche, come se ogni area metropolitana esistesse nel vuoto.
Le sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino avranno tante colpe, ma non quella di aver iniziato l'era del cinghiale urbano. Se proprio dobbiamo farne l'immagine di qualcosa, gli ungulati davanti alla scuola di Monte Mario a Roma sono il muso da copertina di un'altra storia: abbandono del territorio, spopolamento rurale, utilizzo della caccia come bacino elettorale, perché tanto il territorio rurale e forestale sembra sempre lontano.
Gli agricoltori esasperati
Chiunque abbia avuto una conversazione con un agricoltore negli ultimi anni conosce la dimensione della loro esasperazione, ne ho sentiti diversi invocare stermini e soluzioni finali. Le storie di orsi e lupi sono più vistose, ma quello tra contadini e cinghiali è di gran lunga il principale conflitto tra esseri umani e fauna in Italia.
«È un animale che può colpire qualunque tipo di coltivazione a terra, da quelle di pregio, come le fragole, a quelle estensive, come i cereali», aveva detto Piero Genovesi di Ispra a Domani.
Coldiretti fa da tempo lobby, organizza manifestazioni, sottolinea i costi, dalla distruzione di produzione agricola agli incidenti. Ovviamente, i cinghiali sono senza colpa, sono animali bellissimi, formidabili sopravviventi, mangiano tutto e si adattano a tutto.
Lo squilibrio della popolazione lo abbiamo causato noi, e oggi il vero tema della questione non è la spazzatura di Roma, ma lo spazio ecologico nazionale in rapporto ai numeri.
In Italia non c'è ancora un dato scientificamente certo su quanti siano i cinghiali, le stime oscillano tra un conservativo milione di esemplari ai 2.3 milioni denunciati da Coldiretti. In ogni caso tantissimi.
Una volta non c’erano
Nel dopoguerra era raro avvistare un cinghiale in campagna in Italia, la storia di come ce li siamo ritrovati in centro è istruttiva. Forse arriveranno lettere di cacciatori anche dopo questo articolo, ma loro sono stati - e per certi versi sono ancora - una delle cause del fenomeno, anche se oggi provano a presentarsi come la soluzione.
Le responsabilità vanno dalle immissioni incontrollate di esemplari importati, più grossi ma anche più prolifici, alla selezione di esemplari da trofeo, che ha rotto gli equilibri riproduttivi.
Poi c'è l'aumento delle temperature invernali, che fa sopravvivere più esemplari delle cucciolate.
Il crollo dei lupi, il loro unico predatore: oggi sono in ripresa, ma il rapporto è migliaia contro milioni.
E infine, lo spazio: in Italia il bosco nell’ultimo secolo è raddoppiato, i cinghiali tendono a vivere ai suoi margini e ormai ai margini c'è la città. Le aree urbane poi hanno due grandi attrattive per loro: ignoranza e spazzatura, entrambe fonti di inesauribili di cibo.
La caccia non aiuta
Non c'è una soluzione unica. La caccia di selezione per il contenimento della specie si svolge già in diverse regioni, spesso estesa a tutto l'anno. Non ha portato miglioramenti, anzi, probabilmente ha spinto i cinghiali a cercare rifugio nelle città, che considerano più sicure.
Ciclicamente viene invocata la sterilizzazione ma, oltre ai problemi logistici di somministrare un contraccettivo su una popolazione di un milione di esemplari, le ricerche dimostrano che da sola non è sufficiente a ridurre le popolazioni nemmeno nell'arco di un decennio.
Le recinzioni possono rappresentare una soluzione per proteggere gli agricoltori, non le città. Il punto è che non si può affrontare la questione isolandola dal contesto di un paese forestale, da dodici milioni di ettari di boschi, dei quali sono il 18 per cento ha una forma di pianificazione.
Il resto è abbandono quasi secolare: ogni squilibrio si inverte anche così, con la gestione del territorio. In ogni caso, una tendenza decennale ci ha portato a questi numeri, il problema non sparirà nel giro di un ciclo elettorale.
L'unica soluzione pratica è anche la meno popolare: accettare che i cinghiali rimarranno e affrontare il tema col miglior strumento che abbiamo nei conflitti con la fauna: educazione e formazione.
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