Ad aprile è stata approvata la legge che regola l’apertura di comunità energetica rinnovabili, le cosiddette Cer. Una Cer è un’associazione o una cooperativa che può coinvolgere singoli cittadini, aziende e amministrazioni pubbliche locali che scelgono di condividere energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

La direttiva europea era arrivata nel 2019, ma fino a questa primavera in Italia era in atto una regolamentazione temporanea che consentiva solo la creazione di comunità energetiche molto piccole, che si estendessero non oltre, per dare un’idea, il quartiere di un paese o la via di una città. Ora invece l’orizzonte di una comunità energetica non riguarda più tanto un certo perimetro quanto una “cabina primaria”. Di cabine primarie ce ne sono circa duemila in tutta Italia: una città come Milano ne conta 18, mentre diversi piccoli comuni possono condividerne una sola.

Chiunque faccia capo a una certa cabina può creare una comunità all’interno della quale scambiare virtualmente energia. Virtualmente perché, in concreto, è impossibile determinare se un consumatore stia usando effettivamente energia proveniente da fonti rinnovabili oppure no, ma l’indennizzo coprirà solo il consumo che avviene contemporaneamente alla produzione di energia per esempio da parte dei pannelli solari della comunità. E infatti non servono cavi o impianti nuovi: ognuno continua ad avere il proprio contatore e il proprio fornitore.

Si può partecipare a una Cer come produttori-consumatori mettendo in comune l’energia in avanzo ma anche solo come consumatori, se non si ha la possibilità di mettere un pannello solare sul tetto. Oppure solo come produttori se si realizza un impianto non pensato per l’autoconsumo fisico (e quindi non collegato a un contatore di consumo). Il totale dell’energia prodotta dai membri della comunità viene poi virtualmente distribuita fra tutti i consumatori.

Il 4 novembre, durante la tappa triestina del tour di promozione “InsiemeEnergia”, il presidente del Gestore dei servizi energetici (Gse) Paolo Arrigoni ha annunciato di aver già accettato oltre 400 richieste, a cui si aggiungono più di 500 domande di contributi Pnrr. «È segno che le comunità si stanno rendendo conto dei molteplici vantaggi che la misura comprende», ha commentato. Fra i vantaggi, Arrigoni ha sottolineato un uso più consapevole dell'energia, la riduzione delle emissioni, l’incremento dell'indipendenza energetica e la riduzione dei rischi collegati a fluttuazioni dei prezzi e interruzioni dell’approvvigionamento, oltre a sviluppo economico e sociale del territorio e creazione di nuovi posti di lavoro.

Fondare una comunità energetica

Per entrare a far parte di una Cer bisogna innanzitutto scegliere con chi associarsi e trovare superfici disponibili a installare nuovi impianti fotovoltaici: non ci sono registri pubblici per il momento, quindi se non se ne conosce nessuna bisognerà chiedere in giro.

Invece per fondarne una nuova, bisogna trovare persone disponibili a installare nuovi impianti, scegliere la forma giuridica e poi va scritto uno statuto, registrando la nuova realtà dal notaio. Tutto la procedura, compresa la richiesta dei finanziamenti, va fatta sul sito del Gse.

Ci sono diversi libri che spiegano nel dettaglio il procedimento, il più completo, agile e alla portata di tutti, si intitola Come si fa una comunità energetica (per davvero!). Storie e strumenti utili per le energie rinnovabili, pubblicato nel 2024 da Altreconomia.

Difficoltà burocratiche

Con la legge promulgata l’8 aprile è stato anche aperto un bando: scade a marzo 2025 e permette a un comune sotto i 75.000 abitanti che faccia parte di una comunità energetica di chiedere un finanziamento del 40% che vale solo su impianti nuovi, non su impianti già esistenti e magari pagati con il 110: a dirlo sembra ovvio, ma il decreto del 2021 su questo punto era vago e ha creato spesso fraintendimenti.

Difficilmente si arriveranno a usare tutti i due miliardi che sono stati stanziati, ma il fermento è tanto. Si sono mobilitate molte realtà dal basso, associazioni e mondo cattolico, mentre chi si sta muovendo con più prudenza sono le aziende.

Anche il nuovo quadro normativo sta creando qualche difficoltà. «Il fatto è che invece di dare una regola generale, per esempio dicendo che non possono partecipare le grandi aziende e le aziende produttrici di energia, sono state elencate tutte le entità che possono partecipare: una lunga serie di fattispecie, e una serie infinita di casi particolare non sempre previsti dai regolamenti», spiega Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale e cofondatore della cooperativa di energia rinnovabile énostra. Per esempio, se si scrive che possono partecipare enti che si occupano di istruzione, non è chiaro se le università siano comprese o no. Bisogna chiedere al GSE, che è intasato di domande come queste e le risposte ci mettono settimane ad arrivare.

«Le difficoltà però potrebbero essere superate facilmente. Basterebbe rendere pubbliche le risposte di utilità generale man mano che si incontrano singole fattispecie e si sviscerano singole questioni, anziché dover rispondere ogni volta alla stessa domanda, caso per caso», spiega ancora Ruggieri.

Anche la valutazione degli Statuti delle associazioni richiede tempo e molto spesso vengono rispediti al mittente con piccole modifiche da apportare. Dover correggere uno statuto vuol dire tornare dal notaio, spendere altri soldi, e per una realtà piccola può essere un problema. Anche su questo piano «in prospettiva se si condividono di più le informazioni sarà più facile per tutti».

L’esempio dell’aggregatore di Milano

Una soluzione interessante alle difficoltà burocratiche la sta proponendo a Milano la Cer Cercami solidale: si tratta di una comunità federata che attiverà un’unica rete unica su tutta la città e a cui potranno aderire i singoli gruppi che vogliono fondare una comunità energetica. I soci fondatori sono il Politecnico, il Comune, l’associazione Terzo Paesaggio e due cooperative di Niguarda, Diapason e Cooperativa Abitare. Hanno lavorato assieme più di un anno prima di costituirsi legalmente poche settimane fa. Si sono fatti assistere sul piano legale, progettuale ed economico per scegliere la propria forma giuridica e rifinire al meglio lo statuto e i regolamenti interni. E ora si offrono come federatori per gruppi più piccoli, magari giustamente spaventati dalla burocrazia.

«Diciamo che è una scatola pronta per accogliere iniziative locali dando la possibilità a chi vuole installare rinnovabili per conto proprio o far parte di una Cer la possibilità di entrare a far parte di un soggetto giuridico già esistente, senza doverne creare uno nuovo e andare incontro a spese notarili», racconta Filippo Bovera, fra i fondatori di Cercami solidale, che ha iniziato a lavorare al progetto come docente del Politecnico già dal 2022. «Oltre al vantaggio burocratico, per chi vuole diventare socio c’è poi soprattutto la possibilità di fare rete fra iniziative dislocate in varie zone della città. Questa associazione farebbe insomma da catalizzatore per lo sviluppo di nuove comunità energetiche». Si tratterebbe insomma di un aggregatore, in cui ciascuno può venire a conoscenza di esperienze passate ed essere messo in contatto con chi già ha affrontato una determinata problematica, in modo da trovare più agilmente delle soluzioni.

Ovviamente, essendoci uno statuto, bisogna condividerne le regole. Per esempio in Cercami solidale a fine anno non si distribuiscono gli incentivi fra soci. Si tratterebbe di un massimo di 50 euro a nucleo su un anno, che da soli pesano poco ma presi insieme possono diventare una bella somma. La scelta è stata quindi di tenere assieme quella cifra e destinarle a iniziative sociali nei quartieri che partecipano alla comunità. Tanto che in questo caso la denominazione corretta non è Cer ma Cers, con una “s” finale che indica proprio il carattere sociale dell’operazione.

Una soluzione possibile per tutti

Di sicuro la via della condivisione di esperienze e saperi, oltre che di energia, è una soluzione utile e replicabile, in linea con il funzionamento stesso delle rinnovabili, di per sé decentrate, efficaci su piccola scala e con grandi necessità di scambio.

E infatti, se finora in Italia l’energia è sempre passata da un unico mercato nazionale centralizzato, recentemente sono state definite sette zone divise fra nord, centro-nord, centro-sud, sud, Calabria e le due isole. Per ora vengono applicati prezzi “zonali” e non centralizzati quando un produttore di rinnovabili vende energia al Gse, ma non per l’acquisto di energia. Mancano ancora i decreti attuativi, ma entro il 2027 il sistema dovrebbe essere operativo e a quel punto, se in una zona le rinnovabili dovessero coprire una percentuale molto consistente dei consumi, il prezzo delle bollette potrebbe abbassarsi per tutti gli abitanti della regione. Meno le zone saranno vaste, più sarà facile che questo avvenga.

Ciò non toglie nulla alla necessità di interconnessione, sia all’interno di un singolo paese che a livello europeo. Per basarsi solo sulle rinnovabili avremo bisogno d’inverno di importare l’energia eolica del Nord Europa e d’estate di esportare quella solare prodotta sul Mediterraneo. In ogni caso, il funzionamento delle comunità energetiche è una finestra su come le soluzioni alla crisi climatiche siano non solo reali e realistiche, in gran parte già in atto e in fase di sperimentazione.

Ma anche, di per sé, portatrici di parole d’ordine opposte a quelle che hanno guidato gli stati nazione fossili negli ultimi decenni. Organizzazione dal basso anziché dall’alto, condivisione anziché accaparramento, decentramento anziché monopolio.

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