Negli ultimi mesi l’attività sismica in prossimità dei Campi Flegrei ha avuto dei momenti che ha fatto impensierire la popolazione. Vi sono stati infatti, quelli che i geologi chiamano “sciami sismici”, ossia un gran numero di terremoti che, seppure di bassa intensità, si sono susseguiti in tempi ravvicinati.

Essendo i Campi Flegrei un vulcano, anzi un “supervulcano”, ossia un vulcano che può originare eruzioni catastrofiche, la domanda su cosa sta succedendo in questo momento è più che legittima. Ed è per questo che anche l’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) è intervenuto per fare chiarezza.

La storia

Ma facciamo un passo indietro. Da decine di migliaia di anni la caldera dei Campi Flegrei è sede di intensa attività vulcanica. Il dinamismo di quest’area irrequieta la si può comprendere anche dal rilascio concentrato di gas lungo fratture, che assomigliano a camini, che danno origine alle “fumarole”, e dal “bradisismo”, ossia quel lento sollevamento o abbassamento del suolo, un fenomeno che è accompagnato anche da attività sismica.

Gli episodi più recenti, che riguardano proprio il bradisismo, stanno cadendo nell’oblio dei più perché gli ultimi sono avvenuti circa 40 anni fa, ma in termini geologici sono praticamente attuali. Gli ultimi fenomeni di instabilità che si sono manifestati con sollevamento e sismicità infatti, sono stati quelli del 1969-72 e del 1982-84, quando molti abitanti dell’area, soprattutto quelli del centro storico di Pozzuoli, furono costretti ad abbandonare le proprie case.

Poi, i fenomeni per alcuni decenni sono rimasti a riposo per poi riprendere nel 2005 e propagarsi fino ad oggi. Negli ultimi anni infatti, è di nuovo in atto un lento sollevamento del suolo che a luglio 2023 ha raggiunto 111 centimetri nell’area del Rione Terra, certo non poca cosa. Negli ultimi mesi il valore medio della velocità di sollevamento nell’area di massima deformazione è aumentato a circa 15 millimetri al mese, con un errore in più o in meno di 3 millimetri. In particolare, nelle ultime, settimane si stanno verificando con maggiore frequenza sciami sismici, come quello avvenuto il 18 agosto, con poco più di cento terremoti, che in alcuni casi hanno raggiunto magnitudo 3.6.

Attualmente l’area in sollevamento è centrata sul Rione Terra (Pozzuoli, parte storica) o poco più a sud, e presenta una deformazione radiale, in rapida attenuazione verso la periferia della caldera, con una forma “a campana”. I valori di deformazione locale sono misurati attraverso una fitta rete di satelliti che misurano con estrema precisione la superficie della Terra e strumenti posti sulla superficie terrestre come i tiltmetri, che misurano l’inclinazione di un versante. Dal 2005, e in particolare negli ultimi periodi, la forma della deformazione si è mantenuta simile, a testimonianza che il processo, e soprattutto la sorgente, non mostra modifiche significative.

Le misure periodiche geochimiche e quelle in continuo da stazioni fisse sia su fumarole che in pozzo, mostrano che il processo di aumento di pressione del sistema geotermico che sta appena sotto la superficie è ancora in corso e determina una forte risalita di fluidi che sono concentrati soprattutto nell’area di Solfatara-Pisciarelli. Le misure sono effettuate anche nella parte sottomarina della caldera, nel Golfo di Pozzuoli, dove sono presenti punti di fuoriuscita di gas caldi, come il caso delle “Fumose” a sud di Monte Nuovo, l’apparato conico vulcanico formatosi in pochi giorni a fine settembre-primi di ottobre del 1538, ultima eruzione dei Campi Flegrei.

Gli ultimi sciami sismici dimostrano come il fenomeno non mostri cambiamenti sostanziali, seppure avvenga con pulsazioni che si ripetono nel tempo. «La causa del sollevamento del suolo e quindi della sismicità può essere dovuta semplicemente ad una forte risalita di gas e una maggiore pressurizzazione del sistema idrotermale profondo: le rocce sono sottoposte a sforzo, si fratturano e generano terremoti», spiegano dall’Ingv.

L’ipotesi

Un’altra possibilità però, è che il fenomeno sia legato ad iniezioni nel sottosuolo di piccole frazioni di magma alimentate dal sistema magmatico più profondo, strutture cosiddette a sill, ossia dei filoni a forma di strato che si formano a circa 3-4 chilometri di profondità. In ogni caso i fenomeni sismici sono concentrati nelle zone di massimo sollevamento e si verificano ad una bassa profondità (fino a 3-4 chilometri, raramente 5) e questo perché al di sotto di tali spessori l’alta temperatura della crosta terrestre sotto i Campi Flegrei fa sì che le rocce si comportino solo in modo viscoso-plastico, ossia non si spezzino e quindi non possano originare terremoti.

Ma qual è l’ipotesi maggiormente seguita dai vulcanologi? «I dati attualmente disponibili», spiegano i ricercatori dell’Ingv, «indicano che l’origine del sollevamento sia riconducibile ad una risalita, probabilmente pulsante, di fluidi di origine magmatica. I fluidi si generano a profondità probabilmente superiori a 6-8 chilometri, all’interno di una vasta e articolata camera magmatica profonda presente sotto i Campi Flegrei, ipotizzata da vari tipi di studi e indagini indirette.  Da questo magma provengono le grosse quantità di gas che risalgono verso la superficie. In particolare, i gas interagiscono con le rocce superficiali e con il sistema idrotermale superficiale, presente nei primi 2-3 chilometri di profondità».

La quantità di gas rilasciata è ragguardevole: solo nell’area di Solfatara-Pisciarelli determina la fuoriuscita di oltre 3.000 tonnellate di CO2 al giorno, in buona parte derivante dal degassamento magmatico profondo e dall’interazione del magma con rocce carbonatiche. La sorveglianza vulcanica ed il monitoraggio, effettuati in continuo dalla sezione dell’Ingv-Osservatorio Vesuviano attraverso la sua fitta rete strumentale multiparametrica, mira proprio a definire tutti i possibili cambiamenti nel sistema superficiale e profondo per determinare possibili risalite magmatiche verso la superficie che potrebbero produrre un’eruzione vulcanica.

Ma se vi sono solo fluidi in movimento, quanto è probabile che si possa verificare un’eruzione in tempi brevi? «Attualmente la probabilità di una eruzione vulcanica è relativamente bassa», spiega l’Ingv, «proprio perché non vi sono evidenze di risalita di magma verso la superficie. Inoltre, il volume crostale sollevato al momento è pari a dimensioni molto inferiori al km3: si pensi, come riferimento, che alcune eruzioni avvenute nel passato sono state precedute da sollevamenti del suolo rapidi e concentrati di qualche decina di metri. I dati sismici, geochimici, le deformazioni del suolo, le variazioni termiche superficiali e in pozzo, le variazioni gravimetriche non forniscono, allo stato attuale, indicazioni che il magma stia risalendo verso la superficie».

Al momento dunque, secondo l’Ingv, non c’è da preoccuparsi più di tanto, tuttavia va detto che i Campi Flegrei hanno la loro inarrestabile naturale evoluzione e, prima o poi, torneranno ad eruttare. L’attenzione dell’Ingv è massima nella raccolta, studio e interpretazione dei dati e ogni variazione viene e sarà sempre discussa e comunicata “tempestivamente” agli organi di Protezione Civile nei suoi vari livelli.

Il progetto Nimas

Ikon Images via AP

La missione Nasa della Crew-7, arrivata sulla stazione spaziale internazionale Iss poche settimane orsono, ha portato con sé anche un esperimento dell’Università degli Studi di Trieste guidato da Alessandra Bosutti, del Dipartimento di Scienze della Vita.

Si tratta di Nimas (Neuromuscular electrical stimulation to enhance the exercise benefits for muscle functions during spaceflight): un progetto che sta provando a scoprire se la stimolazione elettrica neuromuscolare possa essere uno strumento utile a migliorare l’adattamento del corpo umano nello spazio. 

Infatti, l’esposizione alla microgravità durante il volo spaziale porta alla perdita di massa muscolare degli astronauti e ne compromette la capacità di compiere alcuni esercizi. Migliorare la capacità di adattamento del corpo allo spazio è quindi fondamentale per sostenere le attività degli astronauti fuori dalla navicella e per garantire un recupero rapido una volta tornati a Terra. 

È qui che entra in gioco la stimolazione elettrica neuromuscolare: una tecnica promettente per potenziare gli effetti dell’allenamento nello spazio. 

I risultati dello studio potrebbero esser applicati sulla Luna, e più avanti su Marte. Ma le ricadute saranno anche sulla Terra: effetti simili a quelli indotti dalla microgravità sugli astronauti si ritrovano infatti anche negli anziani e su coloro che per vari motivi non possono muoversi o esercitare il fisico in maniera adeguata. Anche per loro, la Nimas può essere promettente. 

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