- Bisognerà guardare con attenzione all’esito del braccio di ferro tra governo e maggioranza sulle gare e la trasparenza delle regole per le concessioni balneari, che ha tenuto fino a ora in ostaggio il disegno di legge sulla concorrenza.
- I balneari chiedono di rinviare le gare e l’applicazione delle regole che stabiliscono una quota di spiagge libere, per poter gestire con un altro governo la questione.
- Se Draghi ne uscirà vincitore potrebbe aprirsi uno scenario politico interessante nei territori, in cui i sindaci potranno tornare a ragionare di futuro delle aree costiere tra qualità dell’offerta, accessibilità per tutti e difesa dei territori dagli impatti dei cambiamenti climatici.
I prossimi giorni saranno decisivi per capire come si concluderà il braccio di ferro tra governo e maggioranza sulle gare e la trasparenza delle regole per le concessioni balneari. Il campo dello scontro è il disegno di legge sulla concorrenza, tenuto in ostaggio dai partiti per ottenere modifiche a un testo approvato in Consiglio dei ministri a febbraio che prevede dal 2024 procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione delle spiagge, dando così seguito a innumerevoli sentenze europee e italiane.
La legge sulla Concorrenza è un tassello imprescindibile degli impegni presi dal nostro paese con il Recovery plan, per cui il rischio è che si apra un contenzioso con Bruxelles sulle risorse a cui il nostro paese può accedere e il nodo va sciolto entro queste mese per evitare conseguenze.
Bisogna dare merito al presidente del Consiglio Mario Draghi di aver tenuto botta rispetto alle pressioni della lobby più abile d’Italia, ma l’isolamento politico pesa sempre di più in questi giorni. In particolare, sono due le questioni al centro dello scontro che andranno verificate con attenzione nel testo finale.
Le gare
La prima richiesta dei balneari è una proroga di almeno due anni per le gare e di aspettare la mappatura delle concessioni lungo le coste italiane. In teoria non dovrebbero esserci problemi a completare le informazioni sulle oltre 12mila concessioni a uso turistico presenti in Italia, se solo si cominciasse a lavorarci.
La realtà è che in molti vogliono proprio evitare che ci si allinei agli altri paesi europei, con informazioni trasparenti e accessibili a tutti. Perché a quel punto potrebbero venire fuori non solo i guadagni ma anche i tanti contratti di subaffitto – denunciati persino da Flavio Briatore – e quelle situazioni di illegalità che nessuno vuole vedere, di chi sulla sabbia ha costruito abusivamente chioschi, ristoranti, realizzato parcheggi e spianato dune.
Si fa un gran parlare del rischio di perdere un sistema di imprese locali con migliaia di posti di lavoro, della necessità di riconoscere gli investimenti fatti in caso di cessione all’esito della gara. Tutte scuse, perché sono questioni che già trovano ampio spazio nel testo approvato, quando il vero obiettivo del ricatto in corso nei confronti del governo è di rinviare l’entrata in vigore delle nuove regole alla prossima legislatura, con la promessa da parte di Salvini ai balneari che una volta tornato al governo la situazione con Bruxelles verrà risolta, con cessioni di proprietà demaniali e creando eccezioni normative, al limite pagando multe che, come per la vicenda delle quote latte, certamente non spaventano i partiti di centrodestra.
Tutto, ma non procedure di affidamento che sarebbero vissuto come un esproprio da parte di chi considera quegli spazi da tempo proprietà privata.
Applicare le regole
Una seconda questione da monitorare sono le regole che dovranno garantire un «adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate», come prevede il testo in discussione. In Italia non esistono infatti riferimenti in materia, se non regionali e comunque incompleti, e il problema che si apre in molti comuni è quando queste regole si dovranno applicare. Buon senso vorrebbe che venissero approvati i piani per il riordino prima di fare le gare, per garantire un giorno che a Riccione come a Ostia, a Mondello come a Forte dei Marmi, si possa magari accedere gratuitamente e liberamente al litorale, fare il bagno e sdraiarsi a prendere il sole.
Ma è proprio questo scenario che fa paura alle associazioni dei balneari e contro cui sono schierate in prima fila le giunte regionali di Toscana, Liguria, Emilia. Perché vorrebbe dire rivedere la dimensione degli stabilimenti, per garantire spazi liberi che oggi non esistono più, e anche qui l’obiettivo è evitare che sia il governo in carica a gestire questo passaggio.
L’aspetto interessante della vicenda è che se a vincere il braccio di ferro sarà Mario Draghi potrebbe aprirsi uno scenario politico inedito, in cui nei territori tornare a ragionare di futuro, delle forme migliori di accessibilità e sostenibilità delle aree costiere, di come fare fronte a cambiamenti climatici e processi di erosione delle spiagge che sempre di più mettono in crisi i litorali.
Come da novello Asterix sta facendo da alcuni anni il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, che in un grande isolamento ha portato questa visione prima in campagna elettorale, vincendo le elezioni, e poi sulle gare per le concessioni ha sfidato i balneari fino al Consiglio di stato avendo ragione. Incrociamo le dita.
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