Il 5 maggio è stata la giornata mondiale dell'ambiente, ma non c'è stato molto da festeggiare o celebrare. Maggio ha chiuso il cerchio aperto a giugno dello scorso anno: secondo i dati pubblicati dal servizio Copernicus, quello che si è appena chiuso è stato il maggio globalmente più caldo da quando abbiamo le registrazioni strumentali delle temperature, ed è stato così per ogni singolo mese dall'inizio della scorsa estate.

Abbiamo vissuto l'aprile più caldo di ogni aprile, il marzo più caldo di ogni marzo, e così via, fino a giugno 2023. È ormai un anno che la Terra è sopra l'ultima soglia dichiarata sicura dalla comunità scientifica con il report IPCC del 2018, il limite di 1.5°C di riscaldamento globale.

Il termometro degli ultimi dodici mesi segna già 1.63°C sopra le temperature dell'era pre-industriale. Sono sforamenti temporanei, per considerarli definitivi devono passare decenni, ma siamo in una zona di pericolo grave e inedito: è la prima volta che stiamo così a lungo oltre questo limite.

Quando erano usciti i dati di marzo, il direttore del centro di studi climatici della Nasa Gavin Schmidt aveva scritto su Nature che dobbiamo aspettare l'estate per capire quanto abbia influito il riscaldamento aggiuntivo (e naturale) causato dal fenomeno El Niño sull'Oceano Pacifico. «Al momento siamo di fronte ad anomalie che i nostri modelli climatici non sono in grado di spiegare», aveva scritto. Da allora, la corsa non si è arrestata.

Quella di 1.5°C non è una soglia simbolica, «qui inizia a essere una questione di sopravvivenza o estinzione per le nazioni insulari e le comunità costiere», ha dichiarato ieri il segretario generale dell'Onu Guterres.

Situazione ancora più preoccupante per le temperature globali di superficie degli oceani, che sono arrivate a quattordici mesi consecutivi di riscaldamento anomalo. Secondo un altro set di dati presentati ieri, quelli dell'Organizzazione meteorologica mondiale, abbiamo l'80 per cento di probabilità di superare la soglia di 1.5°C e l'86 per cento di avere un nuovo anno più caldo di sempre (il record per ora è del 2023, potrebbe essere già il 2024) nei prossimi cinque.

«La battaglia per 1.5°C sarà persa o vinta nel corso di questo decennio», ha aggiunto Guterres. La comunità scientifica è più pessimista: il Guardian ha contattato tutti gli autori degli ultimi report IPCC (quindi gli scienziati del clima più autorevoli e rispettati al mondo) per chiedere loro quale sarà il punto di approdo finale di questo aumento delle temperature. Per una stragrande maggioranza, il 77 per cento, dobbiamo rassegnarci a vedere un aumento di temperature superiore a 2.5°C entro fine secolo. La transizione energetica è in corso, nel 2023 abbiamo aggiunto 500 GW di rinnovabili, ma è ancora troppo lenta, e non riesce a tenere il passo della crisi climatica, che da un anno sembra aver accelerato.

Migranti climatici

Quelli sugli aumenti di temperature globali possono sembrare numeri astratti, ma è la realtà fisica del mondo a mostrare cosa significano. L'India e il Pakistan hanno appena vissuto un'ondata di calore spaventosa, con temperature che sono arrivate a 50°C anche nell'area metropolitana di Delhi. Il Brasile ha vissuto nello stato meridionale del Rio Grande Do Sul un'inondazione che ha ucciso 169 persone e che sta innescando una delle migrazioni climatiche più imponenti da quando siamo in questa emergenza: un'inchiesta di Bloomberg ha calcolato che fino a 600mila persone rischiano di doversi spostare da dove hanno abitato finora.

Uno studio del World Weather Attribution, il principale centro che conduce studi di attribuzione (la scienza che lega i singoli eventi estremi al contesto del riscaldamento globale), ha calcolato che le emissioni di gas serra hanno reso le inondazioni brasiliane due volte più probabili. «È come se stessimo giocando alla roulette russa col nostro pianeta», ha detto Guterres, in uno dei discorsi più drammatici che abbia mai pronunciato (e non è uno a cui fa difetto l'enfasi).

Guterres ha fatto anche una richiesta più specifica, a modo suo storica: trattare questa emergenza come tale, escludendone il più possibile i responsabili dal discorso pubblico. «Le aziende dei combustibili fossili sono i padrini del caos climatico, non dovrebbe essere più permesso loro di fare pubblicità». È un tema sul quale l'Onu non ha ovviamente giurisdizione, ma l'impatto politico e simbolico di questa richiesta (rivolta a governi, media e aziende tecnologiche) difficilmente può essere ignorato. In Italia la principale azienda oil and gas, Eni, sponsorizza il Festival di Sanremo, il campionato di Serie A e diversi grandi eventi culturali, come il Festivaletteratura di Mantova. L'Onu chiede che queste aziende siano trattate come quelle del tabacco: una minaccia per la salute pubblica.

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