I fenomeni atmosferici estremi, lo sfruttamento dissennato del territorio, il turismo selvaggio e le centrali a carbone minacciano uno dei tratti più spettacolari e fragili della costa italiana. Per salvare questo patrimonio di bellezza e biodiversità non bastano alcune riforme graduali: occorre ripensare radicalmente il rapporto fra uomo e ambiente
- Le Cinque Terre hanno ispirato poeti e artisti per secoli, ma solo negli ultimi decenni questo pezzo della Liguria è diventato destinazione di un turismo di massa.
- Gli abitanti originari costruirono le proprie case vicino ai canali d’acqua che da monte arrivavano al mare scavando vallate naturali. Quando a questa conformazione del territorio si abbinano eventi meteorologici estremi il risultato è devastante.
- Il dissesto idrogeologico e il turismo hanno indotto cambiamenti anche nel modo in cui gli abitanti si rapportano al territorio, che ora ha poco a che fare con il luogo senza tempo di cui parlavano i poeti.
La fama mondiale non era nei piani. Non è nel carattere ligure fare grandi campagne di promozione. La notorietà si è innescata piuttosto come un fenomeno autonomo, complici la rete e i social media. E così oggi non c’è americano o cinese o tedesco che scriva «Italy» su Google e non si imbatta in qualche foto delle Cinque Terre.
Forse questi posti piacciono tanto perché sembrano appartenere a un altro mondo, dove la legge di gravità viene sfidata ogni giorno. Un posto dove la mente e la fatica umana sono riuscite a vincere anche la più inesorabile delle forze della natura.
I suoi abitanti sono impegnati da più di un millennio nell’operazione faticosissima di sostituire la macchia mediterranea che copriva i fianchi dei monti con terrazze ripidissime e murate in pietra per la coltivazione di viti e ulivi. Da sempre isolate e segrete perché accessibili solo via mare, centocinquant’anni fa la costruzione della ferrovia Genova-La Spezia ha posto fine al loro millenario isolamento.
Fino a qualche decennio fa le conoscevano solo pochi visitatori affezionati, tra cui poeti e scrittori come i coniugi Shelley e Lord Byron, che in questi borghi trovavano quiete e ispirazione. Oggi famosissime e regolarmente inondate di turisti internazionali, ispirerebbero però tutt’altro genere di letteratura, magari un trattato sui fenomeni di massa.
Le Cinque Terre sono diventate Patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 1997. Da allora il territorio circostante è diventato parco nazionale, e il lembo di mare che le bagna è area marina protetta. Secondo l’Unesco, queste terre sono un esempio di armonia. Armonia tra uomo e natura, ma anche tra uomo e uomo.
La loro stessa esistenza è fondata infatti su un approccio comunitario all’agricoltura e sulla cooperazione dei loro abitanti, che fanno da sempre una fatica immane per raccogliere i frutti delle terrazze e non lasciarle franare verso il mare.
Questi territori però sono sempre più fragili. Per cause sia naturali che umane, come i mutamenti climatici e il turismo sfrenato, la conservazione delle Cinque Terre potrebbe diventare più faticosa e difficile.
Il clima
Per capire il rischio a cui sono sottoposte, bisogna ricordare che le Cinque Terre sono sorte quando ancora non esistevano competenze geologiche o ingegneristiche che potessero suggerire dove costruire un insediamento umano sicuro.
Gli abitanti originari costruirono le proprie case vicino ai canali d’acqua che da monte arrivavano al mare scavando vallate naturali. I residenti iniziarono poi a coprire questi piccoli canali e costruirvi sopra le vie principali dei loro borghi. Quando però a questa conformazione del territorio si abbinano eventi meteorologici estremi come le alluvioni – che potrebbero diventare sempre più intense e frequenti nei prossimi decenni – il risultato è spesso devastante.
Il disastro più recente causato da un’alluvione risale all’ottobre del 2010. La “bomba d’acqua” si è scagliata in particolare su due dei borghi, Vernazza e Monterosso. La quantità incredibile di pioggia che è caduta in poche ore ha ingrossato i canali che attraversano i borghi, e il mare mosso ha ostacolato lo smaltimento delle acque in eccesso.
I canali hanno devastato le proprie coperture, inondando strade, case, e negozi, portando con sé verso il mare tutto quello che trovavano. «Arrivavo dalla stazione e avevo l’acqua alla vita. Mio padre mi disse che non sarebbe potuto venire a prendermi perché la nostra macchina era stata trascinata a mare dal torrente», dice Gino Jr. Pollicardo, originario di Monterosso, che al tempo dell’alluvione frequentava il liceo. Tutto quel che stava a piano terra è stato distrutto. Ma in pochi mesi gli abitanti lo avevano già ricostruito.
L’altra criticità sono le frane. Avvengono regolarmente e hanno determinato la chiusura della “via dell’amore” che collega Riomaggiore e Manarola, il sentiero più famoso delle Cinque Terre. Il sentiero dovrebbe riaprire nel 2023 dopo un restauro da 12 milioni di euro di fondi regionali.
Le frane sono eventi naturali, dovuti alla costante evoluzione morfologica della terra. Ma lo sgretolamento in questa zona è aggravato da una serie di fattori ambientali. Le Cinque Terre sono particolarmente esposte al “dissesto idrogeologico”, un degrado del territorio tale da risultare in una catastrofe se dovessero verificarsi fenomeni naturali di notevole intensità o durata come un’alluvione.
Un esempio di fattore ambientale che contribuisce al dissesto idrogeologico in questi promontori è la crescita della popolazione di cinghiali. A partire dagli anni Settanta, l’ambiente è diventato sempre più favorevole alla loro riproduzione, tanto che oggi «ci sono più cinghiali che cristiani», secondo Matteo Perrone, responsabile dell’Ufficio territorio e biodiversità del parco nazionale delle Cinque Terre.
Il cinghiale danneggia la biodiversità attraverso la predazione, e poi distrugge il territorio perché strofinandosi sui tronchi e rovistando nella terra per cercare cibo espone le radici degli alberi e distrugge i muretti a secco dei terrazzamenti. Sono proprio le radici e i muretti a secco a sorreggere il terreno scosceso.
L’ente del parco ha l’obbligo di risarcire i danni ai proprietari dei terrazzamenti danneggiati, e ogni due anni deve chiedere al ministero dell’Ambiente e a Ispra l’approvazione di un piano di gestione e controllo del cinghiale. Ma c’è un ostacolo. Il ministero chiede dati sui danni, eppure gli ettari produttivi danneggiati sono sempre meno significativi, perché sempre più terrazzamenti sono stati abbandonati.
«Novanta ettari produttivi sono un’unica azienda agricola toscana o piemontese, e invece per noi è il totale della superficie produttiva di tutto il parco. Per questo si mettono a ridere quando forniamo dati sui danni», dice Perrone.
Identificare gli effetti causati da fenomeni naturali e umani sull’ambiente delle Cinque Terre è in generale ancora piuttosto difficile, perché della ricchezza naturale delle Cinque Terre – almeno a livello scientifico – si sa pochissimo. Studi mirati e precisi non sono mai stati effettuati. Perrone spiega che i ricercatori del parco stanno iniziando adesso a scoprirne la biodiversità, e solo negli ultimi anni hanno iniziato a fare censimenti ambientali per capire quali specie animali e vegetali popolano il territorio, anche grazie a finanziamenti regionali.
Solo recentemente, ad esempio, è stata scoperta la presenza di rapaci notturni come il gufo reale e l’assiolo. Anche del comportamento del mare non sappiamo molto. Sempre recente è una scoperta del progetto Impact, che studia il delicato rapporto tra aree portuali e aree marine protette: le correnti si comportano in modo molto diverso e imprevedibile rispetto a quello che le persone del posto avevano sempre pensato.
Solo nel 2014 uno studio ha identificato praterie di corallo bianco della specie madrepora oculata nei fondali dell’Area marina protetta. Questo corallo è in grado di offrire riparo e alimentazione a molte specie, ospitando una diversità biologica fino a tre volte maggiore rispetto a quella dell’ambiente circostante.
Informazioni di questo tipo sono vitali per mettere a punto strategie di salvaguardia del territorio. Finora si è andati più o meno alla cieca nella selezione delle aree che più meritavano di essere protette.
Risale all’autunno scorso il posizionamento al largo della costa delle Cinque Terre del primo osservatorio sottomarino nella zona. Abbinato agli strumenti del progetto Impact, l’osservatorio consentirà di studiare parametri come la salinità, la temperatura, la torbidità e la velocità delle correnti.
Si potranno così monitorare lo stato di salute della fauna marina, i livelli di innalzamento del mare, e i rischi connessi all’inquinamento. Simone Marini, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), utilizzerà insieme al suo team i dati collezionati per cercare di sviluppare modelli matematici che spieghino le complesse relazioni dell’ecosistema.
«Più comprendiamo l’ecosistema, più riusciamo a conviverci senza danneggiarlo, e quindi beneficiare dei servizi che fornisce a noi umani», dice Marini. I “servizi” dell’ecosistema di cui parla Marini sono ad esempio l’assorbimento di sostanze inquinanti, dei gas serra, la regolazione di temperatura e clima, e poi, ovviamente, la balneazione e la pesca.
Un esempio di stress esterno che rischia di compromettere l’equilibrio dell’ecosistema marino ligure è la presenza degli ctenofori, che sembrano piccoli peperoni trasparenti, gelatinosi e luminescenti. Sono una specie dell’Atlantico, ma stanno invadendo il Mediterraneo e la prima osservazione nel Mar Ligure è stata nel 2009. Questi organismi sono completamente innocui per l’uomo, ma si nutrono di larve di pesce. Significa che se la quantità di ctenofori aumenta troppo, il pesce diminuisce.
Nel Mar Nero è successo proprio questo: un mare ricco di pesci è diventato pieno di organismi gelatinosi. L’aumento della temperatura del mare porta poi, tra varie conseguenze, anche la proliferazione di alcune popolazioni di alghe a volte tossiche per l’uomo, come la ostreopsis ovata. La biodiversità va salvata perché nonostante possa sembrare un concetto astratto e vago, in realtà regola tutti quei benefici che traiamo dal mare e che spesso diamo per assodati.
Turismo globale
Gli stress ambientali sono poi aggravati – in modo più o meno diretto – dalla recente intensificazione del turismo. Pollicardo, che ha 27 anni, racconta che quando era bambino a Monterosso turismo significava famiglie in villeggiatura che trascorrevano un mese o due in case di proprietà o affittate.
Erano gli amici dell’estate, che frequentavano gli abitanti del borgo e che alla fine di ogni stagione si promettevano di rivedersi l’anno successivo. Oggi il turismo è molto più intenso e occasionale. L’innalzamento della domanda ha determinato una repentina ascesa dei prezzi e portato benessere alla popolazione locale.
Eppure è aumentato anche un genere di turismo che arriva per una toccata e fuga di mezza giornata, spesso come tappa di un viaggio itinerante in crociera, autobus o treno. Da questo tipo di turismo, come dimostrato da uno studio dell’università di Bologna, non guadagnano tanto le persone del posto quanto aziende che non hanno neanche sede in Liguria.
Compagnie crocieristiche e di autobus turistici riempiono i borghi facendo pagare ai turisti un biglietto con pranzo al sacco incluso, usufruendo del valore del territorio in modo a volte predatorio. L’amministrazione del comune di Riomaggiore, per esempio, a un certo punto ha chiesto una tassa agli autobus turistici che parcheggiano a Manarola.
Per evitare di pagarla, un tour operator è riuscito a far passare un servizio di bus turistico per un servizio di linea che connette Firenze con La Spezia e Manarola. «Il comune di Riomaggiore ha perso tutti i ricorsi possibili e immaginabili», dice Perrone.
Trenitalia non prevede un tetto massimo di persone che possono salire a bordo di un qualsiasi treno regionale. Il risultato è che le banchine di La Spezia e delle Cinque Terre in estate sembrano quelle della metropolitana di Tokyo, i passeggeri compressi l’uno contro l’altro come sardine, con la differenza che però alle Cinque Terre non c’è una corsa ogni due minuti.
Così i turisti si avventurano in una lotta sfrenata con le misure del veicolo ostacolando la chiusura delle porte. Nel caos dell’imbarco e dello sbarco, spesso i treni subiscono ritardi di oltre 30 minuti. A Vernazza molto spesso l’ingresso al paese dalla stazione è completamente ostruito.
La crescita del turismo di massa ha anzitutto effetti importanti sul modo in cui le persone del posto interagiscono con i turisti. «Avere continuamente gente nuova ha fatto perdere un po’ la carica di affettività, perché tanto il turista si ferma poco, e poi se si trova male, al limite non torna», dice Pollicardo.
Ma ha effetti anche sul modo in cui il turista interagisce con il territorio, che ora non ha più nulla a che fare (quantomeno d’estate) con il luogo remoto, silenzioso e senza tempo di cui parlavano i poeti. Pollicardo, che nel 2015 lavorava nella reception di un albergo nel centro storico di Monterosso, racconta di turisti delusi che hanno deciso di saldare il conto e lasciare prima il paese perché avrebbero preferito passare le vacanze in un posto più tranquillo.
Chi vuole un po’ di pace non la trova da queste parti a luglio. Forse l’aspetto più importante di tutti, però, è che il turismo sfrenato sta anche cambiando il modo in cui gli abitanti locali interagiscono con il loro stesso territorio.
La presenza umana
Le nuove generazioni hanno scoperto che è decisamente meno faticoso e più remunerativo aprire un’attività sulla via principale del borgo – un ristorante, un bar, un piccolo negozio – piuttosto che mantenere attivi i terrazzamenti agricoli di famiglia.
Qualche abitante dice ironicamente che per ogni anziano del borgo che muore nascono due affittacamere. Molti abitanti hanno smesso di prendersi cura dei vigneti. Secondo uno studio della Biennale internazionale dei beni culturali ed ambientali, alle Cinque Terre negli ultimi cinquant’anni le attività di agricoltura e pesca si sarebbero ridotte di più del settanta per cento. Se negli anni Ottanta nel catasto viticolo si contavano circa 2.000 ettari di vigneti produttivi, oggi se ne contano 90 scarsi. L’età media dei proprietari è superiore ai settant’anni.
Ma queste terre sono speciali, e qui dalla coltivazione dei vigneti non dipende soltanto la produzione del vino. I vigneti ben tenuti sono quello che tiene su la parete di roccia. Senza muretti a secco mantenuti in buono stato, le pareti terrazzate tornano a fare i conti con la gravità, e il loro crollo è naturale.
Quando i terrazzamenti vengono abbandonati la natura presto si riconquista i suoi spazi, e i boschi si estendono per occuparli. Però questa veloce riconquista rende il terreno più fragile. Quasi la metà di tutte le frane verificatesi nel territorio negli ultimi anni sono avvenute proprio in aree boschive che avevano occupato terrazzamenti abbandonati.
Nello studio citato poc’anzi i ricercatori hanno tentato di prevedere cosa potrebbe succedere tra gli anni 2050 e 2100. I risultati mostrano che se al momento le esondazioni avvengono circa ogni cinque anni, in assenza di sistemazione dei terrazzamenti e degli aspetti idrici del territorio, le esondazioni potrebbero avvenire ogni due anni.
Il problema è che alle Cinque Terre, e in generale nel mondo, sono sempre meno le persone che sanno come fare un muretto a secco di qualità. Le poche che sono rimaste sono molto costose, e le risorse sono limitate. Alcune compagnie di costruzione hanno tentato di ricostruire muretti con nuove tecniche, ad esempio utilizzando cemento, ma sono crollati.
La bellezza delle Cinque Terre che conosciamo è il frutto di umiltà e di pazienza. Queste terre chiedono di costruire e ricostruire, intervenire ogni volta che c’è un problema, sottoporci a dure fatiche sotto il sole cocente e in bilico sull’orlo di un baratro. Oggi godiamo dei frutti di un millennio di sforzi, ma rischiamo di vedere questi frutti vanificare sotto i nostri occhi se nessuno è disposto a pagare o a lavorare per sistemare i danni.
Adattamento e connivenza
Fa parte della memoria culturale degli abitanti sapere che di fronte alle forze della natura non si può nulla, ci si può solo adattare. Ma c’è il rischio che questa accettazione e questa pazienza si trasformino in condiscendenza di fronte alla negligenza umana.
Nel 2010 l’ente del parco è finita al centro dell’inchiesta giudiziaria “Parcopoli”, conosciuta anche come “Mani Unte”, che ha esposto un sistema di corruzione e truffa con cui si amministravano in modo arbitrario i fondi comunali e statali.
Tra una ventina di condanne c’è stata anche quella di Franco Bonanini, fondatore del parco, e allora presidente dell’ente. Nelle stesse indagini è stata smascherata anche la frode del “piano della costa”, un progetto da 900mila euro che prevedeva la messa in sicurezza del versante costiero tra Riomaggiore e Manarola, e i cui fondi non sono mai utilizzati per la sistemazione dei sentieri.
Delicato è anche il rapporto ambiguo di fraternità ed estraneità con il golfo di La Spezia, nascosto dietro un promontorio ma vicinissimo, in cui attività umane più o meno lecite rischiano di compromettere la salute dell’ecosistema marino e dei cittadini.
La Spezia ospita uno dei tre arsenali militari ancora attivi in Italia, una concentrazione altissima di cantieri navali, industrie militari, nonché un porto commerciale e turistico. Di recente si è parlato molto della centrale a carbone dell’Enel, che dovrebbe finalmente chiudere l’anno prossimo, sostituita con una – pur sempre inquinante – centrale a gas.
La centrale a carbone è particolarmente problematica non solo perché fonte di emissioni di diossido di azoto, ma anche perché prenderebbe acqua di mare per raffreddare gli impianti, per poi buttarla di nuovo in mare calda, causando shock termici nel golfo e danneggiando la biodiversità.
Per la sua natura portuale, il golfo ha per molto tempo assistito silenzioso anche a pratiche molto più dannose, spesso illegali. Secondo alcune analisi dell’Arpa Liguria, nei fondali di uno dei canali che attraversano la città sarebbero depositati idrocarburi, zinco, mercurio e metalli pesanti.
Gli allevatori di mitili del golfo si sono spesso lamentati che i loro allevamenti sarebbero danneggiati dai sedimenti sollevati dai dragaggi, sempre più frequenti per consentire l’accesso a navi sempre più grandi nel porto.
Negli anni Novanta è stata messa sotto sequestro la discarica di Pitelli, un sito di stoccaggio di rifiuti che riusciva a ricevere materiale pericoloso in modo apparentemente regolare, falsificando bolle e analisi chimiche. Il processo con 82 imputati è finito in prescrizione, e nel 2015 i lavori di bonifica dell’ex discarica sono stati messi nelle mani del consulente ambientale del proprietario della discarica illegale. Tuttora sulla zona è imposto il divieto di coltivazione.
Ma cosa c’entra tutto questo con le Cinque Terre? Il problema è che alle correnti del mare non interessano i confini geografici. Quello che succede nel Golfo di La Spezia interessa direttamente le Cinque Terre. Come ha potuto dimostrare Marcello Magaldi, ricercatore del Cnr, attraverso i radar del progetto Impact, le correnti sono imprevedibili e possono variare molto da un giorno all’altro.
Attraverso un modello matematico, Magaldi ha dimostrato che in corrispondenza di alcune correnti, un rifiuto lasciato in mare nel golfo di La Spezia potrebbe raggiungere le acque dell’Area marina protetta in poche ore. Finora, nel porto di La Spezia, nessuno ha mai preso decisioni sulla base dello spostamento delle correnti e dei potenziali effetti delle attività sui territori adiacenti. Nessuno ha mai avuto queste informazioni a disposizione.
Nuovi modelli che possano informare il comportamento umano sarebbero fondamentali per la convivenza degli interessi di un porto commerciale e turistico e quelli di un’Area marina protetta. Studiare e conoscere di più può non solo aiutarci a evitare di commettere nuovi errori, ma anche a limitare l’effetto di errori passati.
Il futuro
Il geologo di La Spezia Andrea Argenti è ottimista: «Di impossibile non c’è niente. Se l’uomo può andare sulla luna, può salvare anche le Cinque Terre», dice. Ma per farlo abbiamo bisogno di risorse, manodopera, duro lavoro: di qualcuno che sia disposto a metterli a disposizione e a pagare. C’è bisogno anche di un turismo più consapevole, più attento ai bisogni del territorio, che non venga a visitare questi posti solo per scattare una foto a prova di social media.
Chi visita questi luoghi dovrebbe essere messo nella condizione di impararne e rispettarne la storia, di comprenderne la fragilità. Anche le Maldive, per tutt’altre ragioni, si trovano a fare i conti con danni ambientali e una biodiversità e sempre più fragile. Ma proprio per questo sempre più resort offrono programmi per cui i turisti possono ricevere sconti in cambio di qualche ora di volontariato per aiutare la conservazione del territorio. Sarebbe impensabile un’operazione di questo tipo alle Cinque Terre? Includere nell’offerta turistica anche altre mete vicine ma meno conosciute potrebbe poi aiutare a diluire la saturazione soffocante dei mesi estivi.
Lo stanziamento di incentivi economici alle nuove generazioni che vogliano darsi alla viticoltura sarebbe altrettanto fondamentale. Fuori dalle Cinque Terre, questa storia può aiutarci a riflettere sul fatto che la bellezza che ci circonda non è scontata. È spesso il frutto di un’armonia che, se spezzata, smette di ricompensarci. Come dice Perrone: «Abbiamo quello che ci meritiamo.»
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