- C’è un’ondata di calore eccezionale nell’oceano Atlantico, la più forte sulla Terra al momento, colpisce Cina, India, Stati Uniti ed Europa
- L’onda di calore oceanica è di categoria 4 secondo la Noaa, con temperature fino a 5°C sopra le medie in alcune zone dell’Europa nord-occidentale
- L’atlantificazione dell’Artico è evidenziata dall’avvistamento di specie marine tipiche dell’Atlantico settentrionale, come il capelin, più a nord rispetto alle loro aree abituali. E sta avendo effetti negativi sull’ecosistema artico e specie autoctone
Prosegue senza sosta l’eccezionale ondata di calore che ha colpito l’oceano Atlantico. «La più forte che stia colpendo la Terra in questo momento», ha detto alla Cnn Mika Rantanen del Finnish Meteorological Institute. Terra che in questo momento è colpita da ondate di calore simultanee in Cina, India, Stati Uniti, Europa. L’ondata di calore oceanica è stata valutata di «categoria 4» dal National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa).
Traduzione: «estrema», si estende dall’Islanda ai Tropici, con i picchi peggiori al largo del Regno Unito e dell’Europa nord-occidentale, dove in alcune zone le temperature sono di 5°C sopra le medie. È una tendenza in corso da mesi, aprile e maggio sono stati i mesi più caldi nella storia degli oceani. «Oltre le previsioni peggiori, è spaventoso quello che sta succedendo all’Atlantico», ha detto Richard Unsworth, fondatore del Project-Seagrass e docente di bioscienze alla Swansea University.
Il colonizzatore
Le ondate di calore marine stanno diventando, come molti altri eventi estremi, più comuni e più intense. La loro frequenza è aumentata di venti volte a causa del riscaldamento globale, il loro numero è raddoppiato tra il 1982 e il 2016. Siamo nel terzo mese di allarme totale consecutivo e secondo la Noaa potremmo trascinarci questa anomalia fino all’autunno inoltrato (90 per cento di probabilità che duri fino a novembre).
La vittima collaterale delle ondate di calore in Atlantico potrebbe essere il ghiaccio marino in Artico. E c’è un indizio, una spia, di questo cambiamento già in corso, che va sotto il nome di atlantificazione dell’Artico. Quella spia si chiama capelin, il mallotto, un pesce che i ricercatori del Geomar Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel in Germania hanno iniziato ad avvistare nell’Oceano artico, 400 chilometri più a nord rispetto a dove si dovrebbe trovare.
Un colonizzatore dell’Atlantico settentrionale ben fuori dal suo areale, che secondo gli studiosi sta diventando più frequente da incontrare rispetto alle specie padrone di casa come l’halibut. E se lo incontriamo così a nord, la lettura è chiara: le condizioni di vita in Artico stanno diventando simili a quelle dell’Atlantico del nord. E non è una buona notizia.
Animali in fuga
Lo Stretto di Fram, tra le isole Svalbard e la Groenlandia, è già oggi più caldo di 2°C rispetto all’era preindustriale, ed è un dato spropositato, dal momento che gli oceani si riscaldano meno della superficie terrestre. Ma questo processo di atlantificazione non riguarda solo le temperature, cambia le condizioni fisiche e chimiche per la vita.
In condizioni normali, lo scambio tra le acque dell’Atlantico (più calde e salate) e quelle dell’Artico avviene solo in profondità, non ci sono scambi in superficie per via della diversa densità. Con l’amplificazione artica e la perdita di ghiaccio, la differenza di temperatura e densità viene meno, ci sono meno barriere a divedere i due oceani e inizia così l’invasione atlantica in Artico. Le migrazioni verso i poli nord e sud delle specie marine è una tendenza molto più ampia del capelin, come ha appurato una ricerca dell’Università di Glasgow, la più estesa mai realizzata su questo tema. Gli animali stanno scappando in direzione del freddo, perché il caldo di queste ondate marine è diventato insopportabile per loro.
Un anno decisivo
Il 2023 sarà l’anno decisivo per comprendere l’effetto del riscaldamento globale sugli oceani e sulla vita marina, una sorta di stress test per la resistenza della biodiversità al caldo estremo, che sta facendo crollare il pH dell’acqua, sta riducendo l’ossigeno e cambiando anche il metabolismo degli animali: in acque più calde hanno bisogno di più cibo per vivere, ma in acque con meno ossigeno ci sono anche meno cibo e meno vita.
Come ha spiegato Curtis Deutsch della Princeton University, a questo punto la domanda è: «Quanti estremi di temperatura così frequenti ci possiamo permettere conservando ancora popolazioni stabili?».
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