A Roma ora c’è un piano per preparare la capitale agli impatti di alluvioni e ondate di calore. Ma i grandi centri italiani hanno strumenti limitati se il governo non stanzierà i fondi necessari
A che punto siamo nel preparare le città agli impatti dei cambiamenti climatici? Qualche giorno fa il Financial Times ha lanciato un allarme sull’urgenza di aumentare la resilienza delle aree urbane, descrivendo i crescenti costi economici e sociali di ondate di calore sempre più prolungate e di precipitazioni piovose dalle conseguenze devastanti in tante parti del mondo.
Vale la pena approfondire il tema in un paese come l’Italia, periodicamente martoriato da alluvioni e frane, che proprio non può permettersi di sottovalutare o prendere con fatalismo lo scenario che ci aspetta, come se fosse qualcosa che già conosciamo e con cui in un modo o nell’altro impareremo a convivere.
Da diverso tempo le analisi della Banca D’Italia mettono in evidenza gli impatti che i cambiamenti climatici stanno già avendo nel nostro paese e quelli che potrebbero avere sulle attività economiche e produttive, nei confronti dell’agricoltura e dell’attrattività turistica. Intanto qualcosa si sta muovendo nelle politiche di riduzione del rischio climatico.
Dopo l’approvazione a dicembre del Piano nazionale di adattamento, di cui ha scritto su Domani Ferdinando Cotugno, il Comune di Roma ha approvato il 23 gennaio la proposta di Strategia di adattamento su cui si è aperta la fase di consultazione pubblica. Guardare a quanto si vuole fare nella capitale ha senso non solo perché è di gran lunga la città più popolata d’Italia, e con il territorio più esteso, ma purtroppo anche perché in tutti i report risulta quella che sta subendo i danni maggiori dell’aumento della frequenza e intensità delle piogge intense.
La capitale a rischio
Sono i numeri a raccontare l’urgenza di occuparsi di questi temi. A Roma 400mila persone vivono in aree a rischio idrogeologico secondo l’autorità di bacino, mentre le analisi della vulnerabilità ambientale e sociale mettono in evidenza come il 9 per cento della popolazione è in quartieri a rischio in periodi di prolungate ondate di calore.
La strategia individua quattro grandi priorità da affrontare per preparare la città agli scenari climatici previsti al 2050: gli impatti di precipitazioni intense nei quartieri più a rischio esondazione del Tevere e dei suoi affluenti, gli approvvigionamenti idrici in uno scenario di più lunghi periodi di siccità, l’aumento della temperatura e le conseguenze nei quartieri dove è più forte l’effetto isola di calore urbana, l’intensificarsi di mareggiate e erosione nei 20 chilometri del litorale di Ostia in uno scenario di innalzamento del livello del mare.
È impressionante come attraverso le analisi satellitari oggi sia possibile analizzare, monitorare e in parte prevedere i processi in corso ed è una buona notizia constatare il livello dei contributi scientifici al lavoro portati dai diversi enti e istituti di ricerca, università coinvolte.
La strategia, con un approccio pragmatico, per ogni priorità individua gli obiettivi e le misure necessarie da mettere in campo. Inoltre, per ogni misura è indicata l’istituzione competente – perché il quadro dei soggetti coinvolti è ampio e articolato –, le risorse a disposizione e quelle invece da individuare. E qui si aprono i temi politici che interessano tutti, cittadini e istituzioni, perché queste sfide riguardano ogni parte del paese.
Prepararsi al futuro
Servono 840 milioni per finanziare gli interventi che possono evitare che i quartieri e le attività produttive di Roma finiscano allagati. Non sono tanti, se si considerano l’orizzonte della strategia e le conseguenze che il non intervento avrebbe per la città e l’economia. Si tratta di progetti che rientrano nella categoria del dissesto idrogeologico e dunque di competenze statale e regionale.
Il problema è che in questo momento l’Italia non ha una programmazione degli interventi più urgenti per adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. Nel piano approvato dal governo a dicembre non ci sono priorità e finanziamenti, per cui non è chiaro cosa andrà avanti a Roma, come a Messina o Genova, né dove e come verranno prese le decisioni.
Eppure, in un paese come l’Italia dove sono una miriade gli interventi da fare per ridurre il rischio, bisogna darsi dei criteri di scelta e chiarire le risorse a disposizione in un orizzonte pluriennale. Perché alcuni interventi sono più urgenti di altri, possono essere localizzati in aree densamente abitate o in zone spopolate.
Di questo si dovrebbe occupare il dibattito politico, su queste scelte si dovrebbe discutere con regioni e sindaci, perché è solo una questione di tempo. Non sappiamo dove cadranno le prossime bombe d’acqua ma conosciamo i territori dove determinerebbero conseguenze devastanti.
Nel dibattito sul trasferimento dei poteri alle regioni questi temi dovrebbero entrare a pieno titolo, perché la situazione non potrà che peggiorare senza una regia nazionale e il supporto finanziario e tecnico agli enti locali. Per non parlare del potere sostitutivo quando gli enti locali non si muovono, che è indispensabile se si vuole sul serio difendere la salute e la sicurezza dei cittadini.
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