Si è mossa l’Europa, attraverso tre fronti che, declinati insieme, costruiscono uno scenario di straordinario rilievo. Sul piano economico e geopolitico il Comprehensive agreement on investment, il grande Accordo commerciale concluso con la Cina il 30 dicembre 2020, avvia i primi passi di una strategia multilaterale.

A esso si aggiungono due strategie economiche interne. Il Green deal ha superato l’alternativa tradizionale tra crescita e ambiente; ha la concretezza innovativa di un modello di crescita guidato dal rispetto degli standard ambientali e sociali. Sul piano politico interno, infine, i fondi del Next generation Eu predispongono un cambio di rotta per la governance dell’Unione; il commissario Gentiloni dovrà trovare fondi propri per il bilancio europeo, creando le basi di un bilancio e di una fiscalità comuni. Su queste tre dinamiche europee si fondano le grandi potenzialità per ricostruire e innovare gli assetti del dopo-Covid.

Indipendenza europea

L’accordo economico con la Cina mostra una indipendenza inedita dell’Unione europea, che potrà orientare l’amministrazione Biden a seguire la stessa via di “rivalità economica regolata” nei prossimi passi. La Cina non è un nemico, ma un grande rivale. È giunta l’ora di riconoscere che non sarà più spendibile la contrapposizione diretta tra occidente e Cina, pericolosa e sterile, né quello “scontro tra civiltà” evocato da Samuel Huntington. L’esperienza fallimentare di Trump mostra che non c’è spazio per contrapposizioni bilaterali; se l’Europa proseguirà sul percorso avviato si tornerà a una triangolazione dei poteri che richiama quella descritta da Henry Kissinger nell’Ordine mondiale. Inoltre la Cina non è sola, ma al centro della composita regione asiatica, dove i paesi dell’Asean hanno assunto un ruolo geopolitico significativo nella grande area di libero scambio costruita nell’Asia orientale.

L’accordo tra Unione europea e Cina è un grande passaggio, concluso allo scadere della presidenza tedesca dell’Unione, nell’interregno tra l’elezione di Joe Biden e la sua presa di servizio effettiva. Investe la maggior parte dei settori manifatturieri, dalla chimica alla mobilità elettrica, dal digitale all’energia; comprende i servizi, inclusi quelli finanziari. Porta la Cina a impegnarsi al rispetto di regole definite nel Wto (cui aderisce dal 2001); di standard sulla protezione del lavoro, di trasparenza, persino sui sussidi concessi alle imprese di stato; costruisce libertà di accesso per le imprese europee in Cina senza l’imposizione dei vincoli abituali, come la condivisione obbligatoria delle tecnologie utilizzate o l’imposizione di un partenariato con le aziende locali, che hanno creato barriere non tariffarie e forti asimmetrie con le regole di concorrenza del mondo occidentale. Persino l’impegno sugli standard ambientali della Conferenza sul clima di Parigi rientra nel perimetro dell’accordo. Sono un aspetto cruciale le garanzie sulla sicurezza nei dati e le informazioni sensibili. Se la Cina rispetterà gli impegni presi sarà un passaggio storico nella dinamica degli scambi internazionali; richiederà un nuovo corso alle istituzioni internazionali.

In estrema sintesi, l’accordo è rilevante per almeno due ragioni. La prima, più importante, è nel passo autonomo compiuto dall’Unione europea verso il multilateralismo, con una visione strategica globale di lungo periodo. È il primo passaggio della svolta auspicata nelle relazioni internazionali dopo le rotture operate da Trump. La seconda ragione è nella rapidità con le quali l’accordo rovescia la sintassi del programma statunitense, di contrasto diretto con la Cina, perseguito con coerente determinazione nei 4 anni della presidenza Trump. Può essere letto erroneamente come un cuneo frapposto alla ricostruzione dell’asse atlantico tra Stati Uniti e Europa. Ma non è così. Il protagonismo europeo apre una via cooperativa internazionale alla nuova amministrazione americana, impegnata nel suo decollo a risolvere seri problemi interni nelle forme democratiche che le competono.

Sul fronte interno l’Ue trae nuovo alimento per la cooperazione tra paesi membri, con un pragmatismo trasparente che rispecchia i valori della sua Costituzione. Il nuovo accordo prevede di sostituire i 25 diversi accordi bilaterali stipulati dagli Stati membri con la Cina con le regole definite nell’accordo comune. Protagonisti dell’ultimo miglio sono stati Xi Jinping in persona da un lato, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, dall’altro.

Poco o nulla se ne è parlato in Italia, dove è prevalso il risentimento per la mancata partecipazione al tavolo, oggetto di una protesta condivisa con Polonia, Belgio e Portogallo. Al contrario è importante discuterne, perché molti dettagli sono ancora da scrivere, all’interno del perimetro definito; l’industria italiana e il governo non possono permettersi distrazioni politiche su questo terreno: l’Italia ha un interscambio con la Cina di circa 47 miliardi di Euro (nel 2020 importa 30 miliardi di merci e ne esporta circa 17); la Cina partecipa alla filiera strategica delle rinnovabili, delle infrastrutture e della logistica oltre a quella, tra le altre, dei prodotti farmaceutici nella quale l’Italia eccelle.

Veniamo ora al contenuto economico dell’Accordo. Obiettivo primario è ridurre le asimmetrie industriali con la Cina.

La Cina conta su un mercato asiatico integrato, ma ha bisogno del mercato europeo; vuole compensare il peso del dollaro, diffondere il renminbi, la sua valuta; deve quindi offrire all’Ue garanzie sui flussi finanziari in euro. Gli investimenti diretti della Cina in Unione europea ammontano a 120 miliardi di euro, più che compensati dai 140 miliardi europei verso la Cina (dati Ue 2020). La convergenza economica degli interessi è evidente. Il contrasto bilaterale con la Cina è insostenibile, perché l’economia cinese è troppo integrata nelle nuove filiere della produzione globale. È di pochi giorni fa l’accordo tra Tesla (auto elettriche) e il gruppo cinese Yahua, il maggiore produttore di idrossido di litio per le batterie; contemporaneamente Tesla ha aperto uno stabilimento per la costruzione di batterie in Germania. Nella triangolazione, si gioverà dunque del nuovo accordo che definisce regole e sedi per dipanare eventuali dispute industriali, un passo avanti importante per rendere più sicuri gli scambi commerciali con la Cina.

Il problema democratico

Xi Jinping è un leader naturale. Colpisce la sua capacità di scegliere tempi e interlocutori per agire sullo scacchiere internazionale. Anche oggi ha giocato di anticipo sul grande rivale americano; proprio a ridosso della nomina di Joe Biden, l’accordo commerciale con l’Unione europea previene la possibilità che Stati Uniti e Europa, ristabilite le relazioni dell’asse atlantico, formalizzino un’alleanza commerciale anti-cinese. Il tempismo è ancora una volta perfetto.

Non è un caso se gli Stati Uniti reagiscono oggi con preoccupazione a quegli accordi.

Il fallimento della politica commerciale di Trump emerge con evidenza: oggi l’area asiatica di libero scambio (che copre il 30 per cento del Pil mondiale) include la Cina ed esclude gli Stati Uniti. Dopo il grande rifiuto di Trump di convalidare gli Accordi della trans-pacific partnership (Tpp) che avrebbero stabilito un’area di libero scambio tra Stati Uniti e 11 paesi della regione asiatica escludendo la Cina (2017), si è avviato l’accesso graduale all’area dei paesi dell’Asean (Brunei, Cambogia, Indonesia, Lao, Malesia, Birmania, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam), che si sono aggiunti a Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda fino a costruire di recente la Regional comprehensive economic partnership (Rcep), che comprende la Cina in un’area asiatica di libero scambio di 2,2 miliardi di persone e il 27 per cento degli scambi mondiali. In quell’area si genera il 70 per cento della produzione elettrica mondiale, 50 per cento delle automobili, e complessivamente 50 per cento dell’industria manifatturiera. Resta un serio problema politico. Nella Costituzione dell’Unione europea sono fondanti i valori democratici: l’indissolubile legame tra dignità della persona e diritti sociali collettivi è ribadito nei Trattati di Lisbona del 2009. La Cina di certo non rispetta questi princìpi. La via scelta dall’Unione europea sembra quella di proteggere la costruzione democratica europea, perché non sia intaccata dal dumping sociale cinese, di non rendersi complice di condizioni contrarie ai propri valori; ma di non impegnarsi nell’esportazione dei propri valori democratici.

 

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