I dati del trasporto ferroviario mostrano una crescita che supera i dati pre Covid, Ma per quella parte del Paese dove ci sono i treni ad alta velocità e nelle regioni del nord, fotografando un Italia sempre più spaccata in due che anticipa gli effetti della riforma Calderoli
Dopo gli anni del covid, è tornato a crescere il numero di coloro che ogni giorno prendono treni ad alta velocità, intercity e regionali, racconta il Rapporto Pendolaria, con numeri complessivi superiori al 2019.
Ma questi dati nascondo differenze abissali, tra città collegate dai treni veloci e regioni dove i passeggeri aumentano, e dove soprattutto al Sud i numeri continuano a calare ogni anno.
Troppi pochi sono i treni in circolazione, sempre meno le risorse per i treni dei pendolari e nessun controllo da parte del Ministero. Nelle ferrovie si è anticipata la riforma Calderoli per l’autonomia differenziata e gli effetti sono un Paese spaccato in due.
I numeri di quante persone si muovono in treno in Italia sono apparentemente molto positivi. Dopo gli anni del Covid, è tornato a crescere il numero di coloro che ogni giorno prendono treni ad alta velocità, intercity e regionali, con numeri complessivi superiori al 2019.
Questi dati sono importanti da approfondire perché riguardano l’unico vero tema che alla fine dovrebbe interessare per capire l’efficacia delle politiche di investimento in Italia, per verificare se hanno prodotto risultati e dove.
Non solo, tutta la discussione sulle priorità del Pnrr aveva posto l’enfasi proprio sulla necessità di intervenire per aumentare la mobilità a emissioni zero e ridurre le enormi differenze che ci sono nelle possibilità di muoversi con la ferrovia in Italia. E per questo i dati vanno monitorati nel tempo e analizzate le differenze, come meritoriamente fa da anni il Rapporto Pendolaria presentato pochi giorni fa.
Perché, se da un lato le tabelle del documento mettono in evidenza come vi sia un dato complessivo positivo, dall’altro descrivono un paese dove ci si muove sempre di più in treno solo in una parte della Penisola e in un numero limitato di Regioni.
Nel 2023 i dati di Trenitalia raccontano di una crescita rispetto al 2019 pari al +7 per cento per i Frecciarossa, +10 per cento per gli Intercity, +18 per cento per il trasporto regionale. Ma questi dati riguardano le città collegate dai treni veloci, e non raccontano le differenze abissali e in crescita tra le aree dove crescono i passeggeri e invece dove calano ogni anno.
Troppi pochi treni
Se tutto va come promesso, dal 2026 avremo diversi interventi realizzati grazie ai fondi del Pnrr e alle risorse stanziate nella scorsa legislatura che permetteranno di disporre non solo di collegamenti veloci su ulteriori direttrici a nord e a sud, ma anche di migliorare le connessioni sulle linee regionali più vecchie e non elettrificate. In questo momento RFI non ha praticamente paragoni in Europa come stazione appaltante, con una scelta di concentrare larga parte degli investimenti europei per evitare di dover rincorrere troppi enti e comuni.
Era inevitabile che di fronte a una mole così ampia di interventi qualcosa venisse ridefinito, qualche scelta di priorità rivista, risulta invece grave la scelta di rinviare l’intervento sul segnalamento ferroviario Ertms, il sistema di sicurezza di ultima generazione che andava invece esteso a tutte le linee per garantire sicurezza e efficienza del servizio. Ma il punto di discussione politica che va aperto ora, per prepararci a quando gli interventi saranno terminati, riguarda quanti treni in più saremo in grado di metterci.
Perché solo questo conta per gli utenti, ma purtroppo oggi non siamo in grado di saperlo. Perché le Frecce e i treni veloci di Italo sono a mercato e decideranno le aziende se e come usare quelle linee, con quali prezzi, come vediamo con i clamorosi rialzi durante le feste.
Mentre per gli Intercity, dopo i drastici tagli degli anni passati non sono previsti investimenti per potenziare il servizio o aprire al mercato. Per non parlare del servizio regionale, dove le risorse già oggi sono del tutto inadeguate. Eppure, dovremmo cominciare a ragionare di come potenziare il servizio perché ovunque avviene il successo è garantito e si crea un meccanismo virtuoso tra offerta e domanda. Basti guardare le linee ad alta velocità, dove per Trenitalia i passeggeri sono passati da 6,5 milioni del 2008 a 40 milioni nel 2019, mentre per Italo da 4,5 milioni nel 2012 a più di 20 milioni.
Ma la stessa cosa è avvenuta a Firenze con il fantastico sistema di Tram, che ha cambiato la mobilità urbana e la cambierà ancora con le nuove linee, o come a Milano con la metro. Bisognerebbe parlarne e prepararsi per tempo per stimolare le aziende e integrare l’offerta di trasporto.
Ed invece si parla solo del Ponte sullo Stretto di Messina e, per la prima volta dal 2017, la legge di Bilancio non ha previsto fondi né per il trasporto rapido di massa, il cui fondo è stato definanziato, né per la ciclabilità e la mobilità dolce.
Il federalismo inefficiente
Il trasporto ferroviario regionale è il più efficace esempio di quanto può essere dannoso un trasferimento di poteri alle regioni senza che prima si siano eliminati i problemi e le differenze nell’offerta di servizi e poi senza controlli e poteri sostitutivi, coordinamento delle politiche.
È un caso scuola che andrebbe studiato e discusso in particolare rispetto alla proposta Calderoli di autonomia differenziata. Nel 1999 la riforma Bassanini ha trasferito i poteri alle regioni, semplicemente fotografando una situazione già in partenza profondamente diseguale tra regioni del Nord e del Sud in termini di offerta del servizio e che è andata in questi anni accentuandosi, dopo il taglio drastico delle risorse operato da Tremonti nel 2010.
Ancora oggi le risorse sono del 18 per cento inferiori rispetto a 15 anni fa, con alcune regioni che hanno salvato il servizio con risorse aggiuntive e altre dove si sono avuti solo tagli dei treni in circolazione o di intere linee. Per dare un’idea delle differenze che esistono, le corse dei treni regionali in tutta la Sicilia sono, ogni giorno, 472 contro le 2.173 della Lombardia, mentre a livello di popolazione la Lombardia conta “solo” il doppio degli abitanti siciliani. Non solo, al sud i treni sono più vecchi. Mentre al Nord la media è di 14,6 anni di età, in Calabria si supera i 21, in Molise i 22, nel Lazio sulle linee gestite da Cotral i 32,5 anni di età.
Per diventare un Paese moderno e attrattivo per gli investimenti e per un turismo fuori dai soliti circuiti è indispensabile avere una regia nazionale rispetto alle priorità di intervento, con un ministero che si occupi di innovare e migliorare le politiche, di supportare le regioni in difficoltà per almeno provare a garantire gli stessi diritti dei cittadini di Agrigento come di Bolzano, come prevede la Costituzione. E vale per i treni come per gli ospedali e le scuole.
Non scordiamolo, il cantiere delle riforme che l’Europa ci ha chiesto per accompagnare gli investimenti del Pnrr è sempre aperto e varrebbe la pena mettere pressione sul Governo perché si occupi delle scelte che davvero sono importanti per il futuro del paese.
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