- Non esiste transizione ecologica senza educazione ambientale, spiega Francesca Santoro, membro della Commissione oceanografica intergovernativa dell'Unesco e portavoce del Decennio del mare in Italia.
- Lo sforzo di questa campagna di alfabetizzazione agli oceani è creare una generazione di cittadini con le competenze minime per affrontare le sfide dell’ecologia.
- È importante per i cittadini, ma anche per aziende e consumatori, «l’ignoranza ci fa sprecare le due risorse più limitate che abbiamo: il tempo e il denaro».
«Non si può fare una transizione ecologica senza un'educazione ambientale». Da membro della Commissione oceanografica intergovernativa dell'Unesco e portavoce del Decennio del mare in Italia, Francesca Santoro è tra le persone che stanno provando ad affrontare questa sfida enorme: la costruzione di una generazione di cittadini e di consumatori con una base di conoscenze minime per affrontare le complessità dell'ecologia, della decarbonizzazione, dell'ambiente come «dimensione di ogni cosa».
Santoro lo sta facendo ovviamente nel suo campo di competenza, l'oceanografia, ma le cose che dice sulla cittadinanza ambientale che passa dall'educazione potrebbero essere allargate anche all'energia o all'economia circolare.
Nel 2017 le Nazioni Unite avevano stabilito che questo sarebbe stato il Decennio delle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile e che uno dei pilastri sarebbe stata l'«ocean literacy», l'alfabetizzazione all'oceano, della quale è responsabile proprio Santoro, che a supporto dell'importanza del suo compito (e non sarebbe nemmeno necessario) usa le parole di una delle più grandi intellettuali dello studio oceanografico.
«Sylvia Earle dice che per l'oceano l'ignoranza è pericolosa quanto la plastica o la crisi climatica. E l'ignoranza diffusa che c'è oggi a ogni livello è spaventosa, c'è un gap gigantesco tra quello che si dovrebbe sapere, e parliamo davvero delle basi, del minimo del minimo sindacale, e quello che si insegna nelle scuole».
L'educazione ambientale in Italia fu un grande motivo di imbarazzo per i governi Conte, introdotta dall'allora ministro Lorenzo Fioramonti - e la notizia ebbe eco in tutto il mondo - salvo affidare la formazione dei docenti, il vero collo di bottiglia, proprio a Eni. Era l'inizio del 2020, ci fu una forte contestazione dal basso, sia dei docenti che dei movimenti ambientalisti, poi sono arrivate la pandemia e la didattica a distanza a travolgere ogni conversazione su questo argomento. Se ne riparlerà, quando tornerà la scuola.
Insegnare l’ambiente
Nel frattempo, da tema di nicchia l'ambiente è diventato una questione nazionale, per i fondi del Pnrr, per la transizione ecologica con relativo ministero, per l'accelerazione della crisi climatica. Il bisogno di strumenti per comprendere le notizie di ogni giorno è esploso, ma il vuoto ambientale nella formazione scolastica italiana è rimasto quello di sempre. «Il settore dell'istruzione è uno dei più colpiti dalla pandemia, ma questo ha paradossalmente creato un fermento promettente, tutto quello che si dava per scontato è stato rimesso in discussione, anche nei programmi scolastici», ragiona Santoro.
Al momento però la scuola è ancora ferma al mistero del ritorno in classe di settembre prossimo, tormentata da green pass e vaccini, quindi il futuro sarà anche mobile e con margini di cambiamento, ma rimane difficile da immaginare.
Grazie al progetto che coordina per conto di Unesco, Santoro ha incontrato e dialogato con gli insegnanti italiani, quindi è una testimone diretta di quello che oggi manca. «Nella scuola italiana ci sono tantissimi insegnanti motivati, ma quello che fa difetto è l'infrastruttura cognitiva. I docenti vorrebbero parlarne di più e meglio in classe ma non si sentono preparati a farlo. Non c'è una tradizione di formazione dei formatori su questo tema, gli viene chiesto di parlare con gli studenti in maniera interdisciplinare, ma non trovano risorse, libri e materiali adatti. Ci sono tanti singoli progetti interessanti, ma sono disaggregati e rimarranno tali se non ci sarà un cambio strutturale, nei testi e nella formazione. L'ambiente non è una materia, non deve essere confinato a un paio d'ore al mese, ma è un approccio a ogni aspetto della vita e della conoscenza».
Buone intenzioni, cattivi risultati
Una transizione ecologica circondata da ignoranza ambientale è un pericolo, innanzitutto perché lascia il campo a chi soffia sulle paure, con quella dinamica che abbiamo imparato a conoscere durante la campagna vaccinale. Quando un tema complesso entra nella vita pubblica con quell'urgenza, la mancanza di un patrimonio condiviso di fatti scientifici diventa quasi una questione di sicurezza nazionale: la pandemia è scoppiata all'improvviso, col clima possiamo almeno prepararci cognitivamente, ed è per questo che decarbonizzazione ed educazione devono andare di pari passo. Santoro aggiunge un altro rischio a manipolazione e paura: «gli sprechi di denaro e tempo, due risorse limitate con le quali non possiamo più sbagliare».
Fa due esempi del settore che conosce: l'oceano. «Un progetto come The Ocean Cleanup nasceva dalla narrativa di un ragazzo che voleva salvare il pianeta ripulendo la plastica dagli oceani. Aveva avuto un'idea semplice e suggestiva, e come molte idee semplici e suggestive era chiaro che non avrebbe funzionato: un grande tubo di gomma per risucchiare la plastica e portarla via». Una soluzione magari utile con la plastica galleggiante, molto meno con le vere piaghe degli oceani, microplastiche e nanoplastiche.
Il progetto è ancora attivo, ma è stato travolto dalle complessità: «Non solo hanno sprecato risorse, ma un fallimento del genere dà anche la sensazione che in fondo tutto sia inutile, che non ci sia modo di risolvere problemi così grandi, e ovviamente non è vero». Percorrere vicoli ciechi guidati dall'ignoranza alla fine fa sprecare un'altra risorsa non rinnovabile: la speranza.
Il problema delle coste
«Spesso incontro persone che si occupano di sostenibilità aziendale e mi dicono che proprio non sanno dove mettere le mani, cosa finanziare, in cosa credere». Non c'è solo la malafede deliberata del greenwashing, insomma, ma anche l'incapacità di distinguere l'utile dal fatuo, il sensato dall'irragionevole. «L'educazione ambientale non riguarda solo i cittadini, ma anche gli imprenditori o gli amministratori pubblici». E qui arriviamo al secondo esempio proposto da Francesca Santoro, il problema dell'erosione delle coste.
«Storicamente è stato gestito con barriere, pannelli, frangiflutti, che hanno dato solo l'illusione di affrontare il problema e in realtà lo hanno spostato da un'altra parte. Va gestito come un fatto naturale, quando vedo le persone e le pubbliche amministrazioni rimuovere la posidonia dalle spiagge vedo la mancanza di alfabetizzazione al mare nella sua interezza: la spostano perché non piace, ma non si rendono conto di quanto è importante per stabilizzare le spiagge». Educazione all'oceano e all'ambiente alla fine significa esattamente questo: non essere quelli che per salvare esteticamente il selfie in spiaggia ne miniamo la struttura e l'esistenza.
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