In Emilia Romagna è caduta in due giorni la pioggia attesa nel 25 per cento dell’anno. Dopo aver portato la siccità, la crisi climatica ha scatenato il suo opposto speculare: una precipitazione estrema che ha fatto esondare i torrenti e causato due vittime
Gli spagnoli che a fine aprile hanno sofferto temperature di quasi 39°C e la persona che a Faenza si è salvata in kayak dall’esondazione del Lamone hanno avuto esperienze soggettive molto diverse, ma hanno anche sperimentato lo stesso problema: l’emergenza di un clima irriconoscibile.
L’attribuzione di ogni singolo evento, ondata di calore o precipitazione estrema, al contesto generale del riscaldamento globale è un processo scientifico che richiede mesi ma, come dice Paola Mercogliano, ricercatrice del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, «quello che è successo in Emilia-Romagna è in linea con l'impatto della crisi climatica atteso sull’Italia del nord da tutta la comunità scientifica».
In poche parole, non sapevamo dove o quando, ma sapevamo che sarebbe successo ed è effettivamente successo. Possiamo avere tante reazioni diverse alle esondazioni in Emilia-Romagna, ma sicuramente non possiamo sorprenderci.
Il rapporto dell’Ipcc – il gruppo dell'Onu che sistematizza la scienza sul clima – solo pochi mesi fa scriveva: «La frequenza e l’intensità delle precipitazioni estreme è aumentata dal 1950 su tutte le terre emerse e il cambiamento del clima di origine umana è il suo fattore scatenante principale». L'abbiamo fatto noi.
L’Emilia orientale e la Romagna sono state colpite da punte di 270 millimetri di pioggia in meno di 48 ore, sono le stesse terre dove l’emergenza da mesi era quella speculare: la siccità.
Pioggia tutta insieme
L’Arpa Emilia-Romagna fa sapere che in due giorni è caduto il 25 per cento della pioggia attesa in un anno.
Il bacino idrografico di quelle province è pieno di torrenti che si formano in collina e che si trovavano spesso in secca, prima di diventare devastanti in poche ore. Come dice Giulio Betti, studioso di meteorologia del Cnr, «è una cosa che osserviamo sempre di più, lunghi periodi di assenza di pioggia seguiti da grandi carichi portati da sistemi persistenti su aree geografiche relativamente ristrette».
La pioggia del nuovo clima in Italia tende ad arrivare tutta insieme, con la violenza che in questi giorni è toccata all’Emilia-Romagna, dove il Sillaro ha rotto gli argini, il Lamone è esondato, due persone hanno perso la vita e centinaia sono state evacuate. Dice Mercogliano del Cmcc: «Solo una settimana fa ero andata a Faenza a discutere di siccità e ora vedo le immagini dell’allagamento».
Tempo di ritorno
Il concetto chiave è il tempo di ritorno, cioè quanto gli eventi estremi tendono a verificarsi di nuovo: l’alluvione di Reno e Samoggia nel 1966 è stato un evento tramandato per generazioni, ora i fenomeni intensi e distruttivi sono scanditi sulla scala degli anni e non più dei decenni o dei secoli.
Secondo l’osservatorio CittàClima di Legambiente, gli eventi estremi nel 2022 sono stati 310, sono aumentati del 55 per cento sull’anno precedente, 104 allagamenti, 81 trombe d'aria, 29 grandinate, 13 esondazioni fluviali.
Esattamente come hanno sperimentato gli abitanti delle province emiliano romagnole, sono aumentati sia i danni della siccità (+376 per cento) che quelli delle alluvioni (+19 per cento).
Le immagini della straordinaria ondata di calore su Spagna e Portogallo ci raccontano il prossimo capitolo di un racconto che ormai ogni anni si sfoglia allo stesso modo, nella stessa sequenza. Sono stati polverizzati i record del mese di aprile, a Córdoba con 38,7° si è toccata la temperatura più alta mai raggiunta in Europa in questo mese. Tra poche settimane toccherà a noi.
Come dice Giorgio Vacchiano, scienziato e co-fondatore del Climate Media Center, «in Italia continuiamo ad affrontare questi problemi come se fossero separati tra loro, e non come l'unico grande problema che sono, che richiederebbe una risposta sistemica».
Questa risposta sistemica ha un nome: adattamento. Sul riscaldamento globale l’Italia può contribuire riducendo la sua piccola quota di emissioni di gas serra (l’1 per cento del totale), l’adattamento del territorio invece è una risposta locale, in cui ogni paese ha il compito di mettere al sicuro se stesso.
La faticosa macchina di approvazione del Piano di adattamento è stata rimessa in moto da questo governo (dopo il disinteresse dei cinque precedenti), ma intanto quel piano va aggiornato e finanziato. La lista degli interventi necessari può solo essere ripetuta uguale a ogni disastro: la pulizia degli argini, la manutenzione del territorio, una legge nazionale che fermi il consumo di suolo (un evergreen dei programmi elettorali che nessun governo suona in parlamento) e un sistema di early warning nazionale attraverso la rete di telefonia mobile, che è in rodaggio da anni.
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