Ci viene raccontato da anni come il ponte fossile verso le energie pulite, ma il suo effetto sul cambiamento climatico è più grande di ogni altra fonte fossile, carbone compreso. Questa ricerca è stata definita «la storia energetica dell'anno» e arriva a un mese dalla Cop29, dove sarà al centro del negoziato politico. Ci ha lavorato l’ecologo e scienziato dei sistemi terrestri della Cornell University, uno dei massimi esperti di danni da metano
- Iscriviti alla newsletter Areale, in arrivo ogni sabato mattina, e ascolta il podcast Areale, ogni martedì un nuovo episodio
Da decenni ci viene raccontato come il ponte fossile verso le energie pulite, ma il gas naturale liquefatto (GNL) degli Stati Uniti, importato anche dall'Italia (33 per cento del totale del nostro GNL), ha un'impronta di emissioni di gas serra sul cambiamento climatico più grande di ogni altra fonte fossile, anche del carbone, che di solito viene considerato il peggiore tra i combustibili ad alto danno sul clima.
Questa ricerca è stata definita «la storia energetica dell'anno». Arriva a un mese dalla Cop29 di Baku, dove questo tipo di valutazioni saranno al centro del negoziato politico ed è frutto del lavoro di Robert Howarth, ecologo e scienziato dei sistemi terrestri della Cornell University, nonché uno dei massimi esperti di danni da metano.
Howarth da anni sviluppa (e divulga) questo tipo di calcoli secondo cui il gas risulterebbe essere peggio del carbone, almeno guardando alla scala dei vent'anni, quella degli impatti più rapidamente osservabili e percepibili. In questi anni la risposta dell'industria ai calcoli di Howarth e della sua squadra era sempre stata la stessa: non sono studi scientifici sottoposti a peer review, quindi non hanno valore.
La ricerca di Howarth però è stata infine pubblicata sulla rivista scientifica Energy Science & Engineering, quindi ha ricevuto anche questo tipo di validazione da parte della comunità scientifica: i dati sono stati sottoposti a peer review e sono solidi.
Erano da tempo in circolo e discussi nell'accademia ed erano stati inseriti anche nel dossier con il quale il presidente USA Biden aveva spiegato la scelta di mettere in pausa le approvazioni di nuovi progetti di estrazione di gas. «Pensare che spedire gas liquefatto da rigassificare in giro per il mondo sia una soluzione climatica è semplicemente sbagliato», ha commentato Howarth.
Gli Stati Uniti hanno cancellato la moratoria alle esportazioni di gas liquefatto via nave nel 2016, da allora le esportazioni non hanno fatto che crescere, soprattutto dopo l'invasione russa dell'Ucraina nel 2022. Le sanzioni contro la Russia hanno creato un vuoto nel mercato, che gli USA hanno riempito diventando il primo esportatore di GNL al mondo. Questa fonte di energia è stata sostenuta dal bisogno di diversificare il gas russo ma anche dalla narrazione di soluzione valida dal punto di vista ecologico: «È meno impattante del carbone», diceva l'industria oil&gas. Gli studi di Howarth ribaltano questa prospettiva, misurando come il gas liquefatto, nell'intera filiera della sua estrazione e del suo utilizzo, gli impatti sul clima il 33 per cento il più del carbone.
Le ricerche di Howarth si basano su un assunto: se consideriamo l'anidride carbonica come unico gas serra, allora è vero: il carbone è peggio del gas. Ma l'anidride carbonica non è l'unico gas serra. Se contiamo anche le emissioni di metano arriviamo a risultati opposti: il metano è un gas 80 volte più climalterante della CO2, ma dura anche di meno in atmosfera. La CO2 dura secoli, il metano decenni. Il carbone emette più CO2 e meno metano, quindi sul mondo del 2124 è più pericoloso del gas, ma sul mondo del 2044 è più pericoloso il gas.
Inoltre, è tutta la filiera della produzione a essere altamente inquinante, a partire dall'estrazione, che è quasi tutta fatta tramite fracking delle rocce, fino al trasporto via nave attraverso l'oceano e alla rigassificazione nei terminal a destinazione. Gli Stati Uniti oggi esportano gas liquefatto verso l'Unione Europea e l'Asia per 34,27 miliardi di dollari all'anno.
Inoltre, le stime sulle emissioni di metano del settore sono spesso basate sui numeri forniti dall'industria stessa, una sorta di autocertificazione climatica che negli anni si è rivelata sempre più fallace. Secondo un rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia del 2023, questi numeri sono sottostimati del 70 per cento rispetto alla realtà. Di recente sono arrivate una serie di misurazioni indipendenti della società civile, soprattutto grazie ai satelliti, che hanno permesso di rettificare i calcoli e rilevare la realtà del metano: più impattante, più diffuso e più pericoloso di quello che pensavamo.
Infine, c'è un tema filosofico alla base delle ricerche di Howarth sul gas: ha più senso calcolare l'impatto climatico da valutare sui cento anni o sulla scala dei vent'anni? La prima strada è come tendenzialmente facciamo oggi, privilegiando l'impatto della CO2 (che dura di più in atmosfera), proiettandoci sugli effetti a lunghissimo termine. Queste ricerche invece ci permettono di aggiungere il focus sul breve termine, lì dove gli eventuali impatti positivi delle nostre scelte energetiche possono essere visti già entro i prossimi vent'anni.
© Riproduzione riservata