- La stratosfera è lo strato dell’atmosfera che si trova tra i 20 e 60 chilometri di quota e secondo uno studio, dal 1980 (anno in cui sono iniziati i rilevamenti), il suo spessore è diminuito di oltre 100 metri per decennio.
- La causa principale del fenomeno è da imputare all’aumento delle concentrazioni di gas serra. Se la situazione non muterà entro il 2080 l’estensione della stratosfera diminuirà del 4 per cento rispetto al 1980.
- Le variazioni della stratosfera influenzano non di poco le orbite orbitali dei satelliti e quindi possono anche avere un impatto del tutto inatteso sull’accuratezza dei Gps e Galileo e quindi sui sistemi di navigazione globali, oltre che sulla trasmissione di onde radio attraverso l’atmosfera.
L’atmosfera che avvolge il nostro pianeta è stata suddivisa in varie fasce che differiscono per composizione chimica e caratteristiche fisiche. Ora uno di questi strati, la stratosfera, si sta riducendo in spessore a causa dell’impatto delle attività dell’uomo. È lo strato dell’atmosfera che si trova tra i 20 e 60 chilometri di quota e, secondo uno studio pubblicato su Environmental Research Letters da un gruppo di scienziati internazionali a capo del quale c’è Petr Pisoft dell’Univerzita Karlova, dal 1980 (anno in cui sono iniziati i rilevamenti) l’estensione della stratosfera è diminuita di oltre 100 metri per decennio. Il fenomeno è da imputare all’aumento delle concentrazioni di gas serra. Nella ricerca si scopre che «se le emissioni di gas serra continueranno nei prossimi decenni come previsto dallo scenario medio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, che è forse il più plausibile, entro il 2080 l’estensione della stratosfera diminuirà di 1,3 chilometri. Significa una riduzione del 4 per cento della sua estensione rispetto al 1980». Stando alla ricerca non è da escludere che l’assottigliamento della stratosfera sia avvenuto anche prima del 1980, perché i gas serra agivano prima di quella data e dunque l’assottigliamento della stratosfera potrebbe essere superiore. Ma, poiché non si hanno dati certi, i ricercatori hanno preferito non fare ipotesi in tal senso. Juan Añel, uno degli autori della ricerca, ha riferito al Guardian: «La riduzione della stratosfera è una evidente indicazione dell’emergenza climatica e dell’influenza su scala planetaria che l’umanità sta esercitando attualmente. E questo è a dir poco scioccante. Lo è perché i dati ci dicono che stiamo interferendo con l’atmosfera non solo a livello suolo (la troposfera), ma fino a 60 chilometri dalla superficie del mare». Sempre secondo lo studio si evince che «la riduzione dello spessore della stratosfera è un ulteriore elemento a livello globale che indica e prova che è in atto uno squilibrio del sistema climatico del nostro pianeta». Le variazioni nella densità e nello spessore della stratosfera influenzano non di poco le inclinazioni orbitali dei satelliti e quindi, sempre secondo il rapporto, «possono anche avere un impatto del tutto inatteso sull’accuratezza dei Gps e Galileo e quindi sui sistemi di navigazione globali, oltre che sulla trasmissione di onde radio attraverso l’atmosfera».
Prima di questa accurata ricerca i fisici dell’atmosfera ipotizzavano che la riduzione dello spessore della stratosfera fosse dovuta al declino dello strato di ozono terrestre che venne innescato soprattutto dall’uso dei clorofluorocarburi negli aerosol e in altri prodotti industriali, come nelle macchine refrigeranti. Ma la nuova ricerca smentisce quelle deduzioni. Le osservazioni satellitari e i modelli climatici molto più precisi di quelli che si avevano in passato portano a concludere che la ragione principale della contrazione della stratosfera sono le emissioni di anidride carbonica. L’aggiunta di anidride carbonica nella stratosfera, infatti, sta facendo raffreddare i gas in un processo complesso che li fa avvicinare gli uni agli altri (esattamente l’effetto opposto che si ha nella troposfera) e questo porta alla riduzione di spessore. Paul Williams, dell’università di Reading, che non è stato coinvolto nella ricerca, ha sottolineato: «Alcuni scienziati hanno iniziato a chiamare l’alta atmosfera “ignorosfera” perché si conosce ancora davvero poco ed è poco studiata. Questo nuovo documento rafforzerà l’idea che è necessario approfondire gli studi perché è di particolare importanza per la vita dell’uomo».
I pericoli dei gas serra
Da tempo era noto il legame esistente tra l’aumento della temperatura terrestre indotto dai gas serra e varie problematiche legate all’agricoltura, ma le conoscenze in merito erano ancora poche e soprattutto non avevano un quadro esaustivo a livello planetario. Ora, una nuova ricerca pubblicata su One Earth da un gruppo di scienziati dell’Aalto-yliopiston e dell’Universität Zürich getta nuova luce sui rischi di collegare la produzione alimentare globale con le emissioni di gas serra. Spiega Matti Kummu dell’Aalto-yliopiston: «Il nostro studio documenta che l’aumento rapido e fuori controllo delle emissioni di gas serra potrebbe, entro il 2100, portare più di un terzo dell’attuale produzione alimentare globale a ritrovarsi in ambienti dove oggi non è possibile produrre cibo, cioè al di fuori dello “spazio climatico sicuro”».
Secondo gli scienziati che hanno condotto lo studio, il concetto di “spazio climatico sicuro” è un’area con caratteristiche ambientali dove avviene attualmente il 95 per cento della produzione agricola, grazie a una combinazione di tre fattori fondamentali: pioggia, temperatura e aridità. Sottolinea Kummu: «Il dato che fa sperare sta nel fatto che, se riducessimo le emissioni in modo da limitare il riscaldamento a 1,5 – 2 gradi Celsius rispetto al periodo pre-industriale, solo una parte della produzione alimentare si troverebbe in condizioni non adatte alla propria crescita. Ed è su questa strada che dobbiamo puntare».
La ricerca ha lavorato su due scenari che si potrebbero realisticamente avere nel prossimo futuro: il primo è quello che vuole che le emissioni di anidride carbonica vengano ridotte drasticamente, così da impedire che il riscaldamento globale superi i due gradi Celsius, il secondo vuole invece che le emissioni continuino a crescere senza sosta. Il lavoro, poi, ha tenuto conto della capacità delle diverse società del nostro mondo di adattarsi ai cambiamenti climatici. Da ciò si è arrivati a valutare gli effetti sulla coltivazione di 27 principali colture alimentari e sull’allevamento di sette animali da fattoria. Il risultato ha portato a concludere che i vari scenari ipotizzati colpiranno in modo anche profondamente diverso i vari paesi della Terra. Lo studio ha preso in considerazione 177 paesi: solo per 52 l’aumento della temperatura non li farebbe comunque uscire da un’area climaticamente sicura. Fra loro, molti paesi europei, soprattutto del nord Europa. L’Europa meridionale avrebbe qualche problema, anche se non grave. Per l’Italia la situazione peggiore ci sarebbe nel sud della penisola. In Africa, invece la situazione sarà molto più grave con situazioni drammatiche, soprattutto se la crescita della temperatura non verrà fermata, in Benin, Ghana, Guinea-Bissau. In Sud America si avranno situazioni gravi in Guyana e Suriname, dove fino al 95 per cento della produzione alimentare si ritroverebbe in ambienti al di fuori della zona climatica sicura. In Asia le situazioni gravi si vedranno soprattutto in Cambogia. I dati dicono che il 20 per cento della produzione agricola mondiale e il 18 per cento della produzione di bestiame si trova in paesi con scarsa capacità di adattamento ai cambiamenti.
L’incredibile numero di uccelli
Li vediamo nei nostri giardini, sulle strade, sui tetti. Ovunque. Sono gli uccelli e al mondo ce ne sono 50 miliardi circa, quasi sette a persona, suddivisi in 9.700 specie. È il risultato di una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). È stata realizzata su osservazioni fatte da circa 600mila “citizen scientist” (ossia persone che si sono dedicate volontariamente a questa ricerca). Hanno lavorato dal 2010 al 2019, facendo osservazioni ad hoc che hanno inserito in un database particolare, eBird. Il gruppo di ricerca poi ha elaborato gli oltre 900 miliardi di avvistamenti e lavorando su questi dati e su ricerche specifiche è stato messo a punto un algoritmo per stimare l’effettiva popolazione globale di ciascuna specie di uccelli. Stando allo studio la maggior parte degli uccelli vive nell’emisfero settentrionale: dall’Europa all’Asia settentrionale, dall’Africa settentrionale, fino alla penisola arabica e al Nord America. Al contrario, in Madagascar (era imprevedibile) e in Antartide vivono pochissimi uccelli. Molti uccelli australiani sono milioni: come ad esempio il lorichetto di Swainson (19 milioni), il cacatua ciuffogiallo (10 milioni) e il kookaburra sghignazzante (3,4 milioni). Ma altri uccelli autoctoni australiani, come la rara quaglia tridattila pettonero sono ridotti a circa 100 membri rimasti.
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