Il negazionismo è una questione politica: bisogna capire quale atteggiamento avere nei suoi confronti. Più si diffonde più si allarga la sua presa. Giustifica l’inazione dei politici, mettendoli al riparo dalla disapprovazione dei cittadini, soprattutto corrompe e inquina l’ambiente conoscitivo.
Nell’Italia delle ondate di calore e dei chicchi di grandine giganti c’è almeno una certezza. Il negazionismo climatico è diventato trend topic. Ci sono tre schieramenti. I negazionisti puri, che, come scienziati positivisti, vogliono ancorare le loro (legittime) opinioni politiche a presunti fatti: il cambiamento climatico non c’è, o non è causato dagli esseri umani; dunque, la legislazione europea o le richieste degli attivisti sono liberticide e ideologiche. Ci sono quelli che danno l’allarme, citando i dati scientifici – per questo spesso etichettati come allarmisti. Infine, ci sono i terzisti.
Esempio chiarissimo Antonio Polito sul Corriere della Sera. Il 13 luglio Polito scrive che si può discutere se il riscaldamento globale sia «interamente causato dai comportamenti umani, come pensa la maggioranza degli studiosi, o invece sia un evento in gran parte naturale, simile ad altri avvenuti nella storia della Terra». Il 19 luglio auspica una terza via fra «apocalittici» (cioè allarmisti) e «indifferenti» (cioè negazionisti), tirando in ballo l’utilitarismo, cioè la teoria etica che prescrive di raggiungere la massima felicità del maggior numero.
Che il riscaldamento globale abbia cause umane è un fatto attestato dalla scienza ufficiale; dunque, difficile che lo discuta chi non si occupa di climatologia. E l’utilitarismo prescriverebbe di occuparsi anche delle generazioni future, la cui felicità è messa a repentaglio dalle nostre emissioni.
La questione politica
I terzisti dicono almeno una cosa giusta. Il negazionismo è una questione politica: bisogna capire che atteggiamento avere nei suoi confronti. Su questo giornale ho sostenuto che l’atteggiamento migliore sia dichiarare illegale il negazionismo e punirlo (con una multa, per esempio).
Di fronte agli eventi climatici estremi che stiamo vivendo, mi sembra opportuno ribadire le mie ragioni. La prima è che il negazionismo produce due cattivi effetti. Giustifica l’inazione dei politici, mettendoli al riparo dalla disapprovazione dei cittadini.
Ma soprattutto corrompe e inquina l’ambiente conoscitivo (come spiega N. Levy, Bad Beliefs, Oxford University Press, 2022). In molti campi, la nostra conoscenza si basa sulla divisione sociale del lavoro conoscitivo.
In molti ambiti, ci fidiamo degli esperti e della loro conoscenza. Se i criteri che stabiliscono chi è esperto si indeboliscono (e l’opinione di cento scienziati che non si occupano professionalmente di clima comincia a valere quanto quella di migliaia di climatologi) non otteniamo migliore conoscenza, ma perdiamo quella che abbiamo già.
In certi casi la discussione critica non aiuta il progresso, ma lo riduce. Per invertire la rotta del riscaldamento globale ci vogliono cambiamenti profondi degli stili di vita. Erodere la fiducia negli esperti non aiuta a cambiare stili di vita.
Il negazionismo è virale
La seconda ragione è che si tratta di un meccanismo che si autorafforza, come i virus. Come dimostra un’ampia letteratura, avere certe credenze (anche false) è spesso socialmente utile, specialmente quando farlo serve a proteggere e rafforzare la propria identità politica.
Se la destra si caratterizza come avversaria dell’ambientalismo, essere negazionisti serve a ribadire e rinforzare il proprio posizionamento a destra. Più il negazionismo si diffonde più si allarga la sua presa, perché negare diventa una scorciatoia discorsiva per comunicare e sottolineare la propria appartenenza e segnare la propria distanza dagli avversari.
La terza ragione per imporre pene ai negazionisti è che il negazionismo climatico è discorso d’odio, proprio come il negazionismo dell’Olocausto. Le vittime degli eventi climatici di questi giorni e i loro cari hanno diritto alla verità sulle cause delle loro sofferenze.
Negare questa verità equivale a offendere le vittime. Dire a chi muore per un’alluvione o per un’ondata di calore che il caldo non è una notizia (come ha fatto Andrea Giambruno), è uno sberleffo osceno. Non è iniquo che chi lo pronuncia sia costretto a pagare di tasca sua, magari contribuendo a un fondo per i danni climatici.
Angelo Bonelli ha annunciato una proposta di legge per istituire il reato di negazionismo climatico. A favore di questa proposta ci sono le ragioni elencate sopra.
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