Una dozzina tra ricercatori, alpinisti italiani e pakistani, hanno raggiunto il campo base del K2 per una nuova campagna di raccolta di rifiuti, per proteggere una delle principali fonti di acqua di tutta l’Asia. Da Polenza: “La situazione sta lentamente migliorando”
Sono sempre più numerose le campagne lanciate per ripulire dai rifiuti i ghiacciai e le montagne più famose del pianeta, dall'Himalaya al K2 fino alla catena montuosa Karakorum. L’ultima in ordine di tempo quella realizzata dall’associazione EvK2CNR che ha visto impegnati una dozzina tra ricercatori, alpinisti italiani e pakistani, per ripulire una delle aree del Pakistan a maggior affluenza di trekker e spedizioni alpinistiche: K2, Broad Peak, Gasherbrum I e Gasherbrum II e Gasherbrum IV. Le campagne di pulizia dei ghiacciai dai rifiuti lasciati da turisti e alpinisti, sono un progetto che nasce oltre dieci anni fa in collaborazione con le autorità locali, come il Central Karakorum National Park (CKNP) e la Provincia del Gilgit-Baltistan e che ha visto, durante l’ultima campagna del 2021, il personale di EvK2CNR e del CKNP raccogliere e smaltire circa 7052 chili di rifiuti. In 10 anni si è arrivati a circa 10 tonnellate.
“Sul ghiacciaio Baltoro si potevano trovare cumuli di rifiuti che si accumulavano fin dagli anni ‘50, che venivano poi inglobati dal ghiacciaio e portati a valle”, racconta Agostino da Polenza, alpinista e presidente dell’associazione EvK2CNR. “Si trattava di rifiuti abbandonati nel corso degli anni da tutte le spedizioni che si sono avvicendate, da quelle italiane a quelle coreane, dai giapponesi ai francesi”. Per questo motivo negli anni è stato avviato un piccolo centro di raccolta a Concordia, dove i rifiuti vengono differenziati nelle principali tipologie di rifiuto, come plastica, ferro e alluminio. “Abbiamo anche un impianto ormai un po’ datato per l’incenerimento che era stato realizzato da un’azienda italiana pensato per funzionare in alta quota”, continua Da Polenza.
Le altre campagne sugli Ottomila
Quella del Karakorum non è l’unica spedizione di pulizia dai rifiuti generati per lo più dalle spedizioni per raggiungere le vette più famose. Nel 2021 l'alpinista nepalese Nirmal Purja, noto per aver scalato tutti i quattordici “ottomila” in poco più di sei mesi, lanciò la campagna Big mountain cleanup, con lo scopo di ripulire il K2 prima, l’Everest, il Manaslu e l’AmaDablam, con un progetto che durerà almeno fino al 2024. All’annuncio dell’iniziativa l’alpinista scriveva sui suoi canali social “In media, ogni scalatore genera 18 chili di rifiuti mentre è sulla montagna, abbandonando tende, bombole di ossigeno, contenitori per cibo e acqua, attrezzature e ovviamente rifiuti umani. I rifiuti hanno un grande impatto sulle montagne e le persone, contaminano le scorte idriche e causano gravi rischi per la salute delle popolazioni locali”. Da qui anche la volontà di dare un contributo economico a sherpa e alpinisti che in discesa dai vari campi porteranno con sé i rifiuti prodotti o incontrati durante la scalata.
Anche l’imprenditore e alpinista francese Luc Boisnard ha realizzato qualcosa di simile: col progetto Himalayan Clean-Up nel corso di dure risalita, ha raccolto insieme ad una decina di sherpa oltre 3 tonnellate di rifiuti, la metà di questi composti da plastica.
La montagna mercificata
Certamente una riflessione è d’obbligo. Sono ancora vive le immagini che fecero il giro del mondo nel 2019, con circa 200 alpinisti in coda per raggiungere le vetta dell’Himalaya. Una scena che accade puntualmente. “L’alpinismo è questo. Quest’anno sono arrivate anche 140 persone in cima al K2”, sottolinea Da Polenza. “Un turismo estremo d’alta quota dove basta pagare e si hanno tutta una serie di servizi, massaggiatori inclusi. Sarebbe importante se le agenzie che organizzano questi tour mettessero a disposizione dei servizi per la conservazione della natura”. Ecco probabilmente istituire un sistema di tassazione che preveda anche il mantenimento e la pulizia dell’area potrebbe essere una delle soluzioni. Un po’ come accaduto col Central Karakorum National Park dove è stata introdotta una tassa di qualche decina di euro che arrivano nelle casse del parco. “L’anno scorso la direzione ha potuto raccogliere cifre importanti, impiegate per la pulizia dei ghiacciai”.
Il Pakistan oggi ospita 7.200 ghiacciai, la più grande risorsa di acqua dolce dell’Asia. Ghiacciai che hanno subito una forte fusione negli ultimi otto mesi. Motivo in più per cui la missione italiana sta realizzando l’inventario di tutti i ghiacciai del paese, grazie anche all’installazione di una rete di stazioni meteorologiche su alcuni di quelli più significativi a quote più elevate. In questo contesto verranno condotte le analisi dello stato del ghiacciaio Baltoro e dei ghiacciai confluenti, l’installazione delle stazioni di rilevamento ad Askole (3000 m), Urdukas (3900 m) e sulla morena sopra Concordia (5000 m) e l’installazione di aste di verifica della fusione dei ghiacciai di Passu e Gulkin fino a una profondità di dieci metri. Monitorare lo stato di salute di questi giganti risulta fondamentale per il futuro di quest’area, ma anche per la geopolitica del paese.
Certamente, come sottolinea anche Da Polenza, la situazione della gestione dei rifiuti in quota sta lentamente migliorando, vuoi per una maggiore presa di coscienza da parte degli alpinisti e delle comunità locali, vuoi anche per le numerose campagne di sensibilizzazione avviate negli anni. Queste cime, una volta riservate a pochi solitari alpinisti, sono oggi meta agognata per molti, forse troppi, disposti a pagare migliaia di dollari per realizzare certamente un sogno, un’impresa ancora considerata epica, ma che lascia dietro di sé delle tracce che segneranno la montagna probabilmente per secoli.
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