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L’Italia è uno dei paesi al mondo con il più alto numero di auto per abitante: 670 vetture ogni mille abitanti, neonati compresi, contro i 580 della Germania. Se l’Italia avesse un tasso di “automobilità” pari a quello tedesco, ci sarebbero da noi oltre 5 milioni di vetture in meno.
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Nel paese di 2mila abitanti c’è solo una manciata di autobus per portare gli studenti in città. I treni per Milano o Torino? Negli ultimi anni sono stati tagliati.
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L’auto a batterie? “Per ora costa troppo, e il prezzo dell’elettricità è salito alle stelle”
L’Italia è uno dei paesi al mondo con il più alto numero di auto per abitante: secondo i dati Eurostat del 2020, con 670 vetture ogni mille abitanti, neonati compresi, in Europa era preceduta solo da Liechtenstein (779), Islanda (731) e Lussemburgo (682). Paesi comparabili con il nostro come Germania, Francia e Spagna avevano tassi di motorizzazione rispettivi di 580, 567 e 521 auto per 1.000 abitanti. Se l’Italia avesse un tasso di “automobilità” pari a quello tedesco, ci sarebbero da noi oltre 5 milioni di vetture in meno.
Se negli ultimi tempi molte città – Milano in testa – hanno cercato di limitare il numero di vetture, fuori città e soprattutto in campagna l’auto resta uno strumento per molti irrinunciabile. Un caso-tipo può aiutare a capire perché.
Antonella Magistrini, impiegata, vive a Maggiora in provincia di Novara, con il marito Fabrizio Zanetta, insegnante, e le due figlie Chiara e Giulia. Maggiora, in Piemonte, è un paese con meno di 2mila abitanti all’inizio delle colline prealpine; dista quattro chilometri dalla cittadina più vicina (Borgomanero, 20mila abitanti), circa quaranta chilometri dal capoluogo di provincia Novara, un’ottantina dalla metropoli più vicina, Milano.
Un’auto a testa
La famiglia dispone di quattro vetture, tutte piccole: una Kia Picanto, la più recente; una vecchia Lancia Musa, una Volkswagen Polo e una Fiat Panda.
Perché serve un’auto a testa? «L’automobile ti dà l’autonomia per gestire il tuo tempo» dice Antonella. Lei e il marito lavorano entrambi a Borgomanero, ma con orari diversi; le figlie andavano fino a poco tempo fa all’università a Milano (ora sono laureate), ma con orari e in luoghi diversi. Per arrivare a Borgomanero c’è un unico mezzo pubblico, un autobus con una decina di corse al giorno, prevalentemente per gli studenti (le corse sono dimezzate la domenica).
«Da quando hanno compiuto 18 anni le nostre figlie hanno avuto l’auto – già dall’ultimo anno delle scuole superiori, quando entrambe accompagnavano a lezione anche qualcuno degli amici». Chiara e Giulia hanno studiato a Milano, e ciascuna faceva in auto i 17 chilometri fino alla stazione di Arona per prendere il treno.
Quanto costa un “parco auto” di questo tipo? Antonella ci aiuta a fare i conti. Bollo e assicurazioni costano in tutto circa duemila euro l’anno, poco meno di 170 al mese. La voce più rilevante è la benzina; le quattro vetture fanno al massimo 45-50mila chilometri l’anno: con 3mila litri fanno 4.500-5mila euro, ovvero 350-400 al mese. Così arriviamo a 550 euro mensili, che stimiamo salire a 600 con la manutenzione e le piccole riparazioni (in una casa in campagna il parcheggio è gratis).
Certo, le vetture vanno anche comprate. «La nostra strategia è sempre stata di acquistarle nuove, magari sfruttando gli incentivi per la rottamazione di quella vecchia, e tenerle poi il più a lungo possibile», spiega Antonella.
Il costo di gestione di quattro auto – circa 600 euro al mese – è pesato su due stipendi per qualche anno, ed è stato sopportabile per la famiglia, che è proprietaria dell’abitazione; ma è tutt’altro che trascurabile.
Non avete pensato di rinunciare a una o due auto? La risposta è decisa: «Mai. Qui è impossibile». Cito ad Antonella l’esempio di certi paesini svizzeri anche microscopici, collegati al centro più vicino da autobus ogni mezz’ora: potrebbe bastare? «Qualche autobus in più potrebbe servire meglio gli studenti delle superiori, ma per chi lavora è complicato», spiega Antonella.
Il trasporto pubblico
La situazione trasporti pubblici, tra l’altro, è peggiorata nel tempo. Ricorda Antonella: «Mio marito Fabrizio, che ha abitato a lungo a Borgomanero, andava all’università in treno, con un cambio a Novara; adesso i treni Borgomanero-Novara sono meno numerosi. Ai nostri tempi si poteva anche andare a studiare in treno da Borgomanero a Torino, con un cambio a Santhià; adesso la Borgomanero-Santhià è stata chiusa». Dieci anni fa la tratta è stata considerata un “ramo secco” dalla Regione Piemonte.
Chiara e Giulia adesso lavorano, e Giulia utilizza a volte un’auto aziendale… elettrica. Che ne dice Antonella? Potrebbero convertire all’elettrico almeno una parte del parco auto di famiglia? «Per ora sono troppo care, e hanno un’autonomia ancora insufficiente; il prezzo dell’elettricità, poi, è cresciuto parecchio in quest’ultimo periodo».
Perplessità in parte giustificate, in parte superabili: in fondo, fino a qualche tempo fa il viaggio più lungo che la famiglia faceva durante la settimana era meno di 40 chilometri fra andata e ritorno… Di auto con grande autonomia, quindi, ne basterebbero un paio. Antonella però pensa anche al bilancio di casa: «Dovremmo installare un punto di ricarica a casa, e magari dei pannelli solari sul tetto».
Cosa ci insegna un caso come questo? Che in certi contesti la flessibilità dell’auto permette di compensare la mancanza di servizi pubblici.
Il costo di trasporti locali capillari è sostenibile in comunità autonome “ricche” come il Trentino e l’Alto Adige, dove servizi di bus ogni mezz’ora sono realtà anche in paesi con poche centinaia di abitanti; per scelta politica, e non solo per disponibilità economica.
Altre regioni non se li possono permettere; gli ultimi anni però hanno visto anche una costante riduzione dei servizi pubblici di trasporto, soprattutto ferroviari, dopo che questi ultimi sono passati in carico alle regioni. Per ovviare ai problemi di sostenibilità economica le gare per il trasporto pubblico dovrebbero appaiare la gestione delle tratte meno profittevoli a quelle più profittevoli.
Almeno questo tipo di motorizzazione in comunità più scarsamente popolate ha un impatto sull’inquinamento locale minore che in città medie e grandi, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di ossidi di azoto, dannose in elevate concentrazioni. Resta il problema del contributo alle emissioni di CO2 e gli eventuali limiti di accesso alle città per quei pendolari che gravitano su metropoli dove il problema dell’inquinamento è più grave.
La conversione alla mobilità elettrica risolverebbe entrambi i punti, ma perché le auto a batterie si diffondano “in campagna” serviranno un calo dei prezzi e incentivi all’installazione di punti di ricarica individuali e di condominio.
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