- Lo stop alla produzione di Pfas nello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo è durato un paio di mesi concludendosi di fatto lo scorso maggio. L’uso del cC6O4 era stato sospeso a marzo, perché l’azienda non era ancora in grado di garantire l’assoluta tenuta degli impianti.
- A oggi la provincia non ha ancora reso pubblica la determina con cui ha concesso l’autorizzazione. Nonostante alcuni giorni fa si sia tenuto un consiglio comunale per avviare una discussione trasparente sulla Solvay.
- Nessun esponente della provincia, dell’Arpa locale o dell’azienda ha ritenuto utile fornire alcun dettaglio in più sull’autorizzazione concessa, lo stato della falda sottostante o eventuali perdite.
Lo stop alla produzione di Pfas nello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo è durato circa due e mesi e mezzo, concludendosi di fatto lo scorso maggio, quando la provincia di Alessandria ha firmato una determina che dà il via libera all’attività di uno dei quattro impianti. Solo due mesi prima l’uso del cC6O4 era stato sospeso, perché l’azienda non era ancora in grado di garantire l’assoluta tenuta degli impianti. Ovvero il principale vincolo sulla base del quale era stato invece concesso, alla fine di febbraio, l’ampliamento fino a 60 tonnellate della produzione di questo Pfas. Gli enti territoriali della provincia di Alessandria prima di allora non avevano nemmeno mai autorizzato questa produzione, nonostante l’azienda lo avesse prodotto fin dal 2013.
La determina che la provincia ha firmato a maggio rappresenta un precedente molto pericoloso, perché nonostante dia il via libera alla produzione di Pfas in uno solo dei quattro impianti, spiana la strada per l'approvazione della produzione degli altri tre impianti. Il documento infatti rivela l’approvazione di alcune condizioni necessarie alla concessione, che erano quelle che prescrivevano la cessata produzione sulla base della tenuta degli impianti e sulla non presenza di pfas nel terreno all'interno e all'esterno dello stabilimento. Condizioni però che non sono state dimostrate da Arpa e che ora l'ente regionale ha deciso di approvare sulla base di non si capisce bene quali analisi. Le recenti rilevazioni di Arpa sui terreni dell’area, infatti, non erano ancora pervenute quando la determina è stata approvata e hanno dimostrato non solo come il cC6O4 sia presente ma che l'azienda non sia assolutamente in grado di garantire la non fuoriuscita di questi composti.
Rimpallo tra Arpa e provincia
«Nel maggio scorso è stato dato il via libera alla produzione nell’impianto Algoflon, e adesso contiamo di averlo anche per le altre produzioni» fanno sapere da Solvay, mentre la stessa provincia nega in parte l’esistenza di una determina che avrebbe fatto ripartire la produzione. Si parla piuttosto di «una presa d’atto della relazione dell’ente tecnico Arpa» chiamato a verificare l’effettiva realizzazione delle prescrizioni, dice Claudio Coffano, responsabile ambiente della Provincia, che aggiunge: «se sia ripresa o meno la produzione non lo so. Quello che so è che al momento sono in corso delle valutazioni più generali, e che avremo una determina conclusiva nelle prossime settimane». Tuttavia la produzione è partita, proprio per gentile concessione della provincia, che ha approvato il 12 maggio scorso l’avvio di uno dei quattro impianti che utilizza il cC6O4 e di conseguenza l'uso di Pfas. Nonostante l'azienda che lo produce, la Solvay, si trovi al momento sotto indagine da parte della procura di Alessandria proprio per la perdita di questo composto nella falda acquifera sottostante.
La commissione d’inchiesta
E nonostante la commissione d’inchiesta sulle attività ambientali illecite della camera, abbia messo in chiara discussione solo alcuni giorni fa, la validità dei documenti con cui Solvay giustifica la sicurezza del suo prodotto, il cC6O4. Come ha ricordato bene il deputato Alberto Zolezzi della commissione, «parliamo di una sostanza che è stata prodotta e commercializzata, nonostante la documentazione che ne attesta la sicurezza sia incompleta». E che «siamo sicuri abbia conseguenze sulla salute, sulla fertilità e sullo sviluppo umano», ha precisato il professor Carlo Foresta dell’Università di Padova audito dalla stessa commissione. Che interrogato circa la validità scientifica degli studi ha replicato di non averli letti, perché « oltre a essere di difficile reperibilità, non possono essere usati come fonti in quanto non riconosciuti dalla ricerca internazionale».
Le condizioni della provincia
Quando la provincia concesse l’autorizzazione all’ampliamento del cC6O4 a Spinetta, lo scorso 26 febbraio, lo fece ad una sola condizione: l’assoluta tenuta degli impianti. Tenuta che doveva essere garantita dal piano di manutenzione per eliminare eventuali perdite diffuse, proposto dalla stessa Solvay e verificato da Arpa. E dal monitoraggio effettivo della falda sottostante, realizzato attraverso 49 punti di verifica nel terreno vicino gli impianti per monitorare la qualità delle acque sotterranee. Fu proprio nel rispetto di queste prescrizioni che la provincia sospese in toto la produzione di Pfas a marzo.
Il 12 maggio scorso invece Arpa ha dato il suo consenso all’avvio della produzione, ma solo in uno dei quattro impianti del polo chimico che utilizzano il cC6O4. Questo perché stando a quanto riporta Arpa alla provincia «è stata attestata l’attuazione del Piano di miglioramento» presentato da Solvay, e nonostante «siano state riscontrate alcune difformità che richiedono ulteriore formalizzazione ed aggiornamento» ha dato il via libera all’uso del cC6O4 nel reparto Algoflon. E ha posticipato invece un’eventuale conferma dell’avvio degli altri impianti. Perché non erano ancora arrivati agli enti territoriali i dati della campagna di monitoraggio finalizzata alla ricerca di cC6O4, ADV7800 e del Pfoa nei 49 punti di verifica disposti attorno al polo chimico.
La campagna di monitoraggio del sottosuolo è iniziata il 19 aprile scorso, tuttavia la prescrizione viene riconosciuta “attuata” nonostante al momento della firma della determina non fossero ancora stati presenti i dati del monitoraggio. Dati che sono arrivati agli enti territoriali solo dopo l’approvazione, e che hanno evidenziato come il cC6O4 sia presente nella falda sottostante lo stabilimento. Complice forse la fuoriuscita accidentale di questo Pfas avvenuta lo scorso dicembre, quando nella falda sottostante la Solvay è stato registrato un aumento fino a ben 1.219 microgrammi per litro di cC6O4. Perdita che è stata ufficialmente comunicata all’ente di controllo tre mesi dopo l’accaduto, e di cui a oggi i cittadini di Spinetta, che vivono accanto agli impianti, non sanno nulla.
Il consiglio comunale
E continuano a saperne nulla anche dopo il consiglio comunale, aperto sul tema dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, e annunciato dal consigliere comunale Emanuele Locci. Perché nonostante l’obiettivo fosse quello di «avviare una discussione in maniera trasparente sulle diverse posizioni in campo» nessuno esponente della provincia, dell’Arpa locale o dell’azienda ha fatto cenno allo stato delle acque di falda interne ed esterno lo stabilimento. Ne è stato fatto cenno all’evento accidentale di rilascio di cC6O4 avvenuto l’8 dicembre scorso, e di cui tutti gli enti sono a conoscenza ormai da mesi. Ne è stato fatto cenno alle diverse ricerche internazionali, in cui è stato dimostrato come tanto più c’è Pfas nel sangue della popolazione generale, tanto più sono frequenti osteoporosi, infertilità, diabete, rischio cardiovascolare e alterazioni cognitive.
«Bisogna inoltre ricordare che nelle zone più esposte», ha ricordato il dott. Foresta durante l’audizione in commissione illeciti ambientali, «abbiamo trovato concentrazione significative di Pfas nel liquido seminale dei più giovani, e in Veneto abbiamo dimostrato come questi composti provochino una riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi». L’inquinamento infatti presente nelle zone più esposte, come Spinetta, non è solo l’espressione dell'esposizione a cui si è sottoposti ora. Ma pure delle conseguenze prodotte da queste sostanze nel feto, e «che abbiamo rintracciato nel cordone ombelicale e nella placenta».
Controllore o controllato?
Durante il lento srotolarsi dei diversi interventi del consiglio comunale, si ha l’impressione di assistere ad una celebrazione già conclusa. Davanti alla quale, ha ricordato Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, «sorge il dubbio su chi abbia realmente dettato le regole: il controllore o il controllato?». Perché nonostante la conferenza dei servizi avesse tutto il diritto di interrompere la produzione di cC6O4, sulla base delle poche informazioni reperibili e dell’assenza di norme disponibili per limitarne l’uso e imporre dei limiti. «È sorprendente come invece abbia deciso di approvarne la produzione, solo dopo due mesi di stop e con un documento di cui a oggi la cittadinanza non sa ancora nulla».
«Sulla base del principio di precauzione si dovrebbe interrompere la produzione» ha commentato Claudio Lombardi ex assessore all’ambiente del comune di Alessandria, che in segno di protesta ha deciso di non presenziare al consiglio comunale. «Non possiamo conoscere l’effetto che l’ampliamento fino a 60 tonnellate annue della produzione avrà sull’intero bacino del Po», ovvero sulla vita di 16 milioni di persone. Secondo Lombardi bisognerebbe perlomeno fare una moratoria, interrompere veramente la produzione e condurre ulteriori indagini. «Capire in sostanza se Solvay afferma il vero, o se gli effetti nocivi del cC6O4 sono simili ai quelli provocati da altri Pfas, come il Pfoa».
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