- Negazionismo aggressivo negli anni Novanta, argomentazioni fallaci negli anni Duemila, studi ingannevoli sull’accordo di Parigi.
- Cambiando strategia, ma rimandendo fedele ai suoi finanziatori la più vecchia e potente associazione commerciale degli Stati Uniti d’America ha scientificamente rallentato la transizione a un mondo sostenibile.
- Ora però una inchiesta del Congresso ricostruisce passo passo tutta la strategia di questo negazionismo ricco e organizzato.
Come appare chiaro dall’indagine del Congresso americano sul ruolo di Big Oil nella campagna di disinformazione sul clima, tra coloro che hanno fatto pressione per ostacolare le politiche climatiche non ci sono solo le aziende fossili. C’è anche la US Chamber of Commerce (USCC), la Camera di Commercio degli Stati Uniti, la più vecchia associazione commerciale che rappresenta gli interessi di centinaia di migliaia di compagnie.
Il negazionismo climatico è un affare per le lobby
Venti anni di ostacolo all’ambiente
Per 20 anni, dal 1989 al 2009, la USCC ha avuto un ruolo centrale nella campagna per contrastare la legislazione sul clima e le regolamentazioni governative sulle emissioni. Un rapporto pubblicato a giugno 2021 dal Climate and Development Lab della Brown University analizza decine di documenti interni della Camera e delinea la strategia comunicativa dell’associazione sul cambiamento climatico.
Così come Exxon, l’American Petroleum Institute, Shell e BP, protagonisti degli episodi precedenti di questa serie sul negazionismo del settore fossile, la Camera era a conoscenza delle implicazioni dell’aumento della temperatura causato da un aumento delle emissioni di gas serra.
Un documento interno del 1989, che consisteva nella testimonianza di uno scienziato alla Camera di Commercio Internazionale, afferma chiaramente che «il livello del mare si alzerà…e ci saranno cambiamenti nella distribuzione delle specie di alberi e colture e nella produttività agricola».
Negazionismo organizzato
Nonostante fosse a conoscenza dei rischi climatici dell’attività fossile, dalla seconda metà degli anni Novanta la USCC ha cominciato a diffondere sempre più aggressivamente il messaggio negazionista, soprattutto quando ha compreso che il protocollo di Kyoto del 1997 e il clima di azione politica sul tema di quegli anni sarebbero stati una minaccia allo status quo e ai propri interessi. L’analisi, infatti, mostra che il messaggio della Camera è cambiato a seconda del clima politico.
La USCC faceva parte della Global Climate Coalition, un’alleanza di aziende che hanno cercato di ostacolare le politiche climatiche del governo e, insieme all’American Petroleum Institute (API), tra gli altri, ha finanziato think tank di stampo conservatore, lobby e campagne politiche per promuovere l’idea che la scienza del clima fosse ancora incerta e che non sarebbe stato saggio regolamentare le emissioni di combustibili fossili. Il gruppo è stato anche fondamentale nel persuadere l’amministrazione Bush a ritirarsi dal protocollo di Kyoto.
Il messaggio della Camera sul cambiamento climatico è diventato più estremo e aggressivo durante gli anni Duemila, afferma il rapporto, periodo che coincide con l’assunzione di William Kovacs come vicepresidente del gruppo Ambiente, Tecnologia e Affari Regolamentari della USCC. Nel 2001, durante un intervento su CNN, Kovacs disse che «non c’è alcun legame tra i gas serra e l’attività umana».
L’argomento ricorrente della USCC era sempre lo stesso: il fenomeno del cambiamento climatico è incerto e la scienza ha bisogno di più tempo per consolidarsi – nonostante il fatto che il consenso scientifico sul clima era chiaro anche all’epoca.
Altre argomentazioni sfruttavano le paure sugli aspetti economici: le soluzioni proposte sarebbero state dannose per l’economia americana e avrebbero posto il paese in svantaggio economico e politico rispetto ad altre nazioni.
La strategia della procrastinazione
Secondo il rapporto, poi, in quegli anni e anche successivamente, la USCC ha messo in campo quelli che vengono chiamati «discorsi di procrastinazione climatica» per ritardare l’azione politica sul clima. In particolare, dopo una prima fare di aperto negazionismo in cui la Camera seminava il dubbio sulla scienza del clima, la USCC ha messo in campo uno dei discorsi di procrastinazione per eccellenza: che ormai era troppo tardi per agire e porre rimedio alla crisi climatica. Il cambiamento climatico era “irrisolvibile”.
Ma questa non è stata l’unica strategia di procrastinazione utilizzata dalla USCC. Secondo il rapporto, la Camera ha reindirizzato la responsabilità da soluzioni sistemiche alle scelte individuali dei consumatori, una classica strategia negazionista, approfondita nell’ultimo episodio sulla storia di BP.
La scusa del free-rider
La USCC, inoltre, ha reindirizzato la responsabilità anche nei confronti di altre nazioni – questa strategia viene chiamata “la scusa del free-rider” per cui se “non agisci tu, non agisco nemmeno io”.
La Camera, poi, ha criticato l’energia rinnovabile, sostenendo che le rinnovabili «sono e continueranno ad essere» un povero sostituto per i combustibili fossili.
Infine, ha promosso in maniera ingannevole gli aspetti negativi delle politiche climatiche, affermando che costituiscono “una minaccia” alla vita e al benessere degli americani.
Tutte queste strategie esistono ancora oggi e sono utilizzate attualmente da chi ha interesse politico ed economico a ritardare l’azione sul clima.
Il negazionismo assoluto infatti è sostituito, nella maggioranza dei casi, da strategie negazioniste più soft che hanno a che fare con la procrastinazione.
Nel 2019, in seguito alla decisione di Shell di lasciare il gruppo, la USCC ha cambiato rotta, almeno all’apparenza. Ha annunciato la formazione di una «task force sul cambiamento climatico» e ha pubblicato un articolo sul suo sito in cui dichiara che «l’inazione sul clima semplicemente non è un’opzione».
In passato, era già accaduto che alcune compagnie del gruppo avessero lasciato o criticato la USCC per la sua posizione sul clima. Nike e Johnson & Johnson, per esempio, hanno attaccato la Camera per il suo rifiuto di sostenere la legislazione “cap-and-trade” dell’amministrazione Obama.
Il cap-and-trade è un sistema per ridurre le emissioni che implica la creazione di un mercato e il commercio delle quote di emissione.
C’è una crescente pressione, infatti, da parte di alcune aziende, e la Camera ha dovuto ammorbidire la propria posizione, almeno pubblicamente. Ma molti critici credono che sia una copertura perché la leadership di questi gruppi commerciali è strettamente legata agli interessi fossili.
Chamber of Carbon
Sempre nel 2019, infatti, alcuni membri del Congresso e i gruppi ambientalisti hanno creato l’hashtag #ChamberofCarbon per evidenziare i legami della Camera con il settore e denunciarne gli sforzi negazionisti.
Nel 2010, il New York Times ha riferito che metà dei 140 milioni di dollari di finanziamenti ricevuti dalla nel 2008 provenivano da soli 45 gruppi, tra cui l’azienda fossile Chevron ma anche Dow Chemical e Goldman Sachs. Tra i maggiori finanziatori, la piattaforma di giornalismo indipendente DeSmog elenca Exxon e l’American Petroleum Institute.
Il negazionismo climatico della USCC, poi, non si limita soltanto all’aspetto comunicativo ma riguarda soprattutto gli ingenti finanziamenti verso gruppi di lobby, campagne politiche e rappresentanti politici al fine di mantenere un controllo sulla legislazione e sulle decisioni politiche.
OpenSecrets riporta che la USCC e le sue filiali hanno speso quasi 104 milioni di dollari in attività di lobbying solo nel 2016, per un totale di più di un miliardo di dollari dal 1998.
L’inganno sull’accordo di Parigi
Nel 2017, la Camera ha finanziato uno studio economico ingannevole sui costi dell’adesione statunitense all’Accordo di Parigi. Lo studio è stato citato da Trump come motivo per il ritiro degli Stati Uniti.
La USCC ha anche contestato e opposto l’azione della Environmental Protection Agency sulla regolamentazione delle emissioni di Co2.
Oggi, la Camera di Commercio degli Stati Uniti si oppone al piano “Build Back Better” di Biden per il clima, considerato fondamentale per l’obiettivo degli USA di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 50 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.
© Riproduzione riservata