Il co-portavoce di Europa Verde, è stato l'unico capo di partito italiano (Meloni a parte, ovviamente) a seguire di persona i lavori di Cop28 da vicino, a Dubai. In questa intervista attacca il governo: «Assente e ipocrita sul clima». Ma anche agli alleati del Pd: «Sui territori sono a favore dei rigassificatori»
Angelo Bonelli, coportavoce di Europa verde, è stato l’unico leader di un partito italiano (Giorgia Meloni a parte, che ovviamente era presente come capo del governo) a seguire di persona i lavori di Cop28 da vicino, a Dubai. Secondo un’analisi di Pagella Politica, pochissimi leader in Italia hanno commentato anche solo sui social i risultati del vertice. È la misura di quanto sia provinciale e povero di contenuti il nostro dibattito sul clima, nonostante sia una delle grandi questioni geopolitiche.
Venerdì il presidente Sergio Mattarella ha detto che occorre «dare rapida e concreta attuazione a quanto deciso a Cop28, consapevoli che il ritardo accumulato è già molto». Eppure l’impressione è che il messaggio politico della Cop sia stato principalmente ignorato dalla politica italiana. I leader non ne parlano, il governo era assente nelle fasi più calde.
Purtroppo infatti il messaggio non è arrivato. Meloni in aula non ha fatto nessun cenno agli esiti della conferenza sul clima, nemmeno quando è stata sollecitata da me. È una sciatteria culturale, ma è anche intenzionale, tenere il silenzio sulla Cop28 serve a tutelare le politiche energetiche in corso. Il vero biglietto da visita del governo per la Cop28 è stato il decreto Energia, pieno di contraddizioni, un testo che va nella direzione opposta alle decisioni prese a Dubai, la tassazione imposta alle rinnovabili è odiosa e insensata.
Eppure l’Italia ha sottoscritto l’impegno a triplicare le rinnovabili.
L’Italia è come Zelig, il film di Woody Allen. Vai in un posto e ti adegui a quello che le persone vorrebbero sentir dire da te lì, poi torni in Italia e fai l’opposto. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin continua a parlare di investimenti nelle rinnovabili, ma il suo è un deprimente bla bla bla. Le decisioni delle conferenze sul clima non sono vincolanti, diventano realtà solo con gli impegni dei governi. In Italia non esiste strategia, né intenzione, di iniziare a sostituire il gas, nemmeno in maniera graduale.
Intanto, Eni continua a investire in fossile e stiamo perdendo anche Enel sul fronte della transizione, con l’allarme lanciato dal Financial Times.
Enel oggi è guidata dal duo Cattaneo-Scaroni, quest’ultimo ricordiamo che è passato alla storia per aver detto che investire nelle rinnovabili era «da ubriachi». Le loro strategie, come vendere quote di 3Sun di Catania, porteranno a una ulteriore deindustrializzazione. Anche lì c’è un mandato governativo, si smantella la fabbrica innovativa di pannelli fotovoltaici e si riempie il territorio di nuovi rigassificatori.
E si chiude il cerchio con Eni, che a Cop28 praticamente giocava in casa.
L’Eni non solo fa la politica energetica dell’Italia, ma anche la politica estera. Nei suoi giri africani, è Claudio Descalzi che introduce la premier ai leader. Il Piano Mattei è l’esempio massimo di questa ipocrisia, sfruttare le risorse energetiche africane in cambio dei soldi di questo fondo sul clima che dovrebbe avere lo scopo opposto. Tutto rimanendo ancorati al gas, quando avremmo tutto per poter provare a diventare un hub delle tecnologie connesse alla transizione, come mandato di Cop28.
Come giudica la performance del ministro Pichetto Fratin a Dubai?
Un disastro. Un pesce fuor d’acqua. Quando sono intervenuto in aula gli ho regalato un dizionario di inglese. Non solo non ha avuto alcun peso, ma non ha nemmeno capito le decisioni che sono state prese. Per esempio, non c’è alcuna spinta al nucleare da Cop28, che invece dice chiaramente che bisogna triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza. A telecamere spente, Pichetto è venuto da me a dirmi che avevo ragione.
Nelle società democratiche, intanto, l’unica spinta che si sente è quella antiecologista. La campagna per le europee sarà durissima. Come ci si attrezza?
Dobbiamo respingere la narrativa della destra sul fatto che la transizione crea povertà. È la crisi climatica a creare povertà, e accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi, attraverso extraprofitti e bollette altissime.
Questa è la teoria politica, ed è corretta. Ma la pratica dei messaggi?
C’è un tema di coerenza. Lo dico al Partito democratico. Il vostro slogan è “verde, giusta e sociale”? Bene. Bisogna essere coerenti. Come è possibile che ci siano regioni dove le infrastrutture fossili come i rigassificatori sono approvate dagli amministratori locali del Pd? In questo modo si manda un messaggio sbagliato.
Sì, ma come si fa a rendere il clima un tema politicamente attrattivo?
Con una grande alleanza per il clima, il sociale, la pace e la democrazia che vada oltre Alleanza verdi e sinistra e raccolga esperienze e candidature di persone dai movimenti giovanili, dalla comunità scientifica, dall’associazionismo. Abbiamo di fronte una battaglia campale, perché perdere le europee vuol dire smantellare conquiste ambientali come il Green Deal, il Fit for 55, la Nature Restoration Law.
Però in Italia l’ambientalismo non sa produrre figure carismatiche. Perché?
È un problema che riguarda la politica italiana nella sua interezza. Dobbiamo fare autocritica, lavorare affinché ci possano essere figure trainanti in grado di emergere, dobbiamo fargli spazio, creare le condizioni. Il fatto che finalmente dopo tanti anni ci sia un gruppo parlamentare dei Verdi è un’occasione di costruzione. Le figure forti arrivano anche lavorando sui contenuti. L’ultima è stata Alexander Langer.
E sono passati quasi trent’anni dalla sua morte. E forse non aiuta a creare le condizioni l’accusa a Europa verde di essere un partito patriarcale, come ha fatto l’ex portavoce Eleonora Evi.
Sono accuse che mi hanno addolorato e sono del tutto false. Evi mi ha addirittura detto di aver usato la sua gravidanza per estrometterla. L’ho indicata come portavoce, l’ho indicata come deputata, aveva tutti gli strumenti per farsi valere, non è colpa mia se Piazzapulita o Di Martedì chiamavano me invece che lei.
Però dire così non è già patriarcale? Forse sarebbe meglio fare autocritica, una riflessione, chiedersi se c’è davvero un problema.
È una riflessione che abbiamo già fatto. Il 50 per cento degli incarichi sono a donne, la metà degli eletti è una donna. Eleonora Evi è stata ingiusta innanzitutto nei confronti delle donne di Europa verde. La leadership bisogna saperla esercitare, vale se sei uomo o sei donna.
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