Alle elezioni i partiti promettono leggi contro il consumo del suolo. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ispra è arrivato ai livelli più alti negli ultimi undici anni
Alle elezioni di un anno fa non c’era partito che si presentasse senza l’intenzione dichiarata nei programmi di fermare il consumo di suolo una volta per tutte. La promessa elettorale di una legge nazionale contro la cementificazione e l’impermeabilizzazione del suolo è una specie di tradizione della politica italiana, che da sei legislature mette in cantiere disegni di legge puramente performativi sull’argomento, mai destinati ad arrivare fino in fondo.
Nel frattempo, il consumo di suolo corre indisturbato. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ispra è arrivato ai livelli più alti negli ultimi undici anni. Se continuerà con questa velocità fino al 2030, la perdita di capitale naturale e servizi ecosistemici ci costerà in tutto tra 80,2 e 98,7 miliardi di euro. Il consumo di suolo rende i centri abitati molto più pericolosi in caso di alluvione e inondazione (900 ettari consumati in aree «ad alta pericolosità idraulica») e le città insopportabilmente più calde, con i picchi di +6°C di Firenze e +8°C di Milano, rispetto alle campagne intorno. Turbo isole di calore.
Da naturale ad artificiale
Consumo di suolo vuol dire sostanzialmente trasformazione del suolo da naturale ad artificiale: nel 2022 la copertura artificiale dell’Italia è arrivata al 7,14 per cento del territorio nazionale, oltre 21.500 chilometri quadrati. Nell’ultimo anno sono spariti 76,8 chilometri quadrati, con una media di 21 ettari al giorno. Negli ultimi undici anni, le velocità media giornaliera non aveva mai superato i 20 ettari al giorno.
Nel 2022 c’è stata un’intensificazione, 2,4 metri quadrati persi ogni secondo. C’è stata una compensazione, con sei chilometri quadrati tornati da consumati a naturali (grazie al recupero di aree di cantiere, soprattutto), ma anche 7,5 chilometri quadrati che sono passati da suolo consumato in modo reversibile a suolo consumato in modo irreversibile, persi per sempre dalla storia naturale della penisola.
L’identikit
L’identikit dell’area consumata è: lungo la fascia costiera a meno di un chilometro dal mare o nelle zone urbane e periurbane di pianura. Le zone più colpite sono: pianura Padana lombarda e veneta (soprattutto lungo l’asse Milano Venezia) e costa adriatica dal Veneto alla Puglia. Tra le aree metropolitane, spiccano per intensità Roma e Napoli. Regioni più consumate in percentuale: Lombardia (12,16 per cento), Veneto (11,88 per cento) e Campania (10,52 per cento). La Lombardia ha anche il primato in termini assoluti, con l’incredibile dato di 290mila ettari resi artificiali.
La capitale del consumo di suolo invece rimane Roma, che ha toccato i livelli più alti degli ultimi sedici anni, dopo l’illusione della riduzione innescata nel 2021. L’anno scorso ha perso in tutto 124 ettari, con particolare concentrazione nel quadrante sud-ovest. Più del 67 per cento dei nuovi cambiamenti a livello comunale è riconducibile a cantieri o aree sterrate, circa il 17 per cento invece ad aree estrattive.
Gli altri due comuni sul podio sono più piccoli: Uta (in provincia di Cagliari) e Casalpusterlengo (Lodi), con 98 e 63 ettari di suolo consumato in più, a Uta per un grande impianto fotovoltaico e a Casalpusterlengo per il cantiere di una grande nuova infrastruttura stradale che per 50 ettari attraversa il territorio comunale. Tra i comuni con più suolo perso nel 2022 ci sono anche Piacenza e Sassari, dove in un caso il cambiamento è stato causato dai 34 ettari mangiati dall’ampliamento di un nuovo polo per la logistica, mentre nell’altro, a Sassari, dai 40 ettari persi per permettere l’ampliamento di una cava.
Norme regionali
Per contrastare questo fenomeno, diverse regioni si sono dotate di leggi e norme proprie, nella maggior parte dei casi inefficaci o addirittura nocive. «Anche in considerazione della disomogeneità delle azioni sul territorio, sarebbe importante arrivare all’approvazione di una legge nazionale sul consumo di suolo in conformità agli indirizzi europei, che affermi i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo dello stesso, sostenendo con misure positive il futuro dell’edilizia e la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola», spiega Stefano Laporta, presidente di Ispra, ricordando all’Italia che questa legge serve anche per i target dell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano per la transizione ecologica.
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