Nessuno prima di Giuseppe Conte si era mai lasciato andare a promesse così mirabolanti nella lotta ai cambiamenti climatici, nell’accelerazione della transizione ambientale. Eppure, più passa il tempo e più la vaghezza di questa rivoluzione sta diventando evidente
- Il premier Conte e la maggioranza che lo sostiene, da Nicola Zingaretti a Luigi Di Maio passando per i ministri Sergio Costa e Stefano Patuanelli, hanno più volte annunciato l’intenzione del governo di lanciare una rivoluzione green.
- La distanza tra gli annunci e la realtà delle decisioni politiche, però, è resa piuttosto evidente dal testo delle legge di Bilancio attualmente in discussione alla Camera.
- Alcuni ritardi, alla luce della pandemia che ci ha colpiti, sono comprensibili. Ma possibile che l’unica politica messa in campo sia quella dei bonus, compresi quelli ambientali?
La distanza tra gli annunci del governo sul cambiamento green e la realtà delle decisioni politiche la troviamo nero su bianco nel testo della legge di Bilancio in discussione alla Camera. Non è una novità, anche perché nessuno prima di Giuseppe Conte si era mai lasciato andare a promesse così mirabolanti nella lotta ai cambiamenti climatici, nell’accelerazione della transizione ambientale, con impegni confermati da Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, passando per i ministri Sergio Costa e Stefano Patuanelli.
Solo bonus
Eppure, più passa il tempo e più la vaghezza di questa rivoluzione che si voleva portare nel paese sta diventando evidente, aprendo un conflitto con il mondo ambientalista. Alcune ragioni dei ritardi ovviamente sono comprensibili, il 2020 è stato un anno terribile, funestato dalla pandemia. Ma possibile che l’unica politica messa in campo sia quella dei bonus, compresi quelli ambientali? È evidente che si tratta di un prospettiva insufficiente, anche perché oggi è ampiamente riconosciuto che proprio la chiave green sia quella più efficace per rilanciare gli investimenti, ridurre la spesa energetica di famiglie e imprese, riqualificare territori e città.
Nel testo in discussione alla Camera ancora una volta si rinvia al futuro queste decisioni. A partire dall'ennesimo rinvio del taglio dei sussidi alle fonti fossili e di entrata in vigore della plastic tax, dopo che erano stati presi impegni e si era persino ridotta la portata degli interventi. Sono due pessimi segnali che si accompagnano alla confusione che regna intorno al Recovery plan italiano, dove oltretutto le risorse destinate a queste politiche dovranno pesare per almeno il 37 per cento.
Il resto d’Europa
Spagna, Francia e Germania hanno già chiarito quali saranno le priorità e i progetti su cui punteranno per fare della chiave green la leva per il rilancio dell’economia post Covid, in modo da spingere innovazione e ricerca, dare risposta alle disuguaglianze cresciute in questi anni. Rinviare ancora queste decisioni, continuare a tenere i progetti nei cassetti, eludere il confronto rischia di aggravare i problemi. Anche quelli politici di questa maggioranza di governo. Piuttosto si scelgano poche priorità, chiare su cui si vuole incamminare il paese e che quindi possano trovare spazio già in questa legge di Bilancio.
Ad esempio, alcuni interventi già sappiamo che potranno essere finanziati con le risorse di Next Generation Eu. Come gli investimenti nella riqualificazione del patrimonio edilizio, introducendo – come in tutti gli altri paesi europei – un fondo per l’accesso al credito a tassi agevolati per gli interventi da parte di famiglie e imprese. Oppure l’acquisto di treni e autobus, la realizzazione di ciclabili in tutte le grandi città, gli interventi di adattamento a un clima che sta già cambiando con danni crescenti in ogni area del paese.
Non ha senso rinviare e non esistono neanche problemi di copertura delle spese. Paradossalmente per le scelte ambientali il problema non sono oggi le risorse, piuttosto l’assenza di una proposta politica, una visione di cambiamento per superare la difesa di interessi, facendo capire a tutti i cittadini le questioni in campo.
Basterebbe raccontare la vergogna dei canoni bassissimi che si pagano nel nostro paese per estrarre petrolio e gas, per i materiali da cava, per le acque minerali, per le concessioni balneari. Per proporre un adeguamento già dal 2021 a standard europei. Da questi interventi si potrebbe recuperare un miliardo di euro all’anno, da investire nella transizione verde e per ridurre le tasse sul lavoro.
Poi, con il Recovery plan si potrà affrontare il resto dei sussidi che si trovano nell’elenco di 19 miliardi che troviamo nel catalogo del ministero dell’Ambiente. Anche qui con serietà, rinunciando agli slogan. Perché molti di questi sono in realtà politiche stratificate nel tempo di supporto a settori fondamentali come i trasporti, l’industria, l’agricoltura o di aiuto alle famiglie con sconti sul pagamento di benzina, gasolio e gas.
Inutile puntare a recuperare da qui risorse per coprire altre spese, piuttosto si sostituiscano quei sussidi al consumo di fonti fossili con incentivi per investimenti green, a vantaggio di imprese e famiglie, in particolare di quelle più povere. Se si mettono in fila le idee, le cose da fare, il percorso green non solo si semplifica ma diventa anche più chiara la sua utilità rispetto al rilancio del paese. E il 2021 potrebbe davvero diventare un anno diverso da quello da cui faticosamente stiamo uscendo.
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