Quando i capi mondiali hanno celebrato il raggiungimento di un importante accordo sul cambiamento climatico a Parigi nel dicembre 2015, la Torre Eiffel e l'Arco di Trionfo sono stati illuminati con potenti riflettori verdi e su di essi spendeva il messaggio «Accord de Paris c'est fait!» (L'accordo di Parigi è concluso!). Che ne è a cinque anni di distanza?

Sebbene alcuni analisti affermino che il patto abbia contribuito a compiere progressi verso il suo obiettivo di impedire che le temperature medie globali aumentino di 2°C entro la fine del secolo rispetto ai livelli preindustriali, la realtà dice che lo sforzo è anche offuscato da ampie prove che molti paesi non mantengono le promesse fatte nel 2015. E anche se le nazioni avessero mantenuto quelle promesse, alcuni ricercatori prevedono che le temperature globali aumenteranno di 2,6°C entro la fine del secolo e dunque è necessaria un’azione più forte.

Se si volesse dare un voto a quanto fatto finora dopo il patto di Parigi «in base alla possibilità di raggiungere l’obiettivo dei 2°C, dovremmo dare un D o un F (appena sufficiente o insufficiente)», ha detto Michael Oppenheimer, scienziato del clima ed esperto di politiche alla Princeton University. «Ma allo stesso tempo», ha sottolineato lo scienziato, il patto ha fatto una «vera differenza» contribuendo a rendere il cambiamento climatico «una delle principali preoccupazioni di tutti i paesi».

L’accordo di Parigi è un insolito ibrido di ambizioni di altissimo livello e pochi meccanismi per raggiungerli. Richiederebbe infatti, abbandonare i combustibili fossili per produrre energia e per il trasporto, arrestare la deforestazione, revisionare la produzione alimentare e trovare modi per estrarre i gas serra dall’atmosfera. Per raggiungere l’obiettivo comunque, è stato permesso a ciascun paese di elaborare i propri piani su come raggiungere gli obiettivi.

Spiega Christiana Figueres, che ha guidato l'ufficio delle Nazioni Unite che ha coordinato i colloqui dell'accordo di Parigi: «Questa flessibilità ha consentito a un certo numero di nazioni di rafforzare i propri impegni iniziali promettendo di portare le proprie emissioni a zero entro il 2050. L'Unione europea, il Canada, la Corea del Sud, il Giappone, il Sud Africa e il Regno Unito hanno tutti fatto quella promessa. Il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden ha approvato l'obiettivo (dopo che Trump non ne voleva sapere) e ha promesso di fare della lotta al cambiamento climatico un fulcro della sua presidenza.

Nel frattempo, la Cina, la principale fonte di emissioni al mondo, ha affermato che taglierà l'inquinamento climatico più rapidamente di quanto inizialmente promesso, puntando alla neutralità del carbonio entro il 2060. E a dire il vero ci sono anche segnali che i picchi di temperatura previsti per la fine di questo secolo si stanno leggermente allentando. Prima del vertice di Parigi del 2015, le emissioni globali avrebbero aumentato le temperature di 3,5°C entro il 2100, ma secondo le stime del Climate Action Tracker, un consorzio scientifico senza scopo di lucro, ora quella curva si è appiattita a 2,9°C».

Il cambiamento è il risultato di una combinazione di azioni tecnologiche, economiche e politiche, afferma Bill Hare, fisico e amministratore delegato di Climate Analytics, un’organizzazione senza scopo di lucro che fa parte del consorzio. Il costo delle tecnologie energetiche rinnovabili, come l’energia solare, è precipitato. La crescita economica è rallentata. Le normative, in particolare nei paesi europei, hanno iniziato a ridurre le emissioni.

In Europa, nel 2018 le emissioni sono scese del 23 per cento al di sotto dei livelli del 1990. E ora i capi dell’Ue hanno concordato un piano per una riduzione del 55 per cento entro il 2030. Ma ci sono ancora tanti nei da togliere. Anche se Biden vuole rientrare nei patti di Parigi dai quali si era tolto Trump, secondo una nuova analisi dell’Environmental defense fund (Edf), pur tenendo conto della recessione economica causata dalla pandemia Covid-19, gli stati probabilmente taglieranno le emissioni di appena il 18 per cento rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025. Al contrario, gli Stati Uniti sotto l’ex presidente Barack Obama avevano promesso tagli tra il 26 e il 28 per cento.

In ogni caso va detto che a livello globale, quest'anno, la pandemia ha innescato un calo a breve termine dell'inquinamento climatico poiché le economie hanno vacillato e le persone hanno evitato i viaggi e lavorato da casa. Le emissioni sono diminuite di circa il 7 per cento rispetto al 2019, secondo una stima di un gruppo internazionale di scienziati sulla rivista Earth System Science Data. Ma le emissioni dovrebbero riprendersi con la ripresa delle economie.

Cosa fare allora di concreto? Spiega Hare: «Per rimanere al di sotto della soglia di riscaldamento di 2°C ci si dovrà impegnare molto di più a ridurre le emissioni». Ma i dati verso questo obiettivo sono molto contrastanti. Secondo un nuovo rapporto del programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, i paesi più ricchi del mondo hanno stanziato 12 trilioni di dollari per affrontare il disagio economico causato da Covid-19, ma solo un quarto dei donatori sta dedicando fondi agli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio l'ambiente».

Nel frattempo, come si legge su Science, il tempo stringe. Ai tassi attuali, secondo un progetto di monitoraggio delle emissioni di carbonio, il mondo ha sette anni prima di esaurire il proprio budget di carbonio per mantenere l'aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C.

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Incendi più catastrofici

Le immagini degli incendi che hanno colpito l’Australia e gli Stati Uniti nell’anno in corso hanno più volte fatto il giro del mondo. E stando ai ricercatori del Copernicus climate change service (Cams), i soli incendi verificatisi in Australia hanno rilasciato oltre 400 megatonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera e il fumo è andato a coprire un’area di venti milioni di chilometri quadrati, circa un quindicesimo dell’Italia.

A livello globale nel 2020, circa 1.690 megatonnellate di carbonio sono state liberate nell’atmosfera dal 1° gennaio al 7 dicembre 2020. Questo dato va confrontato con le 1.870 megatonnellate di carbonio emesse nel 2019 per vedere la tendenza di riduzione delle emissioni. Eppure, stando ai dati satellitari, il 2020 è stato uno degli anni con il più basso numero di incendi a livello planetario. Tuttavia nelle aree più colpite l’intensità degli incendi è stata maggiore.

Spiega Mark Parrington, senior scientist al Cams: «Mentre il 2020 è stato certamente un anno devastante per gli incendi nelle aree dove si sono sviluppati, le emissioni globali da loro provocate sono state inferiori rispetto al passato e questo grazie a una migliore gestione degli incendi e alle misure di mitigazione.

Tuttavia poiché gli incendi nelle zone più colpite sono stati di intensità record a causa delle condizioni particolarmente calde e secche, il risultato è stato che nelle aree interessate dagli incendi si è avuto un aumento delle sostanze inquinanti trasportate per migliaia di chilometri, con ripercussioni sulla qualità dell’aria dove vivono milioni di persone».

Nel 2020 quattro sono le aree che sono state maggiormente colpite da incendi ad alta intensità. Oltre all’Australia, vi sono stati gli Stati Uniti occidentali: a partire dalla California e dal Colorado passando per Oregon, Washington, Utah, Montana e Idaho. Vi è poi la Siberia nord-orientale e le aree caraibiche e sud-americane dal Venezuela al Belize, passando per Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e la penisola dello Yucatan in Messico.

A firefighters backs away from the flames after lighting a controlled burn near Tomerong, Australia, Wednesday, Jan. 8, 2020, in an effort to contain a larger fire nearby. (AP Photo/Rick Rycroft)

Il “megaparco” delle rinnovabili

Il primo ministro indiano Narendra Modi ha dato il via a quello che sarà il più grande parco di energia rinnovabile al mondo, destinato a produrre ben trenta gigawatt di elettricità. Una quantità di molto superiore a una qualsiasi centrale nucleare.

Il gigantesco progetto verrà realizzato nella regione di Kutch, nello stato occidentale del Gujarat, su un’area che occuperà più di 720 chilometri quadrati di superficie.

Verrà ricoperta con pannelli solari, con unità di accumulo di energia solare e con impianti eolici.

«La sicurezza energetica e la sicurezza idrica sono vitali nel XXI secolo per il nostro paese», ha detto Modi. Il progetto energetico rappresenterà una grossa fetta dell’ambizioso obiettivo dell’India di generare 175 GW di energia rinnovabile entro il 2022 e 450 GW entro il 2030. Modi ha detto che aiuterà anche il secondo paese più popoloso del mondo a ridurre le sue emissioni di anidride carbonica fino a 50 milioni di tonnellate all'anno.

L’evento astronomico dell’anno

Questa sera proprio nel giorno del solstizio d’inverno si avrà un avvicinamento di Giove e Saturno come poche volte è possibile osservare. Si tratta della “grande congiunzione”, ossia un momento in cui Giove e saturno avranno coordinate celesti quasi identiche.

Un evento che capita una volta ogni venti anni, ma questa volta i due grandi pianeti del sistema solare saranno così vicini tra loro che la situazione non capita dal medioevo.

Come osservarla? Meteo permettendo la si potrà vedere anche a occhio nudo rivolgendo lo sguardo verso sud-ovest poco dopo il tramonto, ossia verso le 19:00. L’evento sarà basso sull’orizzonte e quindi sarebbe buona cosa avere un campo libero di fronte a sé oppure essere ai piani alti dei palazzi. Giove sarà più luminoso di Saturno. E con un buon binocolo o un piccolo telescopio ci si potrà divertire nel vedere le quattro lune maggiori di Giove e i satelliti di Saturno.

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