Torino

Per usare un eufemismo, c’è poco ambiente nella campagna elettorale di Torino. Crescita, lavoro, ricerca dell’identità nell’eterna transizione post industriale: è soprattutto su questo che ruotano conversazioni, dibattiti, programmi. È uno degli scontri più imprevedibili di queste amministrative, non c’è la sindaca uscente in gara e non si dedica troppo tempo a cercare modelli urbanistici nuovi, al massimo si ricicla senza convinzione l’idea della città da quindici minuti. Creare condizioni per un nuovo sviluppo è la piattaforma del candidato sindaco del Pd, Stefano Lo Russo, docente di geologia al Politecnico.

Sul suo sito dice di aver dedicato all’ambiente tutta la sua vita professionale, ma la sua proposta, uscita vincente da primarie poco partecipate, non piace agli ambientalisti. «Sinceramente non credo che le idee e le soluzioni di Lo Russo siano all’altezza dell’emergenza in atto e di una delle città più inquinate d’Europa», dice Giorgio Brizio, uno dei Fridays for Future più in vista in città. Torino ha anche finito con l’essere l’unica grande città dove Europa Verde non va col centrosinistra, ma a sostegno della candidata del Movimento 5 stelle, Valentina Sganga. Segno dei tempi: queste per Torino sono anche le prime elezioni post Tav.

Al tempo della vittoria di Chiara Appendino era ancora la grande battaglia che divideva la città in faglie, fazioni e bande, c’erano in ballo due visioni opposte dello sviluppo e del territorio. Oggi Lo Russo e il suo avversario di centrodestra Paolo Damilano sono pro Tav e anche Sganga tratta il tema come se l’inerzia dell’alta velocità Torino-Lione avesse ormai vinto.

È un tema di identità e posizionamento (anche in alcune liste a sostegno dello stesso Lo Russo), non più di azione politica cittadina. Temi ambientali in ogni caso ce ne sarebbero, in primo luogo la qualità dell’aria, la vera emergenza cittadina: a Torino si respira malissimo da anni. I dati Arpa, che hanno stimato in 900 morti all’anno il tributo alle polveri sottili, hanno fatto finire sotto inchiesta comune e regione.

Nel 2020 Torino è stata la città italiana con più sforamenti dei livelli di guardia, nel 2021, dopo un anno e mezzo di pandemia, i valori sono finalmente calati, dando ragione agli attivisti anti traffico ai quali la campagna elettorale sta offrendo però pochi spunti e soluzioni nella complessa sfida di fare della città dell’auto una città dove si possa fare a meno dell’auto (oggi 42 per cento dei tragitti urbani sono con la macchina).

La rete dei trasporti pubblici è invecchiata e andrebbe completamente ripensata, si attende la Linea 2 della metropolitana (ma la strada è lunga), dagli anni Appendino la città esce con molte più piste ciclabili, ma in un sistema ancora incoerente e disaggregato, con forti sbalzi tra centro e periferia. Damilano ha rilanciato il dibattito sulle infrastrutture, ha tirato fuori l’antico progetto di chiudere la stazione di Porta Nuova – sarebbe un colpo mortale al sistema ferroviario cittadino e un grande incentivo alle auto – e di completare con il tratto est l’anello della tangenziale. In più la Lega ha promesso di mettere in discussione tutta la mobilità sostenibile: Ztl, pedonalizzazioni, piste ciclabili, non l’ideale per una città con tre morti di smog al giorno.

Milano

Una cosa che si dice spesso a Milano è che la campagna elettorale, quest’anno, non è mai partita. C’è un avversario, Luca Bernardo, arrivato tardi e subito incappato in bizzarri problemi mediatici (il pediatra con la pistola in reparto), un’altra, Layla Pavone, iscritta quasi al fotofinish, solo per esserci. Il risultato è che Sala corre contro sé stesso, il secondo mandato sarà quello per sciogliere le contraddizioni della sua amministrazione e curare un’eredità politica che, per il senso dello Zeitgeist di cui non fa difetto, ha scelto di far ruotare intorno all’ecologia.

A Milano, Sala sta provando a costruire un ambientalismo in grado di sfondare al centro, sul modello pragmatico dei Grünen tedeschi. Si è mosso da tempo: ha preso le credenziali dalla carta dei valori dei Verdi europei, ha tirato a bordo quelli milanesi (dopo un lustro di contumelie reciproche su alberi e verde urbano) e si è ispirato al modello dalla sindaca di Parigi. Anne Hidalgo però ha potuto esplicitare un concetto intorno al quale Sala può solo girare, per perifrasi ed ellissi, perché a Milano è dura dirlo ad alta voce: chi ragiona sulla città europea del futuro deve ragionare su una città con poche auto.

C’è così tanto fermento sul tema che è nata anche un’associazione ambientalista di destra, Versozero. L’ha fondata l’ex vicepresidente di Ferrovie Nord Milano Fabrizio Garavaglia, che dice: «No all’ideologia anti automobile, esistono e non le possiamo nascondere sotto il tappeto. Sala ha il difetto di vedere solo i confini urbani e di ignorare i bisogni della città metropolitana». Il totem di questa discussione è stato la pista ciclabile pandemica di Corso Buenos Aires, messa un po’ per fare scena e posizionarsi e un po’ per togliere peso ai mezzi pubblici, in ogni caso è stata l’oggetto milanese polarizzante per eccellenza, la prima dichiarazione di Bernardo da candidato è stata un atto di accusa contro la ciclabile: «Nemica della viabilità, del commercio, contro i milanesi». L’ambientalismo riformista di Sala vive su un delicato equilibrio, tra il fare troppo per alcuni e non abbastanza per altri.

Luca Boniardi rappresenta Massa Marmocchi, un gruppo di attivisti della bici che organizza cortei mattutini per accompagnare insieme i bambini a scuola in sicurezza: «L’unico pregio della ciclabile di Corso Buenos Aires è stata mettere in luce la domanda, ma Milano è una città ancora pericolosa per i ciclisti, la strada è un buco nero, la rete è spezzatissima, come una coperta scucita sulla città, si percepisce che non c’è un piano». Sicuramente la metropoli della mobilità dolce e del tutto in quindici minuti è difficile da attuale se andare in bicicletta fa ancora paura.

Boniardo, che è anche ricercatore sulla qualità dell’aria, osserva giustamente che «solo a Milano la bici è di sinistra, in Olanda è sviluppo, qualità della vita, efficienza logistica. Puntare davvero sulla bici è un win win». Il sottotesto è che, per ora, Sala ha principalmente parlato, il secondo mandato serve per passare dalle ciclabili simboliche alla città che ha in mente. Elena Grandi, di Europa Verde, è tra gli ambientalisti che sono passati dall’attaccare Sala al sostenerlo. «Lo scenario aperto è tra le varie possibili vittorie del sindaco, quella sarà la vera partita, sarà determinante il risultato delle liste che lo sostengono. Se quelle ecologiste avranno risultati interessanti, il mandato sulla sostenibilità sarà più forte». C’è da mettere un freno al consumo di suolo, vero punto al ribasso della credibilità della piattaforma green di Sala: la città è satura, secondo Ispra siamo al 58% dell’area comunale, sono rimati 50 metri quadri non consumati a residente.

Bologna

Il titolo della campagna elettorale bolognese potrebbe essere: l’inevitabilità della grande infrastruttura. Il raddoppio di autostrada e tangenziale, che ha preso forma nel passante di mezzo, è in ballo da almeno vent’anni, ha generato una quantità di dibattito e opposizione che ne ha fatto quasi un caso Tav locale.

Il progetto ha cambiato forma, posizionamento, sponsor, è rimbalzato da un punto all’altro della città (prima nord, poi sud, ora in mezzo), ormai è in conferenza dei servizi, quindi si farà, nonostante Bologna abbia un cronico problema di inquinamento, una dichiarazione di crisi climatica, l’obiettivo di neutralità al 2030 e un strategia che in teoria sarebbe basata sulla mobilità sostenibile. Tutto negato in cambio di un progetto da 2,5 miliardi di euro basato sull’idea novecentesca che per ridurre il traffico di auto bisogna allargare le strade (e non offrire alternative).

La rassegnazione al passante di mezzo è il contenuto politico dell’accordo tra il candidato del Pd Matteo Lepore e la sinistra rosso-verde di Coalizione Civica, che si era opposta ferocemente al progetto, definendolo non più tardi di un anno fa «incompatibile con una visione ambientalista». La trattativa sarà sui dettagli: tecnologie fotocatalitiche sulle carreggiate per l’abbattimento degli inquinanti; elettrificazione con la ricarica dinamica, produzione di energia rinnovabile in loco per veicoli elettrici. Sul fronte mobilità sostenibile di buono ci sono l’atteso ritorno del tram in città, con i cantieri delle quattro linee in partenza, e l’ampliamento delle zone a velocità ridotta per le auto.

«Sono proposte avulse da tutto il resto, a Bologna manca una visione d’insieme, si va in direzioni opposte tra loro, le misure sono pezzi disaggregati e non complementari», dice Mauro Boarelli, storico e tra gli avversari del passante. Il grande cambiamento di prospettiva, chiesto da tutte le associazioni ambientaliste (Legambiente in testa) passerebbe dalla stazione ferroviaria: usare i binari liberati dall’alta velocità (interrata nel 2013) per rafforzare il servizio ferroviario metropolitano e creare un passante di treni locali in transito che colleghi in modo più efficiente punti diversi della città e i comuni vicini.

Intanto la nuova frontiera da presidiare è il consumo di suolo nelle tante ex aree militari dismesse. Le battaglie durante il mandato di Merola hanno strappato un impegno a proteggere il sito Prati di Caprara, dove è nato un bosco urbano che oggi è di fatto il parco più grande della città. Ha rischiato di diventare un outlet. «Quelle aree sono buchi neri da proteggere e restituire al verde», dice Simona Larghetti, attivista della bici, candidata a sostegno di Lepore in Coalizione Civica (e sostenuta dal basso dal progetto Ti Candido del Forum Diseguaglianze Diversità per individuare politici attenti alla sostenibilità ambientale e sociale).

Larghetti concorda su una cosa che dicono in molti: «Il modello Bologna è in crisi, questa città ha vissuto sugli allori della sua qualità della vita, di posto dove si sta sempre meglio che altrove. Ma qui le persone da giugno a settembre scappano, perché la città è troppo calda, chi non può rimane e soffre. Il verde urbano è la sola cosa che ci può aiutare in questa battaglia». Sul passante di mezzo c’è ancora chi spera ci sia margine, come Legambiente, che per bocca di Claudio Dellucca dice: «Si può mutare idea, è concesso, vista la gravissima situazione ambientale in cui ci troviamo. Il traffico non cala se allarghiamo le strade ma se creiamo seri disincentivi alle auto».

Roma

La sfida più imprevedibile, col maggior numero di candidati competitivi, nella città più disfunzionale e più colpita da eventi climatici. Per dirla con Federico Spadini di Greenpeace. «Roma è entrata sotto l’amministrazione Raggi che era in una situazione critica, esce dall’amministrazione Raggi in una situazione critica». Il tema del pensiero di Spadini è la mobilità, ma si può tranquillamente replicare il concetto anche sull’altra macro-crisi ambientale, quella dei rifiuti. Sui trasporti la poca concretezza (eufemismo) della giunta Raggi è ben raccontata nel caso del bando dei motori diesel dal centro della città: «È stato annunciato nel 2018 da fare entro il 2024, a oggi non c’è molto, se non l’annuncio speso in grandi consessi internazionali, non c’è una roadmap, non ci sono dettagli, solo il divieti fino ai diesel euro 3, peraltro con pochissimi controlli».

Col dettaglio di colore (fino a un certo punto) dell’acquisto di nuovi autobus a diesel da parte del comune stesso. Vale per ogni altro aspetto: è stato realizzato un terzo delle ciclabili previste, con tante storie di interventi sulla carta, non sicuri, che finiscono nel nulla, inutilizzabili. La mobilità condivisa oggi taglia completamente fuori le periferie. L’inquinamento è a livelli critici, con uno sforamento alla settimana nel 2020 nonostante pandemia e lockdown, mentre la città ha un traffico da metropoli dell’America Latina e il 40 per cento degli utenti ha rinunciato al trasporto pubblico. In campagna elettorale Raggi si è arroccata sulla difesa del già fatto, al quale aggiunge la proposta di creare una centrale unica della mobilità per le informazioni sul traffico (quasi una resa).

Il programma di Michetti è un mistero e nelle uscite pubbliche sembra prediligere aggiustamenti tecnici ai grandi cambiamenti strutturali. Calenda propone le revisione immediata di tutte le linee (e non è una cattiva idea, visti gli ultimi anni) e un vasto programma di nuove infrastrutture. Per Gualtieri la formula è la cura del ferro, con al centro la parola chiave, l’intermodalità tra i vari mezzi che tutti cercano e nessuno riesce a creare. Poi c’è la situazione rifiuti, forse il tema centrale della campagna elettorale, inevitabile in una metropoli da 3mila tonnellate di indifferenziato al giorno, una situazione che era già al limite ma che è saltata del tutto quando è stata chiusa la discarica di Roccasecca per problemi giudiziari.

Tutti i candidati accusano Raggi, che a sua volta accusa la regione. Intanto i rifiuti romani viaggiano in giro per l’Italia, la differenziata si smaltisce in modo diverso in ogni municipio e forse anche per questo è ferma al 42 per cento. Intanto si paga la Tari più cara tra le grandi città, per uno dei servizi peggiori. Ma non è solo un problema di trasporti, e nemmeno solo di rifiuti, «A Roma c’è processo di degrado ambientale costante, che purtroppo non registra cambiamenti di trend da troppi anni, che riguarda l’aria, i rifiuti, i siti da bonificare, il Tevere, e che compromette la qualità della vita», dice Marica Di Pierri, che con l’ong A Sud ha promosso ReAttivi, una campagna di monitoraggio ambientale partecipato su acqua, aria e suolo. «È uno strumento di coinvolgimento e partecipazione civica, ma anche di pressing sulle istituzioni».

Il punto è proprio questo: risvegliare Roma dalla rassegnazione sulla propria ingovernabilità, trattata come se fosse uno status quo col quale convivere. Anche perché, come ricordava il rapporto CittàClima di Legambiente, Roma è intanto diventata la città italiana più esposta e vulnerabile alla crisi climatica e la più colpita da eventi estremi. O si risveglia alla fine di questa campagna elettorale o sarà risvegliata da qualcos’altro.

Napoli

Quando Luigi De Magistris è diventato sindaco, nel 2011, aveva promesso la raccolta differenziata al 70 per cento. Siamo al 36 per cento, con un incremento di pochissimi punti rispetto a come l’aveva trovata dieci anni fa. Un merito che gli viene riconosciuto è di aver navigato un’emergenza estremamente complessa come quella dei rifiuti, mettendosi alla spalle la fase più critica.

«Il problema è che nell’arco dei due mandati non è mai riuscito a lasciarsi le spalle l’emergenza, in nessun aspetto della sua amministrazione», spiega Carmine Maturo, rappresentante di Gente Green, una delle organizzazioni che lavorano sul territorio. Èd è così che è stato affrontato in questo decennio arancione il problema dei rifiuti, in una città dove ancora oggi quasi non si raccoglie l’organico e non si è riusciti a organizzare il porta a porta. «In una metropoli da avviare alla differenziata è indispensabile, perché il passaggio di abitudine chiede anche una rivoluzione culturale, che si può fare solo col porta a porta», spiega Mariateresa Imparato, dirigente locale di Legambiente.

Ed è questa la sfida del prossimo sindaco, sui temi ambientali come su ogni altro aspetto del futuro cittadino: uscire dall’emergenza costante come metodo e prassi e iniziare a progettare di nuovo Napoli. I dossier aperti sono tanti: in cima ci sono i trasporti, che in una città come Napoli è un tema di cittadinanza: «Qui, molto più che altrove, una rete in queste condizioni pessime è un problema di diseguaglianze, una griglia che decide chi può andare dove, come, e quando», spiega Francesca Zazzera di Greenpeace. Sulla mobilità, De Magistris lascia un lavoro a chiazze, male il bike sharing, meglio lo scooter sharing, mentre pezzi disaggregati di piste ciclabili non compongono nemmeno una parvenza di rete.

Nel futuro disegno della città che toccherà inventare a Manfredi, Bassolino, Clemente o Maresca ci sono anche l’eterna questione delle bonifiche, la riqualificazione di Napoli Est o di Bagnoli e l’elettrificazione del porto.

«Chi verrà dopo De Magistris deve saper dialogare con la città, intercettare la coscienza ambientalista che sta nascendo, il fermento di idee che non manca. Napoli può diventare un modello per la transizione ecologica», dice Imparato.

Il riferimento specifico è alla prima comunità energetica urbana italiana basata sulle fonti rinnovabili, aperta la scorsa primavera a San Giovanni a Teduccio, in uno dei quartieri più complessi della città, in sinergia tra Legambiente e due fondazioni. «È un progetto replicabile, scalabile, si può fare sui tetti delle scuole e degli edifici di edilizia popolare, è qualcosa che si può e si deve copiare», conclude Imparato. Il futuro ecologico di Napoli passa anche da progetti come questo.

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