Jakarta è fondamentale per il futuro della transizione ecologica a livello globale. E la vittoria quasi certa di Prabowo Subianto non è da accogliere come un segnale positivo
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Il tour 2024 della democrazia ci ha portato questa settimana a osservare da vicino cosa succede in un paese mediaticamente periferico, ma fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici: l’Indonesia, il quarto paese più popoloso al mondo, il decimo per emissioni di gas serra, il terzo per copertura forestale dopo Brasile e Repubblica Democratica del Congo.
Un paese fondamentale
Insomma, l’Indonesia è un paese pieno di risorse rilevanti per il clima e la transizione: produce carbone, quindi la più sporca delle fonti fossili, ma anche nickel, quindi un metallo chiave per la transizione, e gestisce milioni di ettari di foreste tropicali, fondamentali per la stabilità del clima globale. L’esito delle elezioni in Indonesia era quindi uno degli appuntamenti più rilevanti per l’anno climatico tra le due Cop.
C’è ancora un margine di incertezza, perché i conteggi sono lunghi, chi avrà vinto avrà un potere importante nella cloche della lotta ai cambiamenti climatici. Il nome da appuntare è quello del l’ex generale dell’esercito Prabowo Subianto, con una storia di violazione dei diritti umani alle spalle, già di per sé un brutto segnale per la società civile indonesiana impegnata nella lotta ai cambiamenti climatici. «Winter is coming», ha commentato il direttore di Amnesty Indonesia Usman Hamid. Prabowo Subianto ha reclamato la vittoria già al primo turno.
Nickel e carbone
Sono due le classifiche alle quali dobbiamo guardare per interpretare questo risultato. La classifica dei produttori globali di nickel, vettore dell’energia del futuro, dove l’Indonesia è al primo posto. E poi la classifica dei produttori globali di carbone, che vede l’Indonesia al terzo posto (e, come primo acquirente: la Cina).
Prabowo Subianto ha un programma di supporto alla transizione energetica: sostiene però il bando alla vendita di nickel sui mercati internazionali, già messo parzialmente in piedi dal governo uscente. La sua idea è la creazione di un piano industriale per lo sviluppo locale di batterie, di cui il nickel è un elemento fondamentale.
Insomma, vuole far transitare l’Indonesia da una fase in cui vendeva la materia prima a una in cui venderà il prodotto finito: chi vuole produrne con nickel indonesiano deve farlo in Indonesia. La Cina ha già fatto partire gli investimenti.
Il problema è che lavorare il nickel per renderlo adatto a essere usato nella batteria di un’auto elettrica è un processo energivoro, e l’energia indonesiana è ancora alimentata dal carbone, quindi l’Indonesia del nuovo governo rischia di sconvolgere le filiere dei metalli critici per la transizione, togliendo sempre più il suo nickel dal mercato, e rischia di moltiplicare la sua quota di emissioni di gas serra, processando quel nickel in patria dentro un’economia alimentata a carbone.
La deforestazione
Negli ultimi anni, l’Indonesia era stata anche una parziale storia di successo nella lotta alla deforestazione. Anche se i dati non sembrano i più trasparenti del mondo (molto dipende dalle metodologie), nel 2022 (ultimo anno su cui sono disponibili) c’è stato un calo della deforestazione dell’8,4 per cento, da 113mila ettari del 2021 a 104mila ettari del 2022.
La situazione indonesiana è molto delicata, perché un terzo delle foreste tropicali del mondo sono sul suo territorio, per la devastazione decennale da estrazione di olio di palma (del quale è ancora primo produttore mondiale), per il fatto che il paese aveva deciso di uscire dal famoso accordo per azzerare la deforestazione globale al 2030 deciso a Cop26, giudicandolo «inappropriato e ingiusto».
Nei piani di sviluppo del futuro governo c’è un forte investimento in biocarburanti, che potrebbe avere un effetto preoccupante sul calo della deforestazione che si è registrato negli ultimi anni.
Dal punto di vista della diplomazia climatica, l’Indonesia negli ultimi anni ha rappresentato anche una sorta di sperimentazione di nuovo modello di finanza climatica: le Just Transition Partnership.
In alternativa ai grandi flussi globali, come il Green Climate Fund, collette che lasciano tutti scontenti perché i paesi occidentali sono stati piuttosto tirchi negli ultimi anni, queste partnership sono relazioni uno a uno (o pochi a uno) in cui economie del nord globale «adottano» specifiche economie emergenti per aiutarle a fare la transizione, traendone una serie di vantaggi finanziari che nel «modello colletta» non ci sono.
La partnership tra Usa e Indonesia era considerata un caso di studio positivo, un flusso da 20 miliardi di dollari per chiudere in anticipo diverse centrali a carbone. Finora non è andata benissimo, e nessuna centrale è stata ancora dismessa, anzi, il paese progetta nuovi e grandi investimenti su questa fonte di energia.
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