- Le politiche climatiche europee non vengono discusse in Italia su basi e dati concreti; la disinformazione fa apparire le scelte come dei diktat.
- Le direttive su auto a combustione, efficienza energetica negli edifici e fonti rinnovabili mostrano come rimanere fuori dal dibattito ci marginalizza e indebolisce.
- È necessario creare un dialogo informato dalla scienza sui temi di transizione ecologica, anche in vista delle elezioni europee del 2024.
Le politiche ambientali e climatiche sono di competenza dell’Unione europea. In molti paesi Ue il dibattito su queste politiche è conosciuto e si riversa nei parlamenti e sui media nazionali. Le discussioni condotte tra la Commissione, il parlamento e i governi nazionali a Bruxelles vengono riportate nelle capitali e i cittadini possono far sentire le loro opinioni, così da aiutare le discussioni al livello dell’Unione.
In Italia poco o nulla di tutto ciò. Sembra che il fatto che queste politiche vengano sviluppate nei palazzi comunitari le allontani dall’interesse dei nostri politici, salvo poi andare ad alzare la voce quando gli accordi sono già chiusi. E i cittadini che ne sono all’oscuro sono poi facilmente manipolabili.
È una occasione persa: ci sarebbe molto da imparare per tutti, e soprattutto proprio per i cittadini, se venissero seriamente informati sulle motivazioni, sui dati di base, sulle prospettive di risultati attesi dalla data proposta politica, sulle opzioni possibili e sul loro rapporto costo/benefici, tutte informazioni che vengono preliminarmente discusse quando si propone ai paesi membri di prendere una nuova decisione.
Alla mancata informazione si aggiunge la disinformazione, per lo più orientata a creare un’opinione pubblica euroscettica contro i presunti «diktat di Bruxelles» «fomentati dai paesi nordici e frugali».
Auto e non solo
Facciamo alcuni esempi. Primo, il nuovo regolamento che fissa al 2035 la fine della commercializzazione di nuove auto che non siano a zero emissioni. L’attuale governo ha fatto muro contro, e ha fatto rumore contro la Commissione europea che negoziava con i tedeschi sui combustibili sintetici a zero emissioni ed escludeva dalla discussione gli italiani con la loro richiesta sui biocombustibili.
Facciamo chiarezza: l’accordo politico tra i governi nazionali in Consiglio era già stato raggiunto. In questo accordo c’era un punto aperto sui combustibili sintetici che sarebbe dovuto essere affrontato dalla Commissione e che la Germania ha chiesto che venisse chiarito prima dell’adozione del regolamento. Non c’era nessun punto aperto sui biocombustibili, i quali non sono a zero emissioni. Quelli più sostenibili prodotti da veri (e non finti) scarti dell’industria alimentare sono quantità limitate e al massimo a basse emissioni. Sono senza dubbio utili nella transizione al 2050, ma considerata la relativamente piccola quantità di fonti sostenibili, saranno molto più utili per alimentare navi e aerei per i quali non esistono soluzioni a zero emissioni come quelle dell’elettrico (alimentato da fonti rinnovabili) per i mezzi su strada. Se i lettori sono interessati alle emissioni dei biocarburanti, un recente rapporto di Transport & Environment disponibile in italiano si trova sul loro sito.
Secondo esempio: la revisione della Direttiva sulla efficienza energetica degli edifici. Anche qui, il governo attuale si è scagliato contro le norme che dovrebbero permettere di migliorare la resa energetica degli edifici definendole «una patrimoniale camuffata».
Quello che il governo non dice è che per la gran parte delle abitazioni gli investimenti per la riduzione delle perdite di calore e per installare pompe di calore elettriche si ripagano in tutto o in gran parte con le minori spese in bolletta e con gli sconti fiscali collegati a questi investimenti, e si ripagano ancora di più con l’aumento di valore delle abitazioni ristrutturate.
Per fortuna molti italiani sanno fare i conti, e l’anno scorso hanno acquistato mezzo milione di pompe di calore, più di tutti i paesi europei. Con un fondo dedicato a offrire garanzie bancarie alle famiglie meno abbienti, queste ristrutturazioni potrebbero essere spalmate sui prossimi 10-15 anni con la creazione di un debito privato “buono” (invece dell’attuale debito pubblico suscettibile di frodi) perché restituibile con i minori costi operativi, e favorirebbero la creazione di posti di lavoro nell’industria – siamo buoni produttori di pompe di calore, che esportiamo – e nel settore dell’edilizia, riducendo in modo consistente le emissioni.
Terzo esempio: il 30 marzo il Consiglio e il parlamento europeo hanno trovato un accordo sulla revisione della Direttiva sulle fonti rinnovabili di energia, che prevede tra l’altro un target di energie rinnovabili negli edifici del 49 per cento al 2030, associato a più stringenti norme di sostenibilità per le biomasse (ad esempio i riscaldamenti a pellet) che hanno un profilo emissivo non neutro, essendo quasi tutte importate anche da molto lontano, e che provocano un notevole inquinamento atmosferico.
L’accordo in Consiglio significa che l’Italia è d’accordo con la formulazione di questa direttiva, che guarda caso si connette con la direttiva sugli edifici in quanto non si riesce ad arrivare al 49 per cento di energie rinnovabili al 2030 senza applicare sul serio le nuove norme per gli edifici. Il governo farà di nuovo opposizione quando si tratterà di votare formalmente il provvedimento?
Sospettiamo che tutto ciò faccia parte di una semplice strategia: non informare correttamente i cittadini sulle politiche climatiche europee, sulle loro necessità e sui loro vantaggi, per poter sparare contro, con argomenti pretestuosi o falsi, per motivi elettorali. E il prossimo anno si voterà per il parlamento europeo, occasione ghiotta per polemiche euroscettiche.
Cosa fare
La transizione energetica comporta una trasformazione industriale e comportamentale profonda, ed è pertanto complessa e non ha una soluzione unica. È naturale che i diversi stati membri dell’Unione europea portino avanti le lore priorità nazionali, all’interno di un quadro più ampio. E che le diverse parti sociali esprimano posizioni e richieste anche diverse.
È proprio in un contesto di forte cambiamento che il rapporto tra scienza, società civile e politica diventa fondamentale: la disinformazione è pericolosa perchè rende marginale il nostro paese e le sue parti nella definizione di una trasformazione che è già in atto. Proprio in vista delle elezioni europee, un appello alla società civile, ai media più avveduti e al mondo scientifico: collaboriamo per fornire una corretta informazione, per sostenere un paese fatto di cittadini capaci di scegliere. Solo i sudditi si mantengono nell’ignoranza.
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